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Polemiche scolastiche


L’insegnamento della storia antica alle superiori

Io appartengo ad una generazione che ha studiato la storia antica come semplice supporto della storia letteraria. Al liceo sapevo tutto sulla congiura di Catilina, e sulle miserabili beghe del comune di Firenze; ma tutto quello che c’era prima, dopo e durante nel resto del mondo era nebbia. Anche importanti momenti e problemi della storia delle civiltà greca, romana e medioevale erano sconosciuti: l’età ellenistica era un buco nero, Bisanzio un vecchietto che continua a decadere per mille anni e non si decide mai a morire, settecento anni di civiltà araba in Spagna un piccolo paragrafo scritto in corpo 8.

Da quando insegno mi sono sempre sforzato di dare un quadro d’insieme almeno delle civiltà antiche di cui siamo direttamente eredi, ma mi sono sempre scontrato con gravi difficoltà pratiche (leggi: programmi mai finiti). E non sono più tanto sicuro che questa sia la strada giusta.

Semplificando, per me le scelte possibili sono due:

  1. Allargare l’orizzonte della storia: nel tempo, almeno al paleolitico superiore: nello spazio, almeno alle più importanti civiltà mediterranee ed europee (lasciando da parte le civiltà extraeuropee, anche perché ne so troppo poco).

    Pro. La storia antica deve essere in primo luogo storia della civiltà. Dobbiamo passare da una visione della storia come successione di eventi, ad una storia come seguito di profonde trasformazioni antropologiche. Alcune svolte, molto lontane nel tempo e nello spazio, hanno lasciato un’impronta indelebile, che ancora adesso possiamo riconoscere. La storia dell’umanità è stata, fino a pochi decenni fa, la storia di un mondo prevalentemente contadino: la rivoluzione neolitica è sicuramente un momento di passaggio cruciale, forse la rivoluzione più radicale di tutti i tempi. L’invenzione della scrittura, il sorgere dello stato e della civiltà urbana, sono fatti troppo importanti per rimanere nella notte dei tempi, ma devono essere esaminati nella loro profonda complessità.

    Anche alcune importantissime vicende della storia spirituale dell’uomo devono venire più chiaramente in luce: Zoroastro non era un mago "orientale", ma il fondatore della prima religione che poneva al centro il problema etico; la Bibbia non è un libro di lettura devota, ma il documento di una graduale e straordinaria presa di coscienza sui grandi temi dell’esistenza. È una storia che privilegia il "diverso": quando sento dire da qualche allievo che gli Egiziani erano "scemi" perché offrivano cosciotti di vitello ai morti, come se i morti potessero mangiare, mi lancio in un’accesa filippica sulla necessità di capire un modo di pensare profondamente diverso dal nostro, che non possiamo giudicare in base ad una nostra visione dell’esistenza, che in fondo è tanto parziale e relativa quanto la loro. È infine la prospettiva più vicina alla ricerca scientifica moderna: l’antichità non è un mucchio di cocci polverosi, ma uno dei settori più vivo della ricerca contemporanea; l’archeologia ha fatto enormi progressi soprattutto grazie all’applicazione delle tecniche più avanzate. È chiaro che in questa prospettiva gli "eventi" passano in secondo piano; uno si studierà la congiura di Catilina al momento di leggere le orazioni di Cicerone, e non penserà più che il corso della storia umana - o anche solo italiana, o anche solo toscana - sia dipeso dalle zuffe tra Bianchi e Neri; quando sarà il momento, si leggerà le note alla Divina Commedia.

    Contro. C’è il rischio del minestrone: una storia in cui si accavallano faraoni e baroni, druidi e crociati, che si adagia in penose banalità (gli scribi si chiamano così perché sanno scrivere, e i ricchi stanno bene mentre i poveri stanno male). Senza offendere nessuno, una storia come quella che - a volte, temo - si insegna nella scuola media. Oppure - quello che capita a me - il rischio di non finire mai i programmi, di spiegare nei dettagli l’origine della scrittura cuneiforme e di non arrivare in tempo per trattare in modo decente gli Etruschi e la romanizzazione della Gallia.

  2. Restringere il campo di applicazione della storia a pochi settori: Greci (magari con un po’ più di attenzione per i Greci d’Italia  e l’ellenismo) Romani (integrati con una migliore conoscenza dell’Italia preromana) Medioevo (un po’ più di civiltà bizantina e musulmana). Tra l’altro, credo che il Ministero si stia orientando in questo senso.

    Pro. Si segue il principio, a me molto caro, del poco e bene; è inutile coltivare l’illusione dell’enciclopedismo; se quello che conta non sono le informazioni, ma il metodo, allora solo con l’approfondimento di un campo specifico si potrà dare una visione chiara del metodo scientifico, e della complessità delle problematiche affrontate dalla ricerca storica. Inoltre, si trattano i momenti fondamentali per la comprensione del nostro mondo; la matematica, la democrazia, il teatro, la stessa storia sono invenzioni greche. Infine, alcuni dei momenti più fortemente innovativi della nostra storia, Rinascimento in testa, sono stati segnati proprio dalla ripresa della tradizione classica; per guardare al futuro bisogna innanzitutto guardare al passato - al nostro passato.

    Contro. Si rischia di dare un’immagine stereotipa, non scientifica ma celebrativa, della nostra storia. Gran parte del corpo insegnante ha avuto un’educazione retorica, non scientifica; ma le gloriose gesta dei Romani non interessano - giustamente - a nessuno. Inoltre, si rischia di considerare il nostro mondo come l’unico, e anche il migliore, dei mondi possibili; si ignorano i fondamentali contributi di altre civiltà alla storia dell’umanità.

Allora, l’anno prossimo, che mi dite di fare?

4 Aprile 1998

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