Giovedì 4 gennaio 2001    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO IV

Osservazioni sull’uso de’ nomi alterati.

(Gramm., Parte II, cap. IX)

§ 1. Avvertenze generali. È singolar privilegio della lingua italiana l’avere così spesso i modi per esprimere con una sola parola la sostanza o la qualità accompagnate dalle idee accessorie di grossezza, piccolezza, graziosità, viltà, e malvagità; adoperando gli accrescitivi, i diminutivi, gli spregiativi, i peggiorativi. Non si deve però credere che sia facile l’usar bene di questi modi senza aver molta pratica degli scrittori o piuttosto del vivente parlar toscano; poichè l’uso di essi non è già arbitrario del tutto, ma regolato da leggi generali, e in molti casi da quel genio della lingua, che non s’impara se non che con una lunga consuetudine del popolo, dal quale essa è meglio parlata. Crediamo quindi necessario fare alcune avvertenze su tal proposito, dichiarando e compiendo le cose già insegnate nella Grammatica.

§ 2. I nomi alterati non si usino sempre. Primieramente non si può nè si deve, quando abbiasi da esprimere la sostanza accompagnata dalle proprietà suddette, usare sempre il sostantivo alterato; anzi è necessario servirsi spesso degli aggettivi grande, grosso, piccolo, vile, brutto, cattivo ecc. come fanno altre lingue che mancano o scarseggiano dei nomi alterati. Non è possibile dare in questo una regola fissa; ma in generale diremo, che i nomi alterati si usano quando la proprietà da essi indicata non deve esser posta molto in rilievo, perchè, se l’attenzione dovesse fermarsi principalmente su quelli, converrebbe meglio sciogliere il nome alterato con uno degli aggettivi riportati sopra. Eccone qual che esempio: Mi parve veder .... entro a un fronzuto boschetto una valletta assai graziosa, fra le varie erbette .... della quale rosseggiasse l’acceso colore delle fresche rose. Firenzuola. – Aveva d’intorno (si parla di una piccola bimba) un frontaletto tessuto d’oro, certi calzaretti indorati, ed un paio di brachine di broccato. Caro. – Mi vidi innanzi agli occhi un carro grandissimo comparire, mezzo bianco come l’avorio e mezzo nero a guisa dell’ebano. Dal lato destro era una grandissima colomba bianca conte la neve, e dal sinistro uno smisurato corbo (corvo) nero a similitudine di brace spenta. Lasca – Io mi credeva che fosse un uomo grande e appariscente. Passavanti. – Aveva una spada dalla mano destra e dalla sinistra una gran torcia. Lasca. – Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde terminata in una gran nappa e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo. Manzoni. –D. Abbondio stava sur una vecchia seggiola al lume scarso d’una piccola lucerna. Manzoni.

§ 3. Nomi alterati da evitarsi. Spesso il nome alterato non può formarsi, o perchè malsonante all’orecchio e aborrente dal genio della lingua, o perchè goffo e ridicolo, o perchè equivoco rispetto ad altre parole. Sarebbero strani da lupo, lupone, lupetto, mentre ben si usa lupicino; da colomba, colombone; da corbo o corvo, corbone ecc. (vedi qui sopra gli esempii); da calice, calicino, mentre bene si usa calicetto ecc. Per la stessa ragione del cattivo suono non si può ripetere il medesimo suffisso di alterazione; come sarebbe libron-one, omacciaccio, cassettetta.

Sarebbero equivoci da monte, montone (il capro); da acqua, acquetta (specie di veleno); da lupo, lupino (legume noto); da vento, ventino (moneta); da mulo, mulino (macchina da macinare) invece di muletto; da foglia, foglione (foglio grande) invece di fogliona; da sacco, saccone (materasso) ecc. Così diceva uno che veniva barcollando sotto un gran sacco di farina. Manzoni.

§ 4. Nomi che non si alterano. I nomi astratti che significano un concetto della mente, o i nomi che indicano materia, quando sono presi nel loro vero e primo significato, non soffrono, per regola generale, le alterazioni; sia per il loro stesso significato, sia puro pel suono che molti hanno, restio ad assumere un suffisso; come avviene di quelli terminati in o , ezza (verità, beltà, dolcezza). Altri nomi astratti che indicano facoltà ed inclinazioni umane, soffrono talora qualche alterazione, come p. es. da passione, passioncella, da affezione, affezioncella; vizio, viziarello; capriccio, capriccetto; voglia, vogliuzza ecc. ecc.

§ 5. Aggettivi alterati. Non di rado patiscono alterazione anche gli aggettivi. Essi talora non tanto indicano diminuzione o accrescimento o peggioramento d’una qualità, quanto del soggetto che di quella qualità è fornito. La quale riuscì poi bellina e piacevolina a meraviglia. Lasca. – Esce .... a guisa di fanciulla .... L’anima semplicetta che sa nulla. Dante. – Come le pecorelle escon del chiuso Ad una, a due, a tre, e l’altre stanno Timidette atterrando l’occhio e ’l muso. Dante. – Que’ belli amorini non erano se non latte e sangue, così grassottini, che avresti creduto ch’e’ fossero stati Cupidini daddovero (davvero). Firenzuola. – Escono i cani addosso al poverello Che di subito chiede ove s’arresta. Dante. – Il poveraccio Non è altro che un uom troppo bonaccio. Bellini. – Le donne venivano dal campo tenendo per la mano i ragazzi più grandini. Manzoni.

§ 6. Alterazione rinforzata. Accanto al nome alterato si pone spesso, per rinforzarne l’alterazione, qualche aggettivo; p. es. Era il detto luogo sopra una piccola montagnetta. Boccaccio. – Noi siam qui presso ad un pozzo, al quale suole sempre essere la carrucola e un gran secchione. Boccaccio. – Un pancione smisurato che pareva tenuto a fatica da due braccia piegate. Manzoni.

§ 7. Accrescitivi di nomi femminili. Gli accrescitivi sostantivi femminili escono regolarmente in one, anzichè in ona (vedi Gramm., I, IX, 3), eccettuato il caso che possa cadere equivoco sul sesso della persona. Parlando famigliarmente questa regola non si osserva sempre; ma nelle buone e corrette scritture pochi esempii si trovano in contrario, e questi o sono voci astratte, come memoriona usata dal Caro, o servono a fuggire equivoci, come testona e figurona (poichè testone e figurone avrebbero altro significato), e fogliona, che deve distinguersi da onglione aumentativo di foglio. Altre poche volte l’accrescitivo in ona ha più grazia, e però si preferisce, come donnona e femminona (donnone e femaminone terrebbero del mostruoso), ariona (una bella ariona, cioè, fisonomia aperta e maestosa), scarsellona ecc.

§ 8. In generale i nomi alterati maschili hanno più forza dei femminili; esprimono cioè un’alterazione maggiore, e talora acquistano anche un significato tutto particolare: p. es. stanzino dice una stanza assai più piccola che stanzina, tantochè è venuto a significare anche la piccola stanza dell’agiamento; scarpino ha senso diminutivo più che scarpina; gonnellino più che gonnellina; casino più che casina, e indica eziandio una casa da giuoco, bocchino più che bocchina e ritrae meglio il vezzeggiativo. Sacchetto è più piccolo di sacchetta, come taschino di taschina, e cassetto di cassetta. Talora l’alterato femminile (anche fuori del suffisso ona) manca, come da casa non si fa casotta, ma casotto; da lampana non si fa lampanina, ma lampanino; da cuffia, cuffiotto; da porta (con s intensiva) sportello.

§ 9. Differenza di senso nei nomi alterati. Fra le diverse alterazioni d’uno stesso nome vi ha spesso una differenza di significato più convenzionale che ragionevole; la quale non si può apprendere che dall’uso del popolo toscano e dai vocabolarii. Noi rimettendoci a questi sussidii, ne daremo pur qualche esempio, per mostrare in generale una delle più singolari proprietà di nostra lingua.

Campana. Campanella, più di rado campanetta, indica una campana piccola, ma non tanto, che non serva ai medesimi uffici della campana grande, cioè o all’uso d’una chiesa o d’una comunità; e da campanella si fa campanellina: campanello è una campana più piccola, con manico che si suona o può sonarsi a mano, e se ne fa campanellino e campanelluccio. Campanaccia è il semplice peggiorativo generico di campana, mentre campanaccio indica un grosso e rozzo campanello che suona in modo scordato, come quello che si attacca al collo della bestia che guida il gregge.

Cassa. Cassetta è in generale una cassa bassa, ma larga, e in particolare quella che sta incastrata in un cassettone o in un armadio: cassetto è una cassetta più piccola e più stretta come quella che sta incastrata nei tavolini: cassone è una cassa grande, ove si ripone farina, o anche dove si mettono ciarpe alla rinfusa: cassettone è un mobile da camera con due o tre cassette, per riporvi biancheria: cassino è una specie di carretto a mano, fornito di alte sponde e coperto.

Libro. Libretto è, in un senso tutto particolare, quel quaderno o fascicolo che contiene il componimento drammatico per musica. Libriccino e libricciuolo hanno spesso il senso tutto speciale del libro che contiene l’Uffizio della Madonna ed altre preci. Librettine (plurale) è un diminutivo particolare che significa l’Abbaco.

Pelle. Pellicina è una pelle piccola e sottile, per lo più concia, come quella, di cui si coprono i libri. Pellicola è una membrana sottile che copre e involge qualche cosa a guisa di pelle. Pellolina indica in generale una pelle sottilissima.


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