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Ioannis Pascoli Carmina

Poesie latine di Giovanni Pascoli

Sunti 3

POEMATA CHRISTIANA – POEMETTI CRISTIANI

Centurio (1901)
Il centurione

Premiato con medaglia d’oro ad Amsterdam nel 1902.
Esametri

Un anziano centurione è circondato da ragazzini che vogliono il racconto delle sue imprese. Ma oggi il vecchio soldato non vuol parlare di guerre e conquiste. Racconta di una volta che fu mandato dal primipilo in cima a un colle, a far la guardia a tre uomini che avevano subito il supplizio. [1-107]
Tempo prima, sulla riva di un lago, aveva visto un uomo, che parlava alla folla; di quel discorso lui ricorda una sola parola. [107-123]
Poi, il soldato si era trovato in mezzo a un gruppo di fanciulli, che le madri presentavano a quell’uomo. All’arrivo del centurione, la folla si era spaventata. Ma lui ricorda una parola pronunciata da quell’uomo. [123-139]
Pax Un’altra volta, il centurione si trovava alle porte della città. Dalle diverse le contrade tutti si riversavano in un medesimo punto, portando rami di d’ulivo. E quell’uomo veniva avanti, a cavallo di un’asina. Passando accanto al centurione, lo riconobbe, e gli disse una parola. [139-155]
Poi, quando fu mandato a far la guardia sul colle del supplizio, vide degli uomini appesi a dei legni. Fra di loro vi era quell’uomo, che un tempo parlava alle folle e ai fanciulli; sul punto di morire gli disse una parola: Pace. [155-173]
Mentre fanciulli lo guardano attonito, il centurione continua, come parlando fra sé. Veramente egli fu un uomo giusto. Sopra la croce vi era un cartello con l’accusa: Questo è il re. Ma dicono che sia sfuggito al sepolcro, e che nel luogo del supplizio si senta ancora la sua voce: Pace. [174-186]


Thallusa (1911)
Tallusa

Edizione di Thallusa
Al concorso di Amsterdam del 1912 il Pascoli ottenne la medaglia d’oro per questo poemetto pochi mesi prima della morte.
Esametri. La ninna nanna usa una ricostruzione pascoliana dell’antico metro saturnio.

Una schiava riconduce a casa da scuola due fanciulli, attraverso il mercato. I bambini si attardano a guardare le bancarelle; la schiava è preoccupata perché teme che i padroni si adirino. [1-42]
Quando il padrone torna a casa, trova la moglie ad aprirgli la porta, con in braccio il bambino più piccolo. Perché la schiava non è ancora tornata? Ma questa è l’ultima mancanza: ha già deciso di venderla. La padrona cerca debolmente di difenderla, ma il marito è deciso: non sopporta più il suo umore variabile, la sua irrequietezza; e poi sospetta che sia della setta dei cristiani. Poi annuncia alla moglie che deve cenare fuori. [43-72]
La moglie è imbarazzata: anche lei si prepara ad uscire, per partecipare con le vicine ai rituali della Buona Dea, ma non fa in tempo a parlare.
Il marito è appena uscito che arriva la schiava con i bambini. Ora si siedono a cena; i bambini raccontano la loro giornata. Prima di uscire, la padrona fa le ultime raccomandazioni a Tallusa, ma poi si accorge che la serva sta piangendo. La padrona dice che la Buona Dea la proteggerà, ed esce. [73-118]
Quando la padrona è uscita, la serva impreca fra le lacrime. Le augura che le capiti come a lei, a cui è stato ucciso il marito, venduto il figlio appena nato. Neppure Dio, neppure la morte la potrà mai consolare [119-142]
In quel momento il bambino più piccolo, dalla culla, si mette a piangere e chiama «Mamma». Tallusa accorre, cerca di consolarlo, gli canta la stessa ninna nanna che cantava al suo figlio venduto. Il bambino sorride, e Tallusa, come pazza, piange e ride, guardando quel bambino, come se fosse il suo. [143-191]
Ma ecco che arriva la vera madre, e le dice di andare a dormire. Il mattino dopo arriva il nuovo padrone, e si porta via la schiava. [192-194]


Pomponia Graecina (1909)
Pomponia Grecina

Premiato nel 1910 con medaglia d’oro.
Esametri

Pomponia Grecina passò la vita vestita a lutto, e in atteggiamento di mestizia, da quando un delatore la accusò di seguire culti stranieri, e il marito Aulo Plauzio la obbligò ad una pubblica abiura.
Essa si occupava solo del figlio Aulo, che aveva per compagno di giochi Grecino, figlio di suo fratello. [1-36]
Per costringerla a sacrificare pubblicamente agi dèi, il marito la minaccia di separarla dal figlio. Ottenuta l’abiura, le impone di non frequentare più la casa paterna, sospettata di debolezza verso culti stranieri, e di non lasciare più che il piccolo Aulo giochi con il cuginetto Grecino. [37-150]
Il bambino non capisce il motivo di questa separazione, e fa continue domande; vuole che la madre gli racconti, per farlo addormentare, le parabole evangeliche, come faceva prima. Poi si rassegna, e poco per volta dimentica. [151-185]
Ma la madre misura il passare degli anni, ed attende con angoscia il giorno del giudizio, in cui lei, e il figlio, moriranno. [186-197]
Il giorno sembra arrivare fra le fiamme. Roma brucia; e subito dopo, innocenti vengono gettati nel circo, in pasto alle belve, crocifissi, bruciati vivi. I martiri testimoniano ciò che Grecina aveva negato; ed ora si addormentano nell’attesa del Signore. [198-217]
Grecina non può resistere a questi pensieri. Segretamente esce da Roma sotto gli archi di Porta Capena. Vaga fra i sepolcri, arriva in un luogo a lei noto. Scende nei sotterranei, vede i simboli, le iscrizioni che aveva cercato di cancellare dal cuore. Sui sepolcri è scritto VIVI IN PACE. Ma gli ultimi sepolti invece di queste iscrizioni hanno una fiamma che spande profumi ed una fiala tinta di sangue recente. [218-267]
Grecina avanza ancora, e sente un canto. Donne aspergono di profumi il corpo di un giovane morto da poco, lacerato dalle unghie delle belve. Grecina ha paura di riconoscerlo. Chiede: «Che ha fatto?» Le rispondono: «Ha confessato Cristo». Avvicinatasi vede la lapide con il nome: POMPONIOS GRAEKEINOS. [268-302]


Agape (1905)
Agape

Nel 1906 ebbe la magna laus al secondo posto
Esametri.

Dei cristiani sono riuniti per la Cena in una casa romana. In mezzo agli strepiti della città, gente di ogni nazione e di ogni condizione sociale si dirige verso il luogo convenuto; si danno un bacio e siedono in silenzio. [1-44]
Quando ormai si porta in tavola, compare una vecchia. Tutti si alzano in segno di rispetto, ma quella non vede e non sente nulla. È una delle Marie che andando al sepolcro ebbero l’annuncio della resurrezione. [45-59]
Ora mangiano, ma alcuni Giudei rifiutano il cibo, giudicandolo impuro. Per i cristiani invece la fede in Gesù è superiore alla legge.
Ora gli schiavi si alzano. Devono tornare al lavoro, a una vita di umiliazioni, e si chiedono quando Dio calpesterà i loro nemici. [60-103]
I convenuti rievocano la morte di Gesù, e Stachi spezza il pane, promessa di resurrezione.
Improvvisamente la vecchia si alza in piedi, ed esclama Maràn athà, «Viene il Signore!», mentre tutt’intorno divampano le fiamme. Tutti si precipitano in strada, già piene di gente che grida e fugge. [104-140]
Da un vicino lupanare escono di corsa delle meretrici nude, che si mescolano alle vergini, mentre un vecchio Ebreo accusa i cristiani di aver provocato l’incendio.
Un uomo e una donna si incontrano. Lui è un Egiziano, di cui si diceva che presto Nerone gli avrebbe fatto mangiare uomini vivi. Lei è Locusta, venditrice di veleni, dei quali si diceva che Nerone si servisse. Ma ora il fuoco distruggerà gli uomini più speditamente del veleno.
Mentre Roma è coperta di fumo e fiamme, ogni tanto il vento porta il suono della cetra di Nerone. [141-162]
Ora i fuggiaschi sono in cima al colle, e si voltano a guadare l’incendio. Una fanciulla ricopre col suo velo il corpo nudo della sorella meretrice. [163-169]


Paedagogium (1903)
La scuola dei paggi

Medaglia d’oro nel 1904
Esametri

Il poemetto trae spunto da un famoso graffito trovato nel 1857 nel paedagogium del Palatino: una figura umana in adorazione di fronte ad un crocifisso con la testa d’asino, e una scritta in greco sgrammaticato: Alessàmeno adora il suo dio.

alexamenos sebete theonGiovani figli di re, condotti come ostaggi a Roma dai più lontani paesi, sono educati alla lingua latina e ai costumi romani in un’ala appartata del palazzo imperiale. È ora di ricreazione, e i ragazzi giocano a palla. Uno di loro, Careio, un gallo, si rivolge ad un giovane orientale, Alessàmeno, e lo invita al gioco. Quello non vuole, deve studiare, ha paura dei rimproveri del maestro. Il primo lo provoca, lo insulta: Alessàmeno è forse tra quelli che amano la croce. Lo colpisce violentemente con la palla. L’altro reagisce, i due si azzuffano. Accorre il sorvegliante, li divide, e chiude Careio, che per primo aveva offeso, in una cella vicina. [1-78]
Careio, si dispera, batte sulla porta, piange; poi afferra una punta e incide sulla parete il disegno di un uomo crocifisso, con la testa d’asino, ed accanto una figura in atto d’adorazione. Per completare il dileggio, scrive in greco, la lingua del suo nemico: Alessàmeno adora il suo dio. [79-99]
Al sopraggiungere della sera, l’ira gli cade, e subentra la nostalgia per il paese lontano. Viene fatto uscire dalla cella e mandato a letto; ma non riesce a prendere sono. Nella camera c’è un altro che veglia: è Alessàmeno, che in silenzio scende dal letto, si inginocchia e comincia a mormorare: Padre nostro che sei nei cieli. Careio lo chiama, gli chiede perdono per averlo offeso. Parlano della loro tristezza, delle famiglie lontane, di cui non hanno più notizie. Ma la madre di Alessàmeno prima della partenza gli ha insegnato che si sarebbero rivisti in cielo. Loro due sono ora fratelli, perché sono tutti figli di Dio. Alla fine rasserenati i due ragazzi si addormentano. [100-173]
Al mattino il pretore fa chiamare Alessàmeno, alla presenza dei compagni. Su di lui corre una voce, che adori un uomo crocifisso. Ora dovrà rinnegarlo. Alessàmeno rifiuta. Il pretore gli intima di venir via con lui, per non appestare il resto del gregge. Ci sono anch’io, grida Careio, e prende per mano il fratello. [174-189]


Fanum Apollinis (1904)
Il tempio di Apollo

Medaglia d’oro al concorso di Amsterdam del 1905.
Esametri.

Sulla riva del mare un antico tempio ad Apollo è sorvegliato da un vecchio sacerdote. Tutto ha un’aria di abbandono; nella cella del tempio solo una statua del dio giovinetto sembra immune dal trascorrere del tempo. [1-14]
Dei passi disturbano la quiete del luogo. È un vecchio pastore, giunto da lontano; per allontanare la sventura dalla sua casa, ha deciso di venire a sacrificare ad Apollo un capretto, secondo l’uso dei suoi antenati. Ma manca l’assistente al sacrificio. Il sacerdote convince il pastore a risparmiare la bestiola: il dio preferirà un’offerta di fiori. [15-67]
I due vanno nel bosco sacro e raccolgono fiori. Rientrati nel tempio, il pastore rimane stupefatto di fronte alla statua del dio. Il sacerdote lo rassicura: il dio è un fanciullo, egli stesso pastore, e sarà favorevole al devoto. [68-104]
Ma una voce echeggia nel tempio. Accompagnato da una gran folla, arriva il console del villaggio vicino a prendere possesso del luogo, in nome della nuova fede. Il sacerdote è cacciato, sostituito da un prete cristiano. [104-123]
Il sacerdote vaga smarrito nel bosco. Infine si ritrova di fronte alla porta del tempio. La folla se ne è andata, è rimasto solo il prete. I due si guardano, si riconoscono; erano stati compagni di scuola, amici fraterni. Il prete si commuove a vedere l’anziano sacerdote macilento ed esausto. Questi lo implora di salvare almeno la statua: gli cambi nome, o la nasconda. In nome della vecchia amicizia, il prete sta per cedere. [124-214]
Ma ecco che torna la folla: la statua viene fatta a pezzi, i frammenti gettati da un dirupo nel mare. Il vecchio sacerdote si arrampica sullo scoglio, guarda disperato la riva. Per l’ultima volta nella vita vede tramontare il suo dio, il Sole.
Si fa notte. Dal tempio si ode risuonare un inno cristiano. Anche il vecchio capraio si è accostato reverente al nuovo culto. Infine il silenzio, rotto solo dal belato di un capretto. [214-234]


Post Occasum Urbis (1907)
Dopo il tramonto dell’Urbe

Poemetto diviso in tre episodi; al concorso di Amsterdam del 1907 il primo e il terzo, presentati insieme, ebbero la magna laus al secondo posto; il secondo, la magna laus al terzo posto.
Esametri.

I. Solitudo – Solitudine. Totila, re dei Goti, occupata Roma, permette ai suoi soldati il saccheggio della città, dopo aver fatto suonare le trombe per far fuggire i cittadini. Mentre i barbari si danno alla rapina, uccidendo i pochi che non sono fuggiti, a Totila compare un fantasma; è lo stesso demone che un secolo e mezzo prima era apparso al visigoto Alarico, ordinandogli di distruggere la città. Ma quello non aveva avuto il coraggio. Ora tocca a Totila. Il re sta per dar mano alle fiaccole, quando si ricorda delle parole dette anni prima da un monaco (San Benedetto): Roma non sarà distrutta dai barbari, ma andrà in rovina da sé. [1-41]
Terminato il saccheggio, una tromba chiama i Goti nel foro. Per ordine del re, il Senato romano fa la sua ultima adunanza. Di fronte ai pochi senatori superstiti Totila dice che, se volesse, potrebbe distruggere la città: questo è il diritto dei vincitori, a cui tante volte i Romani si appellarono. Ma non lo vuol fare; piuttosto, condurrà con sé schiavi i senatori e i pochi cittadini superstiti. Roma rimarrà deserta. [42-94]
I poveri superstiti che escono dai nascondigli, spinti dalla fame, vengono portati via come bestie. Il sole tramonta su una città deserta; poi sorge di nuovo, tentando invano di svegliarla.
Passano le stagioni, ben presto viene la primavera. Dalle rovine, dai sepolcri, dalle piazze, Roma, che un tempo era chiamata Flora, sparge al vento fiori che nessuno vede. [95-131]

II. Sanctus Theodorus – San Teodoro. Per un certo tempo il gruppo bronzeo della Lupa che allatta i gemelli fu conservato in una chiesa dedicata a San Teodoro, ai piedi del monte Palatino. A questa chiesa arriva una povera donna, con un bambino in braccio. Non ha latte per il suo bambino; è venuta a questa statua, che si riteneva miracolosa, per ottenere la guarigione. Il custode della chiesa la scaccia: non è più tempo di credenze pagane. La lupa non è più lì, è stata gettata via. Si rivolga piuttosto a San Teodoro, eroico combattente della fede, che distrusse innumerevoli idoli pagani, e, martirizzato, salì al cielo. [132-213]
La donna si allontana, ma non ha il coraggio di tornarsene al paese in pieno giorno. Vaga per le rovine, cercando di consolare il bambino che piange sempre più piano. Ad un certo punto sente una folla: lì vicino c’è la chiesa di Santa Anastasia, e i fedeli si stanno radunando per la preghiera. Spaventata, si rifugia in un antro. Alzando il capo vede, coperta da frasche, la Lupa, che sta allattando i suoi piccoli, col capo rivolto verso Roma futura. [214-241]

III. Pallas –Pallante. [Tema ripreso nell’Inno a Roma]. Dei predoni scavano ai piedi del Palatino in cerca di tesori. Li guida un monaco, esperto dei luoghi e della storia di Roma. Penetrano in una caverna, e vedono, alla luce di una lanterna, il corpo incorrotto di un uomo, col petto aperto da una grande ferita, sepolto con tutte le sue armi, tranne la spada e il balteo. Si stupiscono che sotto terra possa ardere una lucerna, senza estinguersi. Spiega il monaco che quello è sicuramente il corpo di Pallante, morto per difendere Roma, quando Roma ancora non era. Ora Roma non è più, abbattuta dai barbari. I ladri cercano di spegnere la lampada, esponendola al vento, addirittura gettandola nell’acqua; ma è inutile. Allora la ripongono al suo posto, e se ne vanno, prima che sorga il giorno. E lì la lampada resterà in eterno, vegliando sull’eroe e su Roma. [242-319]


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