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2. Il caso umano

Ogni esame contiene in sé una certa dose di finzione e di commedia. Bisogna nascondere, dissimulare, far finta di non vedere e non sentire. Mettere il candidato a suo agio, e quindi evitare di fargli domande imbarazzanti. Come si diceva una volta (adesso non si dice più, ma il comportamento è lo stesso) «fare emergere quello che il candidato sa, non quello che non sa».

Ma c’è sempre qualche caso (almeno uno, per ogni tornata d’esame, anche qui in Australia) in cui le difficoltà, le magagne, non si possono dissimulare. Allora si esibiscono, si mettono drammaticamente in piazza. E diventano unico, vero argomento di discussione.

Il momento topico, il calice amaro di ogni sessione d’esame: il caso umano!, quest’anno a me è capitato proprio il primo giorno.

È il candidato che, se l’esame fosse un reale accertamento delle conoscenze, non avrebbe speranze. È quello che, fino a tre anni fa, non sarebbe neanche stato ammesso («No, l’avrebbero ammesso per darlo in pasto alla Commissione, e parare il culo a qualcun altro»). È il candidato di cui ci si chiede «ma che cosa ha fatto in questi cinque (sei, sette...) anni di scuola?»

E appunto per questo non si può non promuovere.

È un caso umano. I genitori sono separati (i genitori non sono separati, ma non vanno d’accordo, e litigano e si picchiano dalla mattina alla sera). Ha / ha avuto una grave malattia (il papà ha una grave malattia, la mamma ha una grave malattia, la sorellina ha una grave malattia). Si impegna tanto, ma non capisce niente (è tanto intelligente, ma chissà perché, non vuole impegnarsi, abbiamo cercato di farglielo capire in tutti i modi, e ora che cosa volete farci, è inutile bocciarlo, tanto non cambierebbe). Non voleva fare questa scuola, ma i genitori l’hanno costretto (voleva tanto fare questa scuola anche se non era in grado, gliel’abbiamo detto sempre, ma lui ha insistito, ed eccolo qua, non può più tornare indietro e buttare via tanti anni). Non siamo mai riusciti a vedere i genitori, sono completamente assenti (ha dei genitori asfissianti che non lo mollano un momento, povero ragazzo, non lo lasciano vivere, l’hanno schiacciato, annullato). È già stato bocciato una volta, se lo bocciamo di nuovo non si iscrive più, è perso.

Il caso umano non ne può niente, poverino, ma è una rovina. Sconvolge tutti i criteri di valutazione. Se diamo sessanta a questo, non possiamo mica dare lo stesso voto a quest’altro, bisogna differenziare. Il caso umano mette la Commissione in una situazione inestricabile. Non ci si può certo accanire con lui per il gusto di salvare la dignità della scuola pubblica - e allora gli chiediamo che cosa fa muovere i treni («... l’e-let-tri-cità...?» «Sì, l’elettricità. E le locomotive a vapore, esistono ancora le locomotive a vapore?» «..... N-no...!?» «No, ormai le locomotive a vapore le abbiamo mandate in pensione») Ma non possiamo neanche accanirci contro quest’altro, che ha solo il torto di aver passato qualche pomeriggio sui libri, e di saper fare due più due, per vedere quello che sa e quello che non sa. E poi dargli magari lo stesso voto.

Il livello di salvezza per il caso umano si sposta sempre di più, da un anno all’altro. Qualcuno ci lascia lo stesso le penne, e a questo punto è una vera ingiustizia. Se l’esame fosse un reale accertamento delle conoscenze e delle capacità, qualcuno non lo passerebbe, certo sarebbe un dispiacere, ma verrebbe considerato nell’ordine delle cose. Ma se l’esame promuove il 99% (a parte quelli che non si presentano, i seralisti fantasiosi, i privatisti senza collare), quell’uno su cento che viene bocciato può veramente considerarsi vittima di un’odiosa discriminazione. Non c’è bocciato della scuola italiana che non possa a buon diritto dichiarare che, se solo avesse incontrato un’altra commissione, sarebbe stato promosso.

Esame dopo esame, commissione dopo commissione, si assiste al lento suicidio della scuola pubblica italiana (anche della scuola pubblica italiana che ha sede in Australia). Gli insegnanti rinunciano ad insegnare, perché hanno paura di discriminare quelli che non capiscono o non hanno voglia di studiare («se gli studenti non capiscono o non hanno voglia di studiare è perché gli insegnanti non sanno fare il loro mestiere»). Gli esaminatori rinunciano ad esaminare, perché dovrebbero accertare le conoscenze - e pure le non conoscenze, e guai a bocciare («la scuola, quando boccia, boccia sé stessa»). E soprattutto, guai a bocciare il caso umano.

Novantanove pecorelle se ne stanno al freddo, in un ovile che casca a pezzi. Non sanno che fare, si girano i pollici, si grattano le ginocchia, nessuno le guarda, perché il Buon Pastore è troppo occupato a cercare di salvare il Caso Umano, che si è smarrito. In fondo, che cosa pretendono. Se vogliono un po’ d’attenzione, hanno solo da smarrirsi anche loro.

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Note
2 Luglio 2001

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