17 Gen 2001    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

La lingua a scuola

Il latino, che incubo!

"Arturo Riva" ha scritto su it.istruzione.scuola:

... vi cito alcuni passi del capitolo "Dagli al latino!" tratto dal libro La fiera delle castronerie del maestro francese Jean-Charles (Calmann-Lévy 1962, Federico Elmo 1963):
Ogni volta che penso al latino ho l’impressione di rivivere un incubo.

Chi ha più di cinquant’anni, ricorderà che nei primi anni ’60 si diffonde nella lingua italiana una nuova parola: il complesso.

Erano gli anni in cui si passava dalla società del bisogno alla società dei consumi. Le conseguenze di questa trasformazione - tutti ne convengono - furono profondissime; un’autentica rivoluzione antropologica, che è durata decenni, e che forse solo ora è arrivata al suo pieno compimento.

Al principio del dovere si sostituiva il principio del piacere. Nell’economia famigliare, all’accumulo della roba si sostituiva la fruizione di beni e servizi. Nella morale famigliare, alla tirannide del padre si sostituivano i turbamenti dei fanciulli e degli adolescenti. Nella sollecitudine dei genitori verso i figli, alla paura della fame subentrò la paura dei complessi - parola derivata dalla psicanalisi, e che nel parlare d’oggi è stata sostituita dal più generico disagio. Simbolo di quest’età fu l’anoressia giovanile. Papà, mamma, non voglio pane, voglio affetto.

Quando si cercano le cause della crisi della scuola, speso si dà la colpa al ’68. Ma non è vero, o è vero solo in parte, nella misura in cui il ’68 fu, come già allora si disse, una rivolta dei figli verso i genitori; fu anch’esso una manifestazione di questa trasformazione antropologica.

Gli anni ’60 vedono l’irruzione dello psicologismo nella cultura occidentale. Dico psicologismo, non psicologia o psicanalisi; poiché è legge universale che quando una teoria filosofica, religiosa, psicologica ecc., che pure nelle sue formulazioni originarie è complessa, articolata, raffinata, problematica - quando, dicevo, questa teoria ha una diffusione e un’applicazione di massa, si riduce a pochi precetti rozzi e semplificati.

Diciamo la verità: il latino non è mai piaciuto a nessuno. Mai, in nessuna epoca storia. Perfino Orazio ha studiato il latino a cinghiate. Ma una volta era nell’ordine delle cose. La morale basata sul principio del dovere è anch’essa una morale complessa, raffinata, articolata: provate a leggere San Paolo, o il Talmud, e ditemi se è una roba più semplice di Freud. Ma nella sua applicazione pratica è anch’essa brutale e semplificata: te lo do io il latino! e giù botte.

L’irruzione dello psicologismo nella scuola e nella didattica ha avuto effetti micidiali. Poverino, il latino non gli piace. Non dobbiamo forzarlo, se no se ne fa un complesso. Oddìo povero figlio mio, anch’io mi ricordo che quando andavo a scuola avevo l’incubo del latino; non voglio lui patisca le stesse sofferenze (vent’anni prima: alla sua età avevo fame, ma a lui non faccio mancare nulla). Il complesso del latino. Il complesso della scuola, dei voti, dei professori, delle bocciature. Non mi importa che non sappia il latino; l’importante è che non venga su complessato.

I fanciulli e gli adolescenti, nei quali il principio del piacere è naturalmente un potentissimo errore, hanno mangiato la foglia. Se non ho voglia di studiare, non è colpa mia: son cazzi degli insegnati e dei genitori. Il dovere degli insegnanti e dei genitori è motivare, interessare, coinvolgere, sensibilizzare, comprendere, farsi comprendere; se non ci riescono, cambino mestiere. La conseguenza di tutto questo, nella pratica quotidiana della scuola, è lo zapping. Gli studenti quando entrano in classe mettono sul banco non libri e quaderni, ma il telecomando. Questo non mi piace questo non mi piace questo non mi piace questo non mi piace questo non mi piace questo non mi piace questo non mi piace questo non mi piace... ecco: questo mi piace: sto attento - non troppo, per carità, perché dopo un po’ mi annoio, allora cambio canale, mangio un panino, vado al bagno, faccio una domanda che non c’entra niente, ma così tanto per cambiare discorso.

Gli adulti sono completamente disarmati di fronte a ciò. Quelli che cercano di resistere, di attaccarsi alla morale del dovere (ai miei tempi si studiava senza fare tante domande) sono patetici, come quei genitori che, per insegnare ai figli che cos’è la vita vera, gli somministrano le bambole di pezza al posto dei pòchemon, Cappuccetto Rosso al posto di drègonboll, la marmellata fatta in casa invece delle merendine. E soprattutto, lo fanno senza convinzione, perché anche loro segretamente ci soffrono all’idea che i loro bimbi stiano chini sui libri mentre tutti gli altri vanno in discoteca.

I più decidono di seguire la corrente. Il latino non serve? ma sì, buttiamolo, se state attenti vi insegno come guadagnare miliardi nella borsa on làin. Oppure cercano di far bere l’amara medicina all’egro fanciullo addolcendogliela in modo disgustoso. Studiare il latino serve per imparare bene l’italiano. Palle. Guarda che anche nella gnù ecònomi fa un bell’effetto buttare lì ogni tanto una frasetta latina. Sì, figuriamoci.

La rivoluzione antropologica è tutt’ora in corso, ma ormai siamo agli sgoccioli. La trasformazione delle scuole in aziende rivolte al mercato ne segnerà l’ultimo perfezionamento.


Nota


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