Mercoledì 3 febbraio 1999    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.
matrimonio

Marcia nuziale

La mairie se trouvant à une demi-lieue de la ferme, on s’y rendit à pied, et l’on revint de même, une fois la cérémonie faite à l’église. Le cortège, d’abord uni comme une seule écharpe de couleur, qui ondulait dans la campagne, le long de l’étroit sentier serpentant entre les blés verts, s’allongea bientôt et se coupa en groupes différents, qui s’attardaient à causer. Le ménétrier allait en tête, avec son violon empanaché de rubans à la coquille; les mariés venaient ensuite, les parents, les amis tout au hasard, et les enfants restaient derrière, s’amusant à arracher les clochettes des brins d’avoine, ou à se jouer entre eux, sans qu’on les vît. La robe d’Emma, trop longue, traînait un peu par le bas; de temps à autre, elle s’arrêtait pour la tirer, et alors délicatement, de ses doigts gantés, elle enlevait les herbes rudes avec les petits dards des chardons, pendant que Charles, les mains vides, attendait qu’elle eût fini. Le père Rouault, un chapeau de soie neuf sur la tête et les parements de son habit noir lui couvrant les mains jusqu’aux ongles, donnait le bras à madame Bovary mère. Quant à M. Bovary père, qui, méprisant au fond tout ce monde-là, était venu simplement avec une redingote à un rang de boutons d’une coupe militaire, il débitait des galanteries d’estaminet à une jeune paysanne blonde. Elle saluait, rougissait, ne savait que répondre. Les autres gens de la noce causaient de leurs affaires ou se faisaient des niches dans le dos, s’excitant d’avance à la gaieté; et, en y prêtant l’oreille, on entendait toujours le crin-crin du ménétrier qui continuait à jouer dans la campagne. Quand il s’apercevait qu’on était loin derrière lui, il s’arrêtait à reprendre haleine, cirait longuement de colophane son archet, afin que les cordes grinçassent mieux, et puis il se remettait à marcher, abaissant et levant tour à tour le manche de son violon, pour se bien marquer la mesure à lui-même. Le bruit de l’instrument faisait partir de loin les petits oiseaux.

Gustave Flaubert

Il municipio era a una mezza lega dalla fattoria, tutti vi andarono a piedi e a piedi tornarono dopo la cerimonia in chiesa. Il corteo dapprincipio tutto unito, sì che pareva una striscia multicolore ondeggiante per la campagna, presto si allungò per lo stretto sentiero che serpeggiava tra il grano verde, e poi si divise in gruppetti che si fermavano a chiacchierare. Alla testa di tutti camminava il sonatore con il riccio del violino impennacchiato di nastri. Venivano poi gli sposi, i parenti, gli amici, ormai tutti mescolati, e ultimi venivano i ragazzi che si divertivano a strappare le campanule dagli steli dell’avena o a giocare tra loro senza farsi vedere. Il vestito di Emma, troppo lungo, strascicava un poco, sicché, di quando in quando, ella si fermava per tirarlo su, e, delicatamente, con le dita inguantate, ne toglieva le erbacce, gli spini e gli aculei dei cardi. Charles, con le mani in mano, aspettava che avesse finito. Papà Rouault, con un cappello di seta nuovo e i risvolti della marsina nera che gli arrivavano fino alle unghie, dava il braccio alla signora Bovary madre, il signor Bovary padre, invece, che in fondo disprezzava tutta quella gente, e che si era presentato con una semplice redingote di taglio militare a una sola fila di bottoni, sciorinava galanterie da bettola a una giovane contadina bionda. Lei s’inchinava, arrossiva e non sapeva che cosa rispondere. Gli altri invitati allo sposalizio parlavano dei loro affari, o si davano pacche sulla schiena già esortandosi all’allegria. Tendendo l’orecchio, si sentiva sempre, là per i campi, il violinista che continuava a grattare sulle corde: quando si accorgeva che gli altri erano rimasti indietro, si fermava per riprendere fiato, passava ben bene la colofonia sull’archetto perché le corde stridessero meglio, e poi ricominciava a camminare, alzando e abbassando il manico del violino per darsi bene il tempo. Lo stridio dello strumento faceva volar via gli uccelli di lontano.

Trad. Ottavio Cecchi

Nella rappresentazione attenta, minuta ma non caricaturale, del suonatore, il tratto più autentico non è né il muoversi ritmico del manico del violino ornato di nastri, né il continuo sfregare dell’arco con la pece, nel vano sforzo di compensare la cattiva qualità dei crini e delle corde; ma il perdersi dietro la propria musica. Il violinista (ménétrier: menestrello; il termine italiano, connotato di un’insopportabile leziosità, è ormai inutilizzabile) è al servizio della comunità, ma nessun servizio è tanto egoistico. Guida il corteo, e la sua musica si sente per tutta la campagna (cosa impensabile nella discarica sonora in cui ora siamo costretti a vivere). Ma non suona per il pubblico; né per gli uccellini. Suona per sé.
Anche Emma tentò di studiare musica. Non era la stessa musica, per sua sfortuna.


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