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Ioannis Pascoli Carmina

Poesie latine di Giovanni Pascoli

Sunti 4

HYMNI (1911) – INNI

Hymnus in Romam
Inno a Roma

Fu presentato in una prima redazione di 100 esametri al concorso nazionale del 1911 per il Natale di Roma nel cinquantenario del Regno. Ottenne il secondo premio (il primo premio non fu assegnato). Il Pascoli lo ripubblicò pochi mesi dopo, in versione ampliata a 444 esametri, accompagnata da una versione italiana in endecasillabi sciolti e con la didascalia: carmen composuit lingua latina tum vetere tum recenti Johannes Pascoli. Il testo comprende molto materiale già utilizzato nella trilogia Post Occasum Urbis. I titolini in grassetto delle sezioni di questo riassunto sono presi dalla traduzione del Pascoli.

Il nome misterioso. Il Pascoli stesso spiega in una nota all’edizione del 1911: «Roma aveva tre nomi: Amor nei misteri, Flora in cielo, Roma in terra. Così dicono Fozio e Solino. Secondo alcuni (Reinach, Orpheus p. 156) il nome segreto rimase segreto». Con il nome Amor ora la vuole chiamare. [1-12]
Il primo eroe. Viene rievocato il funerale di Pallante, il primo eroe morto per Roma, quando Roma ancora non era, e sul Campidoglio vi era solo la capanna del re pastore Fauno. [13-45]
Lupi e aquile. Siamo al momento della fondazione di Roma. La data del 21 aprile viene messa in relazione con la festa delle Parilie, dedicata alla dea della pastorizia Pales, quando uomini, campi e animali venivano purificati con acqua e fuoco. Ora i giovani che stanno per trasferirsi nella nuova città bruciano le loro vecchie case. [46-63]
L’aratore. Intanto sul Palatino Romolo, il pastore, sta tracciando il solco della Roma quadrata, osservato con astio da Remo, il contadino.[64-80]
Le voci del fiume e del mare. Il Tevere e il mare profetizzano l’avventura di Roma nel mondo. [81-93]
La rissa. Mentre si offre una giovenca a Pales scoppia una rissa tra pastori e contadini, e sulla terra scorre il sangue. [94-111]
L’ascia. L’ascia che aveva scavato la terra e si era macchiata di sangue viene consacrata alla Terra madre; da allora i Romani sotterrano un’ascia dovunque conquistano e costruiscono città. [112-127]
Le strade. Dal cippo d’oro presso il tempio di Saturno si dipartono le strade per tutte le parti del mondo. [128-142]
La legione. Le legioni portano le insegne di Roma dovunque. [143-158]
I messaggeri. Di fronte agli eserciti romani avanzano, invisibili, i Dioscuri. [159-180]
Ai due gemelli. Ai fratelli divini, Castore e Polluce, il Pascoli accosta idealmente i due gemelli allattati dalla lupa. [180-201]
La vergine massima. La Vestale anziana attende l’annuncio della vittoria. [202-208]
Il passo di Roma. Così andava Roma verso l’impero. [209-216]
I due imperatori. L’Imperatore (qui raffigurato secondo l’immagine equestre di Marco Aurelio) dava al mondo la pace. Ma ormai si fa avanti un nuovo imperatore, imperatore dei sacrifici: è Bonifacio VIII, rappresentato mentre si proclama Cesare di fronte agli ambasciatori di Alberto d’Austria. [217-244]
Gli dei. Roma accolse tutti gli dei; ma fu ostile ad un solo Dio. I suoi seguaci, dopo le persecuzioni, alla fine trovarono in Roma la pace.[245-273]
Le favisse. Gli antichi dei scendono a riposare per l’eternità nelle cisterne sotterranee attorno agli antichi templi. [274-296]
L’esecrazione. I Barbari conquistano Roma e la svuotano dei suoi abitanti. [297-314]
Il grande sepolcro. Roma rimane deserta. [315-335]
Il nome celeste. All’inizio della primavera Roma deserta si riempie di fiori, a ricordare il suo nome celeste Flora. [336-346]
A Flora. Flora deve tornare a diffondere la civiltà. [347-388]
Il primo colle e i primi pastori. Il Palatino è nuovamente aperta campagna, benché ingombra di rovine. [389-408]
Il sepolcro del primo eroe - La lampada inestinguibile. Viene ripreso dal Post Occasum Urbis il mito della tomba di Pallante. [409-432]
A Roma eterna. Roma vivrà in eterno, lampada di vita. [433-444]


Hymnus in Taurinos (1911)
Inno a Torino

Fu pubblicato sei mesi dopo l’Inno a Roma. Il poemetto latino è in 422 esametri, divisi in sette sezioni. La traduzione italiana, pubblicata contemporaneamente, è in endecasillabi, divisi, nelle prime tre sezioni, in gruppi di 3, 4, 5; la sezione centrale è in endecasillabi sciolti; le ultime sezione mostrano raggruppamenti per 5, 4, 3. I titolini riportati qui di seguito sono presi dal commento all’edizione mondadoriana.

Invocazione e protasi. Il toro, simbolo dei Taurini, giace da millenni ai piedi delle montagne, fra due fiumi, pronto a rintuzzare l’assalto dei nemici; e quando muggì, ne risuonò tutta l’Italia. [1-20]
La migrazione dei Taurini. Il Pascoli identifica questo toro con quel vitello che diede il nome agli Itali. Quando fu tempo della migrazione (ver sacrum) essi vagarono per la penisola; sostarono brevemente nella zona dove doveva sorgere Roma; giunsero in Sicilia, da dove Ercole li respinse; infine giunsero ai piedi delle Alpi. [21-80]
La profezia. Nelle montagne fu allora pronunciata la profezia di un Re cacciatore, che riunirà il Toro all’Italia. [81-120]
Annibale. Quando Annibale violò i confini dell’Italia i Taurini gli si opposero con le armi. [121-153]
Iulia Augusta Tarinorum. Poi i Taurini videro Cesare che conduceva gli eserciti romani oltre i confini. Fermatosi alla capanna di un re locale, Cesare disse che avrebbe preferito esser primo qui, che secondo a Roma. Il re gallo disse che accettava l’augurio, e sarebbe stato lì, finché non potesse essere il primo in Roma. Allora Cesare costruì una città a guardia di quei luoghi. [154-207]
La croce di Costantino. Presso Torino si svolse uno scontro tra Costantino e Massenzio. I Taurini non riconobbero come Romani i soldati di Massenzio, coperti da pesanti corazze di ferro. Ma accolsero la croce, il simbolo dell’armata vincitrice di Costantino, e la circondarono di azzurro, poi la sovrapposero al tricolore. [208-223]
La Corona d’Italia. Intanto Roma era crollata, ed era duca dei Taurini Agilulf, un Longobardo. Egli divenne re, e su consiglio della moglie Teodolinda fece pace con Roma. Poi costruì in Monza una chiesa a San Giovanni, dove venne conservato il chiodo, trasformato nella corona d’Italia. [224-261]
Il Duca Ferreo. Per un certo tempo i Taurini persero la loro città; ma la riprese il duca Emanuele Filiberto, Testa di Ferro. [262-280]
Il Risorgimento. Da ogni parte d’Italia si levavano grida di dolore, quando il re profetizzato lanciò la guerra oltre il Ticino. Mille uomini partirono su due navi per liberare la Sicilia. Infine, cinta la corona d’Italia, il re Emanuele arrivò a Roma. [281-302]
Iulia Augusta Taurinorum. Nuova lode di Torino e della sua terra. Torino ha conservato per secoli la forma della città quadrata romana, e l’antica disciplina. [303-358]
La città operosa. Ora questa disciplina si è trasformata nell’ordine delle officine. [359-378]
La Gran Madre. Ma Torino è anche piena di fanciulli, che popolano le palestre, le scuole e i parchi; e questi fanciulli hanno cantato, in occasione dell’impresa di Libia, l’Italia che varca i mari. [379-422]


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