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Dalla riforma Gentile all’Internèt
La storia della scuola italiana in tre chiacchiere

Su it.politica.sinistra un rivolo di una discussione su nata su tutt’altro ha portato il discorso sulla scuola.
Ho letto delle cose che a me sembrano francamente scoraggianti. Cerco di riassumerle in tre brevi punti.
15 - 20 Gennaio 2006

Chiacchiera 1. La riforma Gentile

Il senso della riforma Gentile può essere discusso in ambito storiografico. Il problema è che l’argomento è stato usato in modo molto rozzo per affrontare i temi dell’oggi. Gentile ha riformato la scuola nel 1923; Gentile era un fascista; quindi tutto quello che (direttamente o indirettamente) può essere ricondotto a quella riforma - cioè, nell’idea di alcuni degli intervenuti, tutto l’attuale sistema scolastico - è MALE.

Poco serve notare che da Gentile ad oggi sono passati 83 anni, carichi di vicende e di trasformazioni. Poco serve ricordare che la riforma del fascista Gentile non faceva che attuare un’idea di scuola - all’epoca - comune a quasi tutti i sistemi scolastici continentali (avendo avuto, in questi ultimi anni, parecchi allievi provenienti dall’Est europeo, posso assicurare che si tratta di un’idea di scuola comune anche a quell’altra parte). A parte la verità storica, sconcerta quanto spesso l’argomento Gentile continui ad essere usato come una chiave tuttofare capace di dare una risposta a tutte le domande - che è un pessimo indizio dal punto di vista logico. E curioso, d’altra parte, che anche la signora Moratti vantasse tuttodì la bontà del suo progetto sostenendo trattarsi della prima riforma della scuola "dopo quella di Gentile".


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Chiacchiera 2. L’autoritarismo

Chi discute oggi di questioni scolastiche mettendo in primo luogo la questione dell’autoritarismo è come uno che parli dei problemi dell’agricoltura italiana dicendo che la cosa più importante è sconfiggere la malaria. Santiddìo, mi chiedo certa gente da quanti decenni non metta piede in una scuola.

Naturalmente, questo non vuol dire che la scuola attuale sia una vera scuola di democrazia. Non voglio dire che non ci si scontri ogni momento con comportamenti assurdamente persecutori da parte di docenti isterici frustrati depressi, vessazioni da parte di dirigenti incapaci a cui una riforma sballata ha dato responsabilità a cui non sanno assolutamente far fronte, alzate d’ingegno di questo o quel funzionario educato al motto Lei non sa chi sono io. Quello che voglio dire, è che la scuola italiana non segue più il modello dell’autoritarismo tardo-ottocentesco incarnato dal buon Gentile. Il dramma della scuola italiana d’oggi è quello di non seguire nessun modello: non è una scuola autoritaria né una scuola democratica, non è una scuola d’élite né una scuola di massa, non è la scuola del ’68 né quella di Don Milani né quella di Gentile né quella dei Gesuiti né quella della Confindustria, non è una scuola che dia una formazione umanistica generale né una scuola che punti sulle scienze né una scuola che insegni un mestiere. E un po’ di tutto e un po’ di niente, una scuola dove convivono menefreghismo e volontarismo, eccellenza e ignoranza, burocrazia asfissiante e lassismo scoraggiante. Ogni insegnante si arrabatta come può, perseguendo un proprio personale progetto culturale e didattico - o semplicemente tirando a campare - in un clima di sostanziale resa di fronte all’incultura dominante. E quel che è peggio, non si vedono all’orizzonte proposte alternative - non certo le già sperimentate alzate d’ingegno di Berlinguer-Vertecchi o Moratti-Aprea-Bertagna, entrambe caratterizzate da una fortissima carica ideologica e da uno scarsissimo legame con la realtà.


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Chiacchiera 3. L’Internèt

Non stupisce che in questa situazione ognuno si senta in diritto di sparare la prima cazzata che gli passa per la testa. Tipo abolire i libri di testo e scaricare tutto dall’Internèt. Roba che fa venire in mente la pubblicità del bambino odioso grassoccio "mamma, ci sei? stiamo parlando di ìììnternet!" e la mamma risponde parlando di sofficini.

Certo, i meccanismi di trasmissione della cultura sono cambiati. Ma solo il selvaggio dei giornali umoristici di cinquant’anni fa pensava di essere moderno perché si metteva la sveglia al collo. Una volta, bene o male, la cultura arrivava agli utenti attraverso una serie di filtri - se non altro il filtro degli editori, che si preoccupavano di non sputtanarsi pubblicando l’ultima boiata del saputello di provincia. Oggi si vive in una situazione di totale anarchia, dove ognuno può trovare, con pochi clìcchi di màus, il fiore della cultura e della scienza - peccato che debba scavare in mezzo a tonnellate di spazzatura. L’importante è distinguere. E l’arte della distinzione richiede strumenti sempre più raffinati - ma non strumenti tecnologici (oggi la navigazione in Rete è più facile dell’uso di un videro registratore, e per fortuna perché io il videoregistratore non l’ho mai saputo usare) ma strumenti culturali. E questi strumenti culturali non si costruiscono scaricando giù tesine o articoletti dal primo sito che si trova su gùggol, ma, come sempre - oggi più di sempre - sudando e studiando.


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Chiacchiera 3bis. Ancora sull’Internèt

Antonio_X75 ha scritto:

Comunque, scusa se te lo dico, ma non capisco il senso del tuo post. Fa riferimento a qualche decreto legge? Io credo che Internet abbia dato vita ad una rivoluzione, permettendo il passaggio dall’era industriale a quella dell’informazione.

parlavo di un intervento in un precedente trèd.

Sono perfettamente d’accordo sul fatto che l’internèt sia una vera rivoluzione nel campo dell’informazione, paragonabile all’invenzione della stampa. Ma è frequentissimo che la gente (sia all’interno della scuola, sia fuori) confonda le nuove modalità di formazione e di circolazione dell’informazione con il banale supporto tecnico. Di qui l’enfasi posta su iniziative di formazione schiaccia-bottone, come l’ECDL ecc. Un po’ come se dopo Gutemberg si fossero fatti dei corsi di taglio delle pagine col tagliacarte, o di disposizione dei libri sugli scaffali.

Fino alla tipografia, la disponibilità di materiale scritto era limitatissima. Anche fra le persone colte si trovavano moltissimi homines unius libri, che esaurivano le loro energie nello studio esasperato e maniacale di una o pochissime opere. Con la tipografia il numero di libri a disposizione del singolo è passato da poche unità o poche decine (nei casi più fortunati) alle centinaia e alle migliaia. Ma contemporaneamente è completamente cambiato il modo di lettura. Sono diventati indispensabili nuovi strumenti culturali - non nuovi leggii su cui appoggiare i libri.

Con l’internèt si è fatto un ulteriore passo avanti. In primo luogo, un enorme aumento del materiale a disposizione. Senza alzarmi dalla sedia, posso consultare dieci recensioni dell’ultimo modello di fotocamera digitale, una raccolta i papiri ellenistici, le ultime ricerche sul DNA degli scorpioni africani, la Bibbia tradotta in tutte le lingue della terra. Ma questa roba la devo saper leggere; e prima di leggerla la devo saper trovare, penetrando attraverso infinite muraglie di spazzatura, pubblicità, menzogne, approssimazioni. Gli strumenti culturali, ripeto, non quelli tecnologici, a mia disposizione, devono essere molto più raffinati. E per costruirmeli, un po’ dovrò anche alzare il culo dalla sedia e pigliare qualche bel mattone a stampa, e passarci su ore settimane mesi.

L’altro aspetto essenziale dell’internèt è il passaggio da un sistema che vedeva la circolazione del sapere lungo vie istituzionali, in genere a senso unico, ad un sistema di continuo interscambio. Un sistema caratterizzato dalla più totale anarchia - con i vantaggi e gli svantaggi che questo comporta. E un’agorà mondiale, che però segue modalità non troppo diverse da quelle dell’epoca in cui oratori e sofisti si incontravano sulle piazze di villaggi di poche migliaia di anime e costruivano in tutta libertà le nuove idee dell’Europa. Roba che c’è stato bisogno di inventare la Chiesa Cattolica per metterla definitivamente a tacere.

Ma su queste cose purtroppo in Italia siamo ancora ai livelli del selvaggio con la sveglia al collo. La percezione media della Rete è quella di una televisione con milioni di canali, in cui uno può scegliere che cosa farsi trasmettere. L’idea di una formazione comunitaria del sapere sfugge completamente - quante persone, fra i normali utonti, sanno che cos’è Usenet? Eppure è roba più vecchia ancora del Web. Quant’è grande la partecipazione di docenti e studenti italiani a progetti collettivi (programmi òpen sùrs, redazione di enciclopedie collettive come Wiki, costruzione di biblioteche telematiche come LiberLiber ecc.)? No, tutti a bearsi delle luci scintillanti della "multimedialità", mentre illustri cattedratici propongono i videoghèimz come nuovo modello didattico ecc. Al massimo si arriva allo stucchevole narcisismo dei blog - versione elettronica del diario con i pensierini scambiati col compagno di banco. Non parliamo poi del mondo della politica, dove l’ignoranza in materia è generalizzata, e temi come la proprietà intellettuale ecc. sono monopolio dell’informazione pilotata dalle grandi aziende proprietarie.

(Tutto questo per tacere dei balbettii burocratici sull’autonomia, il POF, le certificazioni di qualità ecc. che assorbono interamente l’attenzione dei passacarte a cui è stata improvvidamente affidata la responsabilità delle nostre scuole).


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