29 Agosto 1997    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

Lingua e dialetto

Dialetti sì o no?

La questione: dialetti sì, dialetti no, non può essere risolta con argomenti puramente razionali, ma dipende anche da nostre scelte emotive e da esperienze personali.

Esistono due mentalità, fra di loro difficilmente comunicanti.
Una: «il mondo è bello perché è vario»; la diversità, anche linguistica, delle persone, è una grande ricchezza, che rende interessante e quindi ci fa amare di più l’umanità. Di questo io sono profondamente convinto.

L’altra: «per capirci dobbiamo essere il più possibile tutti uguali».
Perché non mi piace? In primo luogo, per una sorta di repulsione istintiva: tutti uguali, che noia!
Poi, facile dire «tutti uguali»; ma se uno proprio insiste, e vuol essere diverso, che facciamo: lo sbattiamo in prigione? Lo mandiamo in un campo di rieducazione per devianti (mentali, linguistici, religiosi ecc.)?

Infine, ho parlato di esperienze personali.
Un momento di svolta cruciale nella morte dei dialetti si è avuto negli anni ’60. Io, che li ho visti da vicino, me li ricordo come una specie di rullo compressore: prima il boom economico e la prima ondata di consumismo, poi le bandiere rosse del ’68 hanno, più o meno consapevolmente, portato ad una quasi totale omologazione della società italiana secondo un modello pseudo-americaneggiante.
I danni sono sotto gli occhi di tutti: provincialismo, povertà culturale, una falsa uguaglianza che in realtà è livellamento verso il basso e mortificazione di ogni aspetto creativo della nostra civiltà.
Questo degrado è in gran parte irrimediabile. Proprio per questo dobbiamo aggrapparci, come ad una reliquia miracolosa, ad ogni elemento di varietà culturale, linguistica ecc. che ci sia rimasto.


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