Martedì 3 novembre 1998    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

Rubare

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Rubare, Rapire, Togliere, Involare, Furare.

– Si toglie cosa e altrui e propria; si toglie e di forza e con frode, e d’amore e d’accordo; si rapisce di forza, e quasi sempre l’altrui. – A.
Involare è rubar di nascosto; rubare è toglier l’altrui o di forza o furtivamente. Il Petrarca: «Come ruba per forza, e come invola». Il rapire, suol cadere sopra cose di maggior pregio che non fa il rubare, e il modo ne suol essere più violento e più temerario. Il rubatore sa di far male, e n’ha vergogna; che il rapitore provi rimorsi, è credibile, ma sovente e’ pretende giustificarsi allegando diritti, come quelli della conquista, dell’amore che si crede o che spera e vuole essere corrisposto, e simili. Onde il Martelli: «Sia d’alme alte rapir, rubar fia d’ime»; ironia da non potersi smentire sintantoché il bisogno sembri cosa più vile della cupidigia e dell’ambizione. – Polidori.
– Elena fu rapita; Troia, per il rapimento di Elena, messa a ruba e distrutta.
Rapire, e di persone e di cose; rubare, di cose, o di persone in quanto le son private della cose ch’ell’hanno. Le Sabine rapite da Romolo. Parlando di cose, si rapisce con violenza; si ruba ora con violenza ora con frode.
Si rapisce con atto reale; si ruba prendendo, si ruba litigando, si ruba negando quel ch’ad altri è dovuto, si ruba giuocando, tenendo di mano al ladro.
Si ruba una casa, una nave, una provincia, quando la si mette a ruba; rapisconsi le cose che dentro ci sono. Nel figurato, rubare il cielo (che non è bel traslato) vale, ottenerlo con piccolo sacrifizio; rapirlo, meritarlo combattendo per forza di costante coraggio. Segneri: «Se a te non basta l’animo né di rubarti il paradiso né di rapirtelo».
Furare è caduto da ogni uso, fuorché del verso. Il furto è inganno nascosto. I conquistatori rubano, non furano, quando devastano il paese nemico; ma quando nascondono al nemico una mossa per coglierlo sprovveduto, si dice (nella lingua scritta) che gli hanno furate le mosse.
Rubare il cuore, è men serio che rapire. Poi ti rapisce il cuore chi te lo vince d’amor prepotente, chi gli fa forza con pregi trascendenti, o che tali paiono a te. Ti ruba il cuore chi nel suo affetto ti trae a grado a grado; in maniera che prima di por mente agli effetti dell’amore, l’amore è penetrato ben dentro. Si rapisce il cuore di botto, si ruba adagio; si rapisce col merito, si ruba cogli artifizi. – Grassi.
Rapire in spirito, in estasi; rapire, toglier da’ sensi per eccesso di piacere. Questo disse Dante: rubare: «Oh imaginativa, che ne rube Talvolta sì di fuor, ch’uom non s’accorge Perché d’intorno suonin mille tube!» Non è modo comune; ma potrà dirsi tuttavia per distinguere il rapimento che viene da piacere, da ammirazione, da più o men nobile affetto, distinguerlo da un’idea, da una cura, che toglie l’uomo a pensieri e ad affetti ai quali dovrebbe sé stesso. In senso simile sogliam dire, rubare il tempo, rubare la pace. Con modo men famigliare dicesi che un pensiero, una cura, invola la mente a sé stessa, l’uomo al proprii doveri. In senso contrario disse Orazio: «Mihi me reddentis agelli».

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Rubare, Rapire, Truffare.

– Si può rapire anco il proprio, se si fa in modo brusco; si ruba e si deruba l’altrui. Si rapisce con violenza che non è sempre ostile.
Si truffa abusando dell’altrui buona fede per carpire qualcosa. Il codice austriaco definisce: «Chi con detti e fatti artifiziosi trae altri in inganno, e lo danneggia nell’avere o in altri diritti, è reo di truffa o di stellionato». Nell’uso comune, truffa riguarda sempre il danno dell’avere. Si ruba e in modo che il rubato se n’avvegga, e in modo che lo ignori; si truffa in modo che il truffato non se n’avvegga in sul primo. Si ruba anco non restituendo le cose tolte a prestito; si truffa col carpire a inganno. – Romani.

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Ruberia, Rubamento, Furto.

Il furto è segreto; la ruberia, sì o no. Ruberia è l’abito o una serie d’atti; rubamento, più propriamente, l’atto. Togliere di tasca una scatola, è furto; entrare in una casa, pigliare e andar via è rubamento. Stanotte, diciamo, è seguito un rubamento. Quel che era permesso in Isparta, era il furto, non il rubamento. Ci fu nazioni, e c’è gente, che vivono di ruberie. In queste supponesi per lo più violenza. Ma e d’imposte voraci, e di contratti iniqui e di frodi moltiplicate, e anco di sola una frode grave, esclamasi: È una ruberia.
Furto, innoltre, di piccole quantità; rubamento, di gravi.
Furtivamente, furtivo, di furto, usansi anco traslati di cose e atti più o meno celati, anco in senso innocente, o men reo e men vile del furto.

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Ruberia, Furto, Ladrocinio, Latrocinio, Ladroneccio, Rapina, Estorsione.

Furto, dice il Maestruzzo, è toglimento della cosa altrui mobile. Il Tratt. pecc. mort. : «Furto è tòrre le cose altrui occultamente, non se n’avvedendo colui di cui sono». Piuttosto: non lo consentendo; perché, talvolta, l’uomo a cui furto è fatto, s’avvede, ma differisce rivendicare il suo o trasanda, per compassione o per incuria o per provare.
Ruberia è togliere l’altrui di nascosto o in palese, e valore non piccolo [Villani: «Cinquecento cavalieri, vivendo di ratto e di ruberia». Novellino : «Sarebbe ruberia [e non furto], cioè a tòrre per forza»]. Ladrocinio è il prendere di forza valori alquanto rilevanti. Se il rubamento si fa con minaccia, con prepotenza, con arme alla mano, è rapina. Maestruzzo: «È la rapina più grave del furto? Risponde san Tommaso: Sì; imperocché la violenza è più contro alla volontà». (Ma c’è de’ furti più rei che rapine). Tratt. pecc. mort. : «Si chiama rapina tor la roba altrui violentemente e in manifesto, come fanno i ladroni di strada». La rapina, dunque, è ancor più manifesta del ladrocinio, perché non tutti i ladroni son ladroni di strada: e un furto grave, una ruberia commessa da governi o da privati, una frode audace e dannosa chiamasi ladrocinio; e l’abito di cotesti che per estensione chiamassi ladrocinio, potrebbe dirsi, per iperbole, ladroneccio : ma questo è più proprio a coloro che ne fanno abito e professione; o almeno che paiono disposti e atti a farla [E l’abito e l’atto pare che siano promiscuamente significati e da ladrocinio e da ladroneccio; ma gioverebbe serbare all’atto il primo, all’abito il secondo; e più nell’uso proprio che nell’estensivo. La forma, poi, latrocinio pare che si possa smettere: ma certamente nessuno dirà latroneccio].
Estorsione è violenta esazione e ingiusta, fatta, per lo più, da potestà iniquamente esercitata; ma può essere impresa altresì di privati, o in nome di chi governa, o per proprio conto e ristoro e piacere.

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Rubare, Derubare.

Rubare sta anche da sé, senza rammentare la persona a cui viene rubato o la cosa tolta. Dirò: stanotte è stato rubato in una casa. Per estensione: molti impiegati inetti e pigri rubano le provvisioni allo Stato; se non sanno o non vogliono fare il dover loro. Derubare, con la preposizione aggiunta, fa pensare alla persona derubata. Sono stato derubato di cento zecchini; qui, comunemente, non si direbbe rubato, ma si volterebbe il costrutto altrimenti. Rubare il tempo allo studio per darlo ai divertimenti; neppur qui, derubare, starebbe. Di persona cara, morta o immaturamente o improvvisamente, dicono: gli è parso proprio rubato, gli è stato rubato; derubato, qui no. Il verbo semplice, insomma, ha traslati più che il composto. – Meini.

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Rubare, Predare, Depredare, Spogliare.
Rapina, Preda.
Rapina, Ratto.

Predare è atto ostile, un rubare in digrosso; e pare men vile. I nemici predano: i corsari rubano. Depredare, talvolta, è più di predare. Si depreda un paese: così piuttosto direbbesi che predarlo. Poi quella voce ha traslati suoi [Casa: «La mia vita arda e deprede». Alamanni: «Là entro passi Quant’acqua scende, e gli depreda i campi»]. Romani.
Predare è rubare con forza, e non sempre rubare. C’è delle prede (o a torto o a diritto) stimate legittime da chi le fa. Nel traslato: l’acqua depreda i campi; l’aria le parti più volatili d’una sostanza. – Volpicella.
Si depreda di forza, spogliasi anco con frode. Si depreda più o meno; spogliasi di tutto o gran parte.
Depredare accenna all’acquisto di chi fa la preda; spogliare, ai danni di chi vi è sottoposto. Il primo è, talvolta, così legittimo, come la necessità della guerra può farlo; l’altro denota più direttamente gli effetti delle angherie d’amministrazione, fiscali. – Polidori.
– Anco un privato può pur troppo spogliare il privato, in tempo di pace, spogliare il congiunto, l’amico, soavissimamente. Per estensione, un avvocato imbroglione spoglia il cliente; al giuoco vi spogliano non solo vincendo gran parte del vostro, ma (e questo dicesi per celia) lasciandovi senza i pochi quattrini che avete alla mano per la giuocata. Il depredare è atto ostile, violento. Ma, per estensione, depredatori della cosa pubblica possonsi chiamare anche certi ministri.
Rapina ha sempre mal senso. È preda più violenta. Si rapisce di forza; predasi anche quello ch’è stato lasciato dai fuggenti in balìa a’ vincitori.
Può la preda esser fatta di soppiatto; la rapina, no. Ma può la rapina, poi, essere mero attentato; preda è l’atto e il fatto e la roba predata. – A.
Ratto, rapina di persona, e, per lo più, a fine di libidine o di matrimonio violento; rapina, sempre di cosa. Il ratto non si commette che da persona; rapina anco quella degli animali: e traslatamente, di corpi che traggano seco velocemente altri corpi. – A.
Ratto il tòrre per violenza o per seduzione ragazza o fanciullo, o donna astretta da voti religiosi. Rapina non ha quest’uso. Il ratto delle Sabine; uccelli di rapina. Nel senso di rapimento estatico, il ratto di Paolo. Anco rapina, figuratamente, può aver usi gentili, ma rari. Petrarca: «Sento far del mio cor dolce rapina». – Meini.

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Andare a ruba, Essere rubato.

Ognun vede ch’esser rubato non è il medesimo che andare a ruba. Può il rubamento cadere sopra una o poche cose tra moltissime; si può rubare addosso a una persona; si può rubare senza che alcun se ne accorga. Vanno a ruba molte cose, o tutte o quasi tutte in un luogo contenute; vanno a ruba per opera di chi non si cura di nascondere il rubamento.
Nella soppressione de’ conventi qualche codice prezioso sarà stato rubato; ma e’ non era propriamente un rubare il ritenersi che facevano i monaci qualche libro di quelle biblioteche, le quali miseramente andavano a ruba. Il furto non è stato ancora ben definito; perché non si può mai conoscere che cosa sia rubare, senza definire che significhi "roba altrui".

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A ruba, A sacco.
Sacco, Saccheggio, Saccheggiamento.
Sacco, Bottino, Preda.

Ruba non s’usa, come sacco, senza che una particella lo regga. Né si direbbe: la ruba d’una cosa, come: il sacco di Pavia.
Nel sacco d’una città vanno a ruba le cose; il secondo dice una circostanza, un modo del primo [Boccaccio: «Quando questa città da Federigo fu presa, andatoci a ruba ogni cosa...»]. E non solo in un sacco, ma in qualunque siasi movimento violento di gente nel quale sian derubate le robe altrui, l’altro modo ha suo luogo [Galateo: «Levatosi il popolo a rumore, andava ogni cosa a ruba»].
Talvolta s’uniscono. E il Bembo: «In questa maniera si prese quel luogo, il quale andò a ruba ed a sacco. Quei della terra a ruba ed a sacco n’andarono». E non dicono lo stesso; perché nell’idea di sacco si può comprendere l’idea di bottino, cioè del portare via roba e serbarla, per arricchirne o godersela; sebbene il bottino dica più specialmente la roba presa a tal fine; la roba e non l’atto; e non porti direttamente l’imagine del prendere a viva forza, come può preda, che del resto ha sensi più generali. E però: far bottino, vale anco raccogliere roba quietamente e di furto, e anco in modi legittimi [La differenza che assegna a bottino piuttosto l’idea dei raccogliere che del prendere, par confermata dall’origine della voce, se questa l’ha comune con botte, come dice anco il toscano uso di bottino, deposito d’immondizie. E botte è arnese capace in genere; onde arnaso lo chiamano i Veneti: e arnese anche le armi].
– Preda e bottino sono affini, quando denotano ambedue le cose tolte al nemico, o a chi pigliasi per nemico. Differiscono in ciò, che la preda è sovente più violenta. La cupidigia cerca il bottino; la cupidigia feroce, la preda. Presso gli antropofagi il nemico vinto era preda del vincitore che lo divorava. Tra i popoli barbari o di nome o di fatto, il nemico era parte del bottino, una cosa anch’egli; era schiavo.
Preda, talvolta, ha senso più mite; preda del cacciatore. E anche bottino l’ha meno odioso del solito. Il botanico da una gita sui monti, torna con un buon bottino. – A.
A ruba può riguardare cose più dappoco; e il sacco è più violento; può essere con estorsioni, ferite, morti, insulti a cose sacre, che rubar non si possono, ma si possono violare.
Va a sacco una città, un castello, un vascello [Bembo]; va a ruba una casa, una bottega, una barca, un luogo per quanto sia piccolo, purché contenga più cose. E mandare a sacco [Segni: «Mandar Napoli a sacco»], diciamo, e mandare a ruba. Mettere a sacco [Segni], piuttosto che, a ruba. Si dà il sacco [Buonarroti], e non: si dà ruba. Fare il sacco [M. Villani], non ha quest’uso oggidì; ma aver fatto il sacco, dice guadagno illecito.
Sacco è voce pur troppo storica: il sacco di Pavia. Saccheggio ha senso più generale. Il vincitore che ordina il sacco, si vergognerebbe forse di chiamarlo saccheggio. Saccheggiamento è l’atto del sacco; e può nel sacco essere più o men dannoso, lungo, spietato, il saccheggiamento. Danno il saccheggio anco privati e fuori di guerra. E diciamo: un’eredità saccheggiata dai tutori; saccheggiato da’ ministri del re il regio erario.
Vanno a ruba, per estensione, le cose pigliate di qua e di là, con impeto, senz’essere però rubate. In una festa vanno a ruba le vivande apposte dalla cortesia o vanità dell’ospite, il quale potrebbe far meglio che dar mangiare a chi non ha fame. In un pranzo di campagna, dove tutti si servono senza complimenti da sé, in un batter d’occhio va a ruba ogni cosa. Questo dicesi famigliarmente anco dare il saccheggio; e la seconda locuzione rappresenta più impeto. Mercanzia che si vende molto sollecitamente, ch’è comprata con avidità, va a ruba anch’essa [Buonarroti: «E gli spacciava a ruba». A questo modo non si direbbe oggidì].

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Ladro, Borsaiuolo.
Ladro, Ladrone.
Ladroncello, Ladrino.
Ladrocinio, Ladroneccio, Furto.

– Il ladro ruba di nascosto, ruba cose dappoco e da molto; il borsaiuolo ruba le borse, leva i danari e altre cose di tasca. – Romani.
All’idea di ladrone s’associa quella di violenza e di misfatto; all’idea di ladro, quella di astuzia vile. Ladro, oggidì corrisponde a fur, e ladrone a latro. Il buon ladrone, il reo ladrone, son voci del Vangelo ormai popolari.
Usasi e ladroncello e ladrino. Il primo, piuttosto parlando di ragazzo, o di ladro di piccole cose, e non tanto malvagio; il secondo, anche d’uomo che rubi sul serio; ma è raro nell’uso, e pare eufemismo. Sempre, del resto, ladrone è più forte; e ladro impudente, crudele, che ruba in digrosso e a man salva, bene sarà chiamato ladrone. Berni: «Chi ruba un corno, un cavallo, un anello E simil cose, ha qualche discrezione, E potrebbe chiamarsi ladroncello; Ma quel che ruba la riputazione E dell’altrui fatiche si fa bello, Si può chiamare assassino e ladrone». I ladri in piccolo sono infami; i ladroni, talvolta, diventano celebri. Questo pensiero serve a guarire da quella incomoda malattia che si chiama amor della gloria.
Del resto, quando alcuna cosa è rubata, gridasi: al ladro, al ladro! E nel proverbio: sempre non ride la moglie del ladro; la comodità fa l’uomo ladro: questo è il termine proprio.
La colpa del ladro è il furto; il misfatto del ladrone è il ladrocinio; la sua vita, quello di ch’egli campa, è il ladroneccio [Boccaccio: «Di ladronecci e d’altre vilissime cattività era infamato»].
Buti: «Ladro è quello che toglie con violenza; e furo, colui che toglie con inganno». Le Pistole di s. Girolamo [Tradotte da ser Nicolao di Berto da San Geminiano. Manoscritto della Bibl. Regia di Parigi, num. 7241]: «I tesori nascosti li quali né il furo può cavare, né il ladro violentemente imbolare». Fra Giordano e il Passavanti: «Tu se’ furo e ladro». Sacchetti: «Ladro, furo e malandrino».
Furo è morto oggidì; furare è semivivo; furto, con varii derivati, è più vispo che mai.
Ladro, a’ dì nostri, ha senso anche di furo; ma ogni furto, non è ladrocinio.
Ladro ha ladraccio; il peggiorativo di ladrone è meno usitato.
Occhi ladri [Boccaccio: «Occhi vaghi e ladri nel loro movimento»; «Con occhio ladro riguarda le aperte bellezze». In questo secondo esempio ha altro senso dal primo], mani ladre, ladra morte; tutti insomma i modi dove ladro diventa aggettivo, sono proprii di lui solo.

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Ladrone, Assassino, Malandrino, Malandrone, Masnadiere, Sicario, Sgherro, Satellite.
Assassinamento, Assassinio.

– Il ladrone ruba di forza; l’assassino ruba assaltando; il masnadiere è uno della masnada di ladroni o assassini. Un assassino che fa gli affari suoi da sé solo, non è masnadiere. Il malandrino può essere masnadiere, assassino, ladrone; e può esser meno; e si dice anco per celia. – Romani.
Ma c’è de’ masnadieri, che assassini non sono né ladroni di strada: son peggio. Tante sorte c’è di masnade! In antico masnada aveva anzi il senso generale di schiera: e in ogni tempo c’è de’ masnadieri che risplendono più che i satelliti di Giove, senza telescopio cospicui.
Assassino è voce storica, in quanto rammenta i fatti del Vecchio della Montagna; ma non eran soli quelli assassini che si credevano per via di sangue arrivare alla gloria del cielo.
Il malandrino uccide o deruba alla strada; uccide per portar via i danari e la roba; uccide e deruba non per conto altrui, ma per proprio [G. Villani: «Rubata da’ malandrini»].
Per estensione, s’assassina un uomo, una famiglia, uno Stato, recandogli gran danni e mali; e siffatti assassini furono sovente onorati come benefattori e padri della patria [Davanzati: «L’assassinata provincia»]. Ladro assassino, cane assassino [S’usa anco aggettivamente. Ariosto: «I Mori in tal modo feriti L’altra schiera chiamavano assassina»], tu m’hai assassinato; rimproveri dell’amor tradito, della speranza delusa; e lo dice una moglie offesa, una madre infelice. Ma anche per celia.
Anche malandrino ha senso più mite: uomo o ragazzo soverchiamente vivace, che fa del male, che non s’arrende all’altrui volontà. E aggettivamente: furia malandrina, occhi malandrini, tempo malandrino.
Malandrone [Quest’altro uso farebbe credere che la voce italiana venga dalla greca somigliante, e suoni mal uomo], d’uomo spregevole per povertà sudicia, sozza, violenta, colpevole.
Chiunque uccide a tradimento, è assassino [G. Villani: «Il tradimento fu scoperto, e gli assassini giudicati ad aspra morte»]; quindi assassinare, assassinamento, assassinio.
Assassinamento è l’atto; assassinio è atto e abito. Seguono assassinamenti frequenti. Condannato per assassinio, non, per assassinamento; qui può essere un solo misfatto, pur tentato e non consumato. Vivere d’assassinio e simili; qui è l’abito, la professione. Nel traslato usa questo, non quello. Certe difese di certi avvocati, e certe cure di certi medici, e certe protezioni di certi potentati, sono assassinii che si pagano salato, con grossi salarii.
Chi uccide per commissione altrui è sicario. Sicarii chiamavansi a Roma quelli che per altrui mandato uccidevano a torto e, per lo più, a tradimento. Satellite alla lettera, chi accompagna altrui; poi, si disse di chi accompagna armato o per far male o per difendere ti male fatto. Il sicario può non esser pagato, il satellite, sì; il sicario, anco pagato, non sempre è ligio ad un uomo, il satellite, più. Il sicario adopra l’armi, non si diletta di legare, tormentare, esplorare, servire, insomma, ne’ menomi servigi della malvagità, come suole il satellite. Il sicario ammazza, e tira via; il satellite opera sempre o si crede operare in nome del padrone; il sicario fa talvolta anco per conto proprio. Lo sgherro è satellite ancor più basso; e c’è degli sgherri più rei de’ sicarii, perché più vili. Si può imaginare un satellite pronto a dar mano al suo signore in ogni scellerato servigio, ma che non abbia avuto luogo di dar prove della sua trista fedeltà, se non lievi, e talvolta (per la Dio grazia) anco oneste. Tra i giornalisti e altri scrittori, c’è dei satelliti; se calunniatori e persecutori, tengono del sicario; se aggiungono alla malignità la goffaggine, dello sgherro.

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Pirata, Corsaro, Corsale, Ladro, Ladrone di mare, Armatore.

De’ tempi antichi, pirata è il proprio [Dante: «Non vide mai sì gran fallo Nettuno, Non da pirati, non da gente argolica»] La guerra piratica [Salvini] nella storia romana.
Nel trecento, corsaro e pirata pare dicesse in tutto il medesimo. Passavanti: «Pirati, cioè corsali e rubatori di mare»; «Certi pirati, cioè corsali». E il Sacchetti, con erudizione squisita: «Pirati sono li corsali, e sono denominati da Pirro, figliuolo d’Achille, il quale fu primo corsale». E veramente, corsaro, da correre; pirata, da passare [Πείρω]; ed è singolare a notarsi che pirata, ed esperto, e perito hanno la medesima origine.
Ma corsaro a’ dì nostri (grazie alle raffinatezze della civiltà, ricca inventrice d’eufemie), ha preso altro senso. Lo Stratico così li distingue: «Pirati, coloro che scorrono il mare senza commissione di verun sovrano, e rubano indistintamente tutti i bastimenti che incontrano. I pirati non hanno bandiera, ma inalberano variamente quelle di tutte la nazioni, per ingannare i bastimenti de’ quali vogliono impadronirsi. Quando sono presi, sono trattati come ladri pubblici e come assassini; sono appiccati, qualunque sia la nazione che li prenda. I pirati portarono qualche volta, per atterrire, bandiera bianca e nera con imagini dipinte di teste ed ossa di morto incrociate con isciabole. È raro però che si levino così la maschera; cercano piuttosto l’impunità, dandosi per corsari o armatori d’una nazione nemica di quella del bastimento che prendono. I corsari sono autorizzati da una commissione del loro sovrano, e non corrono se non che sopra i nemici dello Stato; i pirati sono riprovati da tutte le nazioni».
Il pirata del Byron è peggio del corsaro, a giudicarlo dalle apparenze, ma tra i corsari c’è gente non meno atroce che tra i pirati; e l’impunità può aggravare la viltà, non scemare l’infamia. Negli Stati del Papa, corsara dicono la barca che va in corso armata per impedire i contrabbandi marittimi; né è raro il leggere nelle gazzette: «la corsara di sua Santità».
Corsale è voce antiquata, e però men odiosa perché morta; e fa equivoco con corsaletto.
Traslatamente: pirateria libraria, quella di chi ristampa senza licenza dell’autore o degli editori dall’autore riconosciuti; pirateria la quale dimostra che non ogni libertà è buona, non ogni facoltà può stimarsi diritto.
Corsaro, poi, è voce meno infamante che ladro di mare. Al tempo della guerra con l’Inghilterra i corsari avevano la loro patente, come tant’altre professioni di ugual dignità; e queste patenti provano patentemente assai cose. Un corsaro patentato si sarebbe offeso altamente in sentirsi chiamar ladro o ladrone di mare. Ladrone, come ognun sente, è qui peggio di ladro; ma il ladro, solendo far le sue faccende con men coraggio del ladrone, può parere, e anco essere, più abietto. In certi tempi la proprietà del parlare diventa, per lo meno, soverchia semplicità.
Armatore, chi arma una nave, per guerreggiare, navigare, o corseggiare. Può l’armatore essere capitano e può non essere; può non aver mai toccato l’acqua del mare. L’armatore mette fuori il danaro necessario; e può starsene ragionando, accanto al fuoco, intorno ai doveri dell’uomo onorato, in mezzo ai figliuoli bene allevati e ai nobili amici, intanto che la nave armata da lui va sulle coste dell’Africa alla caccia dei Negri. Alcune città marittime di Francia, non sono ancora molti anni, porgevano di ciò qualche esempio; in Portogallo, pur troppi! ce n’è tuttavia.
I corsari patentati pubblicamente dai governi sogliono rispettare le leggi dell’umanità; il corsaro privato, troppo spesso, non è punto meglio del pirata. C’è però dei corsari onesti ed umani, e non altro aventi del loro mestiere che il disperato coraggio. Che il nome, del resto, sia infame tuttavia, lo prova l’uso comune, che i pirati di Tunisi chiama corsari.


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