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Polemiche scolastiche

In seguito alla vicenda del rinnovo del contratto degli insegnanti, e alla proposta ministeriale di attuare una verifica del «merito» per distinguerli in «bravi» e «meno bravi», alcuni hanno proposto che la valutazione degli insegnanti sia affidata al mercato.

Il merito, il mercato, i classici. Prima puntata

In una società di produttori di merci, che differenza c’è tra una fabbrica di istruzione e una fabbrica di salsicce? Assolutamente nessuna, diceva Karl Marx. (Il Capitale, libro I, sez. V cap. XIV)

La discussione in corso sulla valutazione del merito degli insegnanti ha avuto su di me l’effetto benefico di una ventata di giovinezza. Mi sono arrampicato su una sedia per raggiungere alcuni libri che intristivano da anni nello scaffale più alto della mia libreria. I classici! Adam Smith e Karl Marx! Che gioia. In primo luogo, gente che sapeva scrivere (fu proprio il tedesco a parlare del «godimento» che gli procurava la lettura dei grandi economisti inglesi). E poi, come tutti i classici, profeti, molto di più di quanto loro stessi si proponessero.

Quando il più assiduo frequentatore della biblioteca del British Museum paragonava la produzione di istruzione alla produzione di salsicce, sapeva di enunciare un paradosso, addirittura una provocazione. Egli sapeva benissimo che quella che stava analizzando era in realtà un’astrazione, e che la società europea si stava già adoperando per rendere la realtà della vita sociale diversa da quel modello di puro scambio di merci che è descritto nel Capitale. Per oltre un secolo e mezzo, la legislazione inglese sulle fabbriche e la contrattazione sindacale, le legislazioni sociali di Bismark e F. D. Roosevelt, la giornata delle otto ore e lo Statuto dei lavoratori si sono proposti di introdurre nell’economia capitalistica mediazioni e regolazioni, previdenze e istituti che in qualche modo facessero da contrappeso alle semplici leggi di mercato. In sostanza, per rendere inattuale il pensiero di Karl Marx.

La società del nuovo millennio e della New Economy, che non legge più i classici, sta invece facendo un impressionante salto indietro. Ben più degli utopisti del Settecento, innalza le leggi di mercato al ruolo di unico regolatore di ogni aspetto della vita sociale. In modo sempre più evidente l’idea di mercato si sta sostituendo all’idea di democrazia: dalla sovranità dei cittadini, alla sovranità dei soggetti economici. Ed è una sovranità assoluta, che spazza via d’un tratto secoli di liberalismo - cioè quella corrente di pensiero politico che si proponeva di porre dei limiti ad ogni forma di sovranità assoluta, che fosse la sovranità assoluta dei Tudor e dei Borboni o quella delle assemblee rivoluzionarie.

Si fa ora avanti un’idea radicale e giacobina di democrazia economica.

Quando il giudeo Karl Marx, erede di una lunga tradizione di umorismo yiddish, paragonava la produzione di cultura alla produzione di salsicce, sapeva benissimo di fare un motto di spirito. I profeti del nuovo Verbo liberista, alcuni dei quali cattolicissimi, appaiono invece del tutto tetragoni ad ogni sense of humor, e nella loro naïveté si propongono una riforma scolastica che porti veramente a gestire le scuola come fabbriche di salsicce.

Ogni grande rivoluzione si annuncia con un ritorno ai classici. I grandi del Rinascimento studiavano Platone e Vitruvio; Machiavelli postillava Livio e Plutarco; la Rivoluzione Francese venerava le virtù repubblicane, gli Orazi e i Curiazi. All’alba della New Economy è ora di rimaneggiare la nostra biblioteca per mettere di nuovo a portata di mano Adam Smith e Karl Marx. Ripeto: almeno era gente che sapeva scrivere.

Per ora mi fermo qua. Devo correre dal mio agente pubblicitario per mettere a punto la nuova campagna di Marketing - scusate: devo andare in Collegio Docenti per discutere di POF e di autonomia.


Il merito, il mercato, i classici. Seconda puntata

In piedi su una scaletta traballante arrivo in alto in alto in alto fino ad un altro classico polveroso, i Principi di Economia Politica di David Ricardo (prima edizione: Londra 1817).

Questo illustre economista inglese di origine sefardita escogitò grandi idee, ma è ricordato soprattutto per la cosiddetta «legge dei costi comparati» (Principi, c. VII), che può essere così sintetizzata. Se un paese (per esempio l’Inghilterra) è competitivo sul mercato internazionale nella produzione del bene A (per esempio tessuti di cotone), e invece nella produzione del bene B (per esempio il vino) non può reggere la concorrenza, è inutile che si sforzi di incrementare la produzione del bene B; è molto più conveniente che concentri le sue risorse nella produzione del bene A, nel quale ha già un alto livello di efficienza, mentre per il bene B potrà rifornirsi sul mercato estero (per esempio dal Portogallo).

Altro esempio, più attuale. Gli Americani sanno benissimo di avere un sistema scolastico che fa schifo; ma allegramente e pragmaticamente se ne fottono. Perché sforzarsi di migliorare la loro produzione di tecnici e laureati, quando due interi continenti (Europa ed Asia) ne producono di ottimi a costi molto più bassi? (Se fossero coerenti fino in fondo, dovrebbero chiudere tutte le loro scuole; non solo risparmierebbero, ma forse avrebbero anche un po’ meno di adolescenti morti ammazzati. Nessuno è perfetto: in America c’è ancora qualche residuo di economia keynesiana, e si considera politicamente utile mantenere a spese della società qualche migliaio di sfaticati che non saprebbero fare altro mestiere che insegnare.)

L’esportazione di software in tutto il mondo contro l’importazione di tecnici europei ed asiatici da impiegare nell’industria del software è uno dei segreti del tumultuoso sviluppo dell’economia americana degli ultimi anni, così come nella prima metà del XIX secolo l’Inghilterra si arricchì esportando tessuti di cotone ed importando vino portoghese e cotone indiano: ed anche senza aver letto David Ricardo tutti sanno, fra l’Inghilterra e il Portogallo e l’India, chi ci ha guadagnato di più. (Faccio notare, tra parentesi, che non solo gli Inglesi non cercarono mai di produrre vino in casa loro; ma neppure i Portoghesi pensarono di dover imparare la viticoltura dagli Inglesi. Invece, per motivi a me ignoti, alcuni Europei, segnatamente molti Italiani, sono così svitati da pensare che noi dobbiamo copiare il sistema scolastico americano.)

E dunque, viva il mercato, come ci insegnano i classici. Ma mercato per tutti, e non solo per gli «altri»; perché in Italia siamo tutti liberisti, quando si tratta degli affari degli altri, ma per sé, ognuno vuol coltivare il suo orticello, e i giornalai vorrebbero la licenza esclusiva per vendere i giornali, i tabaccai difendono le loro licenze di tabaccai, i professionisti i loro ordini professionali ecc. Apriamo dunque alla concorrenza le scuole, valutiamo i professori in base alla customer satisfaction. Ma apriamoci al mercato anche per il prodotto finale. Non siamo mica più ai tempi dell’autarchia e della battaglia del grano! Se infatti posso comprare un’automobile coreana e un computer fatto a Taiwan, perché un datore di lavoro dovrebbe assumere tecnici e laureati italiani? Non dovremmo lasciarlo libero di assumere tecnici e laureati cinesi, indiani e coreani - provenienti cioè da paesi dove per gente come i nostri spensierati riformatori vige il taglio della mano? (della mano destra o della mano sinistra, ovviamente, a seconda del colore politico).


Il merito, il mercato, i classici. Terza puntata

Mettiamoci comodi.

.... Assai bene è trascorsa
d’esta moneta già la lega e ’l peso,
ma dimmi se tu l’hai nella tua borsa.

Ho visto che si torna a discutere sulle tre cantiche; se sia più bello l’Inferno o il Purgatorio o il Paradiso. Non credo che a Karl Marx interessasse fare delle graduatorie; ma sicuramente amava molto il Paradiso, visto che lo cita (e lo cita in italiano) nel I libro del Capitale. Se ricordo bene, è l’unica citazione poetica dell’opera (ricordo bene? aspettate, adesso vado a controllare).

Che c’entra con la valutazione del merito degli insegnanti? Niente. Per questo ho detto: mettiamoci comodi.

Si fa un gran parlare di didattica breve. Ma vi confido un gran segreto (ve ne confiderò altri in questo messaggio). Ogni didattica è necessariamente lunga. Non nel senso che si deve andare a scuola fino all’età della menopausa, ma nel senso che una sana pedagogia non può vivere con l’assillo del massimo risultato nel minimo tempo. Il primo precetto di ogni sana pedagogia è: mettiamoci comodi.

Visto che adesso siete comodamente seduti, vi dirò qualcosa che sicuramente vi farà saltare sulla sedia. In fondo gli stipendi da fame sono l’unica garanzia che nella scuola vi siano anche delle persone intelligenti. Solo una persona veramente intelligente può decidere di guadagnare poco pur di fare un mestiere intellettualmente e umanamente gratificante.

Se siete ancora in grado di connettere dopo questa sconvolgente rivelazione, vi dico che questo, naturalmente, vale solo se il lavoro dell’insegnante è effettivamente un lavoro intellettualmente e umanamente gratificante. Cioè un lavoro in cui, in primo luogo, si sta comodi. Per essere umanamente e intellettualmente gratificati bisogna aver il tempo di pensarci su e di guardarsi intorno.

E non pensate che queste siano ubbìe da letterato. Sicuramente anche chi insegna materie scientifiche o tecniche è un bravo insegnante se in primo luogo ama il suo lavoro, non sta tutti i momenti a guardare l’orologio, è disposto a perdere mezza giornata per affrontare una deviazione dal normale programma di studio, è disposto a passare una serata a studiare una questione solo per il gusto di imparare cose nuove e per il piacere di presentare la sua materia ai ragazzi da un punto di vista insolito. Se è disposto, in una parola, a lavorare in modo poco efficiente. Ne ho conosciuti, di insegnanti così. E mica erano tutti filosofi o poeti, erano anche insegnanti di chimica e di agraria.

Si vuole misurare il merito degli insegnanti. Per esempio, facciamo alla fine di ogni anno scolastico un esame agli allievi, valutiamo quanto hanno imparato, e in base a questo paghiamo l’insegnante.

Un simile ritrovato avrà sicuramente una serie di effetti.

15-16 Settembre 2000

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