– L’infante è bambino che ancora non parla, o parla non bene [For]; il pargoletto è bambino piccino [Parvulus]: sopra a sei anni non si chiamerà più così. Bambino si dice anco un fanciullo; talora anco un giovanotto; e a giovane donna, per vezzo, bambina; e, per celia o per vezzo che tiene un po’ del ridicolo, anco a non giovane. Ma la fanciullezza è l’età tra l’infanzia e l’adolescenza; senonché nell’uso ha senso più largo. E la pubertà nelle donne dicesi divenire fanciulla. La fanciulla può non essere vergine; non così la zitella.
Ragazzo, mascolino, è men nobile di fanciullo, e aveva già senso di servo. Ma i diminutivi ragazzetto e ragazzino nel linguaggio famigliare possono suonare gentili. Ragazzaccio diciamo, per altro, non già fanciullaccio: e ragazzettaccio, che suona insieme piccolezza e dispregio. Garzone, nel verso, vale giovane fatto; nell’uso comune, chi apprende un’arte, e chi fa i servigi della bottega. – Gatti.
– Bambolo pare che dica età più tenera che bambino. Bamboletto, vezzeggiativo piuttosto che diminutivo di bambolo. Pargoletto, usato nel verso, anche colla significazione di aggettivo [Petrarca: «Pargolette membra»], che manca agli altri. – A.
Bernardo Tasso, d’un fonte: «Con l’onda sua pura Fa un pargoletto rivo». Così, non è da ridire; e forse il Tasso scriveva parvoletto. Nell’evangelico «Lasciate i parvoli venire a me»; «non vogliate mettere scandolo ai parvoli», cioè al semplici sia per l’età o sia per l’innocenza e poca fermezza dell’animo; pargoli non cadrebbe.
Dante, e nelle Rime e nel poema, accenna a una Pargoletta, nome dato per vezzo a chi forse non era fanciulla d’età, come, oggidì quel di bambina e di bimba. Onde Beatrice lo riprende del suo pargoleggiare, e gli comanda d’alzare la barba, e il Priore sente il veleno dell’argomento, e più gli è grave quell’alzata di capo, che non al libeccio sbarbare un cerro. Povero Priore!
Pargoleggiare, del resto, è talvolta meno di rinfanciullire, e ambedue sempre meno di rimbambire. Certi vecchi però rimbambiniscono in certe cose, senza essere rimbambiti, cioè scemi del senno. E chi dicesse che un padre, anche non vecchio, rinfanciullisce co’ suoi figliuoletti, per educarli, accomodandosi ai loro balocchi, darebbe alla voce un senso mite: e l’educatore che rinfanciullisce così a luogo e tempo, potrebbe aver merito di virtù sapiente. Ma certi educatori, anco ne’ libri che scrivono per bambini, nelle novelline, nelle commedine, nelle letterine, nelle canzoncine, rimbambiniscono a esuberanza.
Sin quasi agli anni della pubertà la bambina suol dirsi bambina; poi diventa ragazza e fanciulla. Diciamo anco di vergine non più tenera: onesta fanciulla; e di vecchia: che è rimasta fanciulla. Salvo che accennando alla pubertà, ragazzetta di tredici anni non si dice, parlando, fanciulla.
Nella lingua scritta, le due voci si confondono spesso; ma io amerei rispettassesi questa norma dell’uso vivente.
Bambola, in Toscana, quel fantoccino che serve di balocco a’ fanciulli. Gioverebbe serbare questa voce al detto uso, riservando bambolina a creaturina vivente, sempre però più tenera di bambina. Bamboletta e bambolotto possonsi pensare d’età men teneri, e men delicati e meno esili, che bambolino e che bambolina.
Bimba dicesi e della bambolina e della bambina, ma tiene non so che di vezzeggiativo. Anco a ragazza e a donna giovane, per vezzo quasi di celia, bimba. Mai a uomo giovane, bimbo, se non per dispregio; e per dispregio anco a un vecchio: gli è sempre bimbo. Bambolino grassoccio e vispo dicesi anco bamboccio e bamboccino; le quali parole, accompagnate con qualche epiteto, acquistano buon senso affatto, specialmente la seconda; e questa s’intenda de’ femminini ancora, bamboccina e bamboccia; senonché il secondo è meno gentile. Un bambolino esile e stento non si chiamerebbe con questi due nomi; né un bambino fuor delle fasce.
Quando fantoccio s’usi nel senso più ovvio, cioè figurina, fatta per lo più di legno o di cencio [Buonarroti: «Figurette e fantocci semoventi»], il suo accrescitivo non ha molta affinità a bamboccione. Ma quando fantoccio significa o sciocco o uomo di goffa statura, allora il suo accrescitivo diventa più prossimo all’altro, con queste due differenze:
l. Che nel fantoccione, preso in senso di persona goffa, spesso supponesi mole maggiore. Non è già che fantoccione non si chiami anche un bambino ben grosso; ma se dirò bamboccione, non penserò tanto alla mole, quanto alla forma badiale di lui [Lippi: «Anch’ella, con gran gusto del marito, Stampò due bamboccioni d’importanza». Qui non indica la grandezza, ma una certa bellezza].
2. Che in senso d’uomo grossolano o inetto, il bamboccione par che sia più inesperto; il fantoccione, più triviale. Il bamboccione regge un poco alla celia; il fantoccione è più duro. Difficile imaginare un bamboccione senza un bel visone lustro; né il fantoccione senza una forte ossatura, anche secco ch’e’ sia.
Bambinone, oltreché bambino grande e forte in ragione dell’età tenera, vale, per celia, uomo adulto che ha fattezze e maniere tra la puerilità e l’infanzia, non in leggiadria ma in goffaggine. Bambinona, donna grossa affettante smancerie e moine di bimba. Certe mogli accarezzate dai mariti, certe vecchie cronicamente carezzevoli, fanno le bambinone.
Fanciullone, fanciullo grosso; ma più sovente uomo che rimane fanciullo, serbandone l’inesperienza, aggiungendoci la goffaggine. Non pare che cada tanto nel femminino questo senso di biasimo.
La ragazzata è più impertinente che puerile; e rammenta i due sensi di ragazzo, cioè quel di servo o simile a servo, e quel di giovane non tenerello. Anco i vecchi, anco gli uomini gravi, delle ragazzate ne fanno. E dicesi del fare più che del dire.
Bambocciata è più degli atti che de’ fatti o delle parole. Onde i pittori di bambocciate, i quali sono forse più storici che non si pensin essi e chi si ride de’ quadri loro. La bambocciata ha del ridevole, la ragazzata può portare sequele ree.
Fanciullezza è l’eta: fanciullaggine, suonando dispregio, non si dirà quasi mai di fanciulli di tempo, i quali non possono non far cose che porta l’età. Fanciullaggine dicesi e l’abito e il difetto, e anche tale o tale atto, o parola, o idea; bambinaggine è piuttosto l’abito; l’atto, bambineria. E anche questo, non de’ bambini proprio, ma di chi fa cose che i bambini farebbero, o piuttosto cose ch’e’ non farebbero.
– Nel proprio, hanno il divario che è tra infanzia e puerizia. Per estensione, atto o detto infantile denota poco senno; atto o detto puerile denota inezia. Chi commette atti infantili, non conosce quasi punto il vero delle cose; chi cade in puerilità, non sa distinguere il grande dal piccolo.
Innoltre, infantile riguarda più direttamente il soggetto; puerile, il modo o l’atto: maniere infantili, voce infantile; indica portamenti o modi o voce d’infante; scuole infantili, in pro’ dell’infanzia; discorso puerile vale: discorso leggero o immaturo, quale lo farebbe un fanciullo. Con un tono di voce infantile si possono dir cose non puerili punto, e le donne ne danno l’esempio. Possono le puerilità uscire d’una bocca stentorea. – Girard.
– L’infanzia ai Latini finiva col settim’anno; la puerizia, col decimoquarto; l’adolescenza, col ventottesimo, quando cioè l’uomo finiva di adolescere, di svolgere le membra e l’animo suo [Cicerone: «Adolescens, vel puer potius»; «Citius adolescentiae senectus, quam pueritiae adolescente obrepit». Sallustio chiama adolescente G. Cesare già d’anni trentasei]. Ora l’infanzia s’intende durare a un dipresso fino al tempo che l’uomo comincia a scioltamente parlare; la puerizia, al duodecimo anno; l’adolescenza è il primo stadio della giovanezza. – A.
– L’adolescenza segue alla puerizia; all’adolescenza la gioventù. Gioventù vale e l’età giovanile, e moltitudine d’uomini giovani. Giovanezza ha il primo significato soltanto. Così differivano iuventa e iuventus. – Popma.