Domenica 14 luglio 2002    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO II

Gli elementi della proposizione.

§ 1. Dopo aver veduto in particolare come si collochino respettivamente le parti del discorso nella frase, vediamo ora, più generalmente, quale sia la collocazione regolare degli elementi principali e secondarii di una proposizione, e quali ne siano le più notevoli eccezioni.

§ 2. Soggetto e predicato. Il soggetto per regola generale precede il predicato; p. es. La compagnia de’ rei suole essere principio di male. S. Concordio. – Il buon cittadino dev’ esser misericordioso. Machiavelli.

Si pospone per lo più il soggetto al predicato, e talora si colloca fra l’ausiliare ed il participio de’ tempi composti, nei casi seguenti:

quando la proposizione comincia da avverbii o complementi avverbiali, come appena, forse, almeno, ancora, anche, invano, ora, allora, dopo qualche tempo ecc. Appena era egli sceso, che io il domandai. Ovidio del Trecento. – Invano si faticherebber molti in porre freno alle parole. Boccaccio. – Intanto nella casetta di Lucia erano stati messi in campo e ventilati disegni ecc. Manzoni. – In questo tempo seguì a Roma una cosa memorabile. Machiavelli;

in principio di narrazione, con essere, esserci ecc. o con un passivo riflessivo, ed anche spesso con altri verbi. Fu in Perugia un giovine, il cui nome era Andreuccio. Boccaccio. – V’è tuttavia una strada che chiamasi strada pia. Segneri. – Morì nel più bel fiore de’ suoi anni una figliuola piuttosto avvenente. Bartoli. – Alle parole di Mottino gridò ferocemente tutta la brigata. Guicciardini. – Là s’apre il giglio e qui spunta la rosa. Tasso. – Alfin poi cade la feconda pioggia. Parini. – Ha Iddio .... destinata a tutti la gloria del Paradiso. Segneri. – Si sentono forti e fitti colpi alla porta. Manzoni. – Questa posposizione del soggetto è frequentissima anche nel familiare discorso, e deriva dal bisogno di tenere unite quelle idee che hanno tra loro affinità, o di porre in maggior luce il predicato;

nelle proposizioni incidenti che significano parlare, gridare, esclamare e sim.: Figliuol mio, disse il maestro cortese. Dante. – Cosa domanda? gridò subito D. Abbondio. Manzoni;

quando si vuole calcar più la voce sul soggetto. Mi pajono un po’ matti coloro. Manzoni;

dopo le interrogazioni dirette, quando non importa mettere in ispecial rilievo il soggetto. Hai tu per figliuolo un vitello? Leopardi. – Che pretendiamo noi con tante fatiche? Segneri. – È ito fuori Alamanno? Gelli. – Maestro, ove si trova Flegetonte e Letèo? Dante. (Vedi più oltre, § 22);

nelle proposizioni contenenti un augurio, un desiderio, un’imprecazione. Così cresca il bel lauro in fresca riva! Petrarca. E nelle interjezioni con un aggettivo; felice lui, lasso me! ecc. benchè si dica pure me sciagurato! ecc.;

nelle proposizioni implicite assolute, sia col participio, sia col gerundio (vedi P. I, cap. XXI, § 12 e cap. XXII, § 4);

nelle proposizioni oggettive implicite coll’infinito, quando il soggetto è un pronome personale puro (vedi P. I, cap. XX, § 23).

Cosi pure in certe frasi esclamative, dove il predicato sia un possessivo sostantivato. Gran destino è il mio, che le cose a proposito mi vengano sempre in mente un momento dopo l’occasione! Manzoni.

Nella poesia si può liberamente anteporre il soggetto. Avanti che la proda Ti si lasci veder, tu sarai sazio. Dante. – Ma l’oriente rosseggiar si vede. Tasso. – Le campane si sentono a martello Di spessi colpi e spaventosi tocche. Ariosto.

§ 3. I pronomi relativi (e per conseguenza anche gli interrogativi), quando fanno da soggetti, precedono sempre il predicato, spesso anche nelle proposizioni assolute col gerundio e col participio; p. es. Il quale (l’istrice) tornando dalla guerra con una certa volpe, e lamentandosi con lei ch’era stracco, la volpe gli disse. Firenzuola. – Fui da crudelissimi ladroni assalito; i quali avendomi tolto ogni mio arnese, me ne andai a un’ostessa ecc. Firenzuola.

Che si pospone talora al predicato nominale indicante parentela o altra relazione fra più persone, una delle quali sia morta. Dama Beatrice moglie che fu del caro tuo cavaliere. Passavanti. – Eusebio discepolo che fu del santissimo Girolamo. Vite de’ Santi. – Si pospone pure in certe esclamazioni di sdegno; p. es. bestia che tu se’. Boccaccio. Pazzo che tu se’. Firenzuola.

§ 4. Il predicato nominale sta regolarmente dopo il verbo. Pur nondimeno si può invertir l’ordine per dare forza e gravità alla sentenza. Grandissima gloria vi è aver vinto Manfredi; ma molto maggiore è sè medesimo vincere. Boccaccio. – Sottilissimo accorgimento parve a me sempre quello di un certo Trochilo. Segneri.

Si antepone sempre, quando sia un pronome interrogativo; p. es. Che cos’è questo? Ariosto. – Chi è costui? Dante.

§ 5. Oggetto. Il sostantivo o le parole sostantivate in posizione di oggetto, si collocano regolarmente dopo il predicato verbale, da cui dipendono; regola che ha a suo fondamento il bisogno della chiarezza, ed anche l’abitudine, quasi costante, del popolo e degli scrittori. Ma quando dalla inversione la chiarezza non ne patisca, e la forza dello stile o la naturalezza del parlare ci guadagnino, si potrà talvolta anteporre l’oggetto al verbo.

Esempii: La cagione di questa dieta non ho trovata negli scrittori. Giambullari. – Voi credete di dover esser giudicati da Cristo? E come dunque Cristo maledire in tutti i giuochi, Cristo bestemmiare in tutte le collere, Cristo spergiurare in tutti i contratti, Cristo disgustare in tutte le ricreazioni? Segneri.

Più spesso suol farsi, quando siano oggetto pronomi dimostrativi o di quantità, soli o seguiti da sostantivi. Niuna ne ha trovata, che non sia sommamente commendevole. Casa. – Quanto è maggiore il diletto o la contentezza, tanto più lena e più studio pongono nel cantare. Leopardi. – Veramente molto conforto e diletto ci porge .... l’udire il canto degli uccelli. Leopardi. – Riponesti ogni affetto tuo nel danaro. Questo procurasti con mezzi illeciti. Segneri. – Molti luoghi depresse, molti ricolmò, suscitando i monti e le colline. Leopardi.

In generale, affinchè non ne soffra la chiarezza, si dovrà badare che o il soggetto o l’oggetto siano di numero diverso, cioè l’uno singolare, l’altro plurale, ovvero che l’oggetto sia un pronome personale puro o relativo, che con la sua terminazione lo indichi chiaramente (me, te; lui, lei; cui ecc.).

§ 6. L’oggetto si antepone al verbo fare nelle frasi un secolo fa, molti anni fa, benchè possa anche dirsi fa un secolo ecc.

Si pospone regolarmente al verbo avere, nelle frasi Vi ha una casa, vi ha molte persone ecc.

Nella poesia l’anteposizione dell’oggetto al verbo, non ha altri limiti che l’equivoco, e perciò si usa ogni momento. Le donne, i cavalier, l’armi, gli amori, Le cortesie, l’audaci imprese io canto. Ariosto. – E molte genti fe’ già viver grame. Dante. – Ivi, quando il meriggio in ciel si volve La sua tranquilla imago il sol dipinge. Leopardi. – E tu (o Firenze) i cari parenti e l’idioma Desti a quel dolce di Calliope labro Che Amore nudo in Grecia e nudo in Roma D’un velo candidissimo adornando Rendea nel grembo a Venere celeste. Foscolo.

§ 7. Duplicazione dell’oggetto. Nell’uso vivo, e spesso anche nelle scritture, l’oggetto premesso al verbo diventa come indipendente, e quindi vien ripetuto accanto al verbo medesimo, mediante un pronome congiuntivo (mi, ti ecc. lo, la, li, le). Non può .... le città che egli acquista, sottometterle o farle tributarie a quella città, di che egli è tiranno. Machiavelli. (Vedine altri esempii nella P. II, cap. I, § 20).

§ 8. Predicato nominale coll’oggetto. Quando l’oggetto è accompagnato da un predicato nominale, questo più comunemente si premette, ma spesso anche si pospone, secondochè occorre farlo notare meno o più dell’oggetto stesso, e secondochè è solo o seguito da varii complementi: (vedi P. II, cap. I, § 16).

§ 9. Complementi attributivi. Fra i complementi attributivi, il sostantivo determinante, quando è usato come semplice attributo, si suole anteporre al sostantivo determinato; p. es. L’imperatore Carlo V; Padre Cristoforo, Suor Teresa ecc. Se vien posposto, prende senso di apposizione, p. es. Il Canova scultore, S. Giovanni Grisostomo, Dante autore della D. Commedia. Di rado l’apposizione si premette al sostantivo determinato; p. es. L’autore della D. Commedia, Dante Alighieri.

Il casato si pospone regolarmente al nome proprio delle persone, eccettochè negli indici o cataloghi, dov’è necessario mettere in serie ordinata ciò che distingue una persona o una cosa dalle altre.

Quanto alla collocazione dell’aggettivo rispetto al sostantivo, vedi il capitolo precedente, § 3.

§ 10. I complementi attributivi che consistono in nomi retti da preposizioni (vedi P. II, cap. II, § 7 e seg.) seguono regolarmente al sostantivo, specialmente se sieno legati con altre parole. (Vedine gli esempii nel capitolo citato). Solo qualche volta si potrà anteporli, anche in prosa, per amor di buon suono o di varietà, fuggendo però ogni affettazione o pomposità; p. es. D’una deserta capanna teneva somiglianza. Caro. – Spegne i nemici ed è delle prede e delle taglie signore. Machiavelli.

Quanto a di lui, cui e sim. anteposti al sostantivo, vedi il capitolo precedente, § 2.

Nella poesia si fa liberamente l’inversione. Morte comune e delle corti vizio. Dante. – Io vi farò veder nella mia caccia Di tutti i pesci sorti differenti. Ariosto. – Ed ascoltar di tre fanciulli il canto. Tasso.

§ 11. I complementi avverbiali formati con preposizioni (vedi P. II, cap. III) seguono per lo più al verbo, o si interpongono fra due verbi in dipendenza reciproca, ma lo precedono, quando debbono avvertirsi meglio, o che stanno in contrasto con qualche altra idea; p. es. Gli uomini non avevano avuto uso di vestimenti, ma di questi per l’innanzi furono costretti a fornirsi, e con molte industrie riparare alle mutazioni e inclemenze del cielo. Leopardi. – Esso medesimo diede leggi, stati e ordini civili alle nuove genti; e in ultimo volendo con un incomparabile dono beneficarle, mandò tra loro alcuni fantasmi ecc. Leopardi. – Erano tutti di professione ecclesiastici, e .... però nelle loro persone non militavano quei rispetti di onore, che militano nelle vostre. Segneri. – Gli cade sopra e con valore indicibile giugne a toglierli ancor di mano la spada. Segneri. – Di queste due ragioni di voci stimo che il buono scrittore possa far capitale. Giordani.

Talora i complementi, anche lunghi e varii, s’interpongono, ove il senso lo richieda, fra l’ausiliare e il participio. L’essere, non solo per la sostanza delle cose, ma ancora da altra parte per l’estimazione degli nomini, venuta a scemarsi .... la grazia della varietà ecc. Leopardi.

§ 12. Cogli aggettivi e co’ participii passati aggettivamente usati, anche i complementi avverbiali si pospongono; p. es. Il Rossini ambito da’ principi e da’ popoli saziato d’oro e di onori e di gloria ecc. Giordani. – Talvolta si antepongono per eleganza Le sponde erano sempre di rugiadosi fiori dipinte, e d’erbe verdissime e freschissime vestite. Caro. – Di onestissimi panni sempre vestito. Boccaccio.

Se il complemento avverbiale serve a qualificare un sostantivo, gli si pospone sempre; p. es. ascoltai una commedia in tre atti; S. Giovanni in Val d’Arno; una cosa per burla; un piacere per forza ecc. ecc.

§ 13. Quando i complementi avverbiali si trovano con un verbo accompagnato dal suo oggetto, regolarmente seguono a questo, ma spesso anche per ragioni di stile gli si antepongono, massime quando l’oggetto si tiri dietro altre parole. Non hai tu forse occhi in fronte? Segneri. – Ha Iddio .... destinata a tutti la gloria del paradiso. Segneri. – Portava nella sinistra una fiaccola. C. Dati. – Raccomandate l’anima vostra a Dio. Boccaccio.

Non importa dire che anche qui il verso gode la maggior libertà.

§ 14. Le particelle congiuntive co’ verbi. Tanto l’oggetto, quanto altri complementi vengono spessissimo rappresentati dalle particelle congiuntive pronominali ed avverbiali (mi, ti ecc., vi, ne ecc. Vedi la Gramm. P. II, cap. XXV, e la Sintassi P. I, cap. VI § 9, VIII § 22, XXIII § 5 e XXV § 12). Queste particelle debbono star sempre accanto al verbo (e ne’ tempi composti, all’ausiliare) e, quando gli sono posposte, si attaccano con esso in una sola parola. Alla interjezione ecco si attaccano sempre, non si antepongono mai. Compendieremo qui le regole della loro collocazione.

§ 15. Si prepongono all’indicativo, al congiuntivo, al condizionale; si pospongono all’imperativo, all’infinito, al gerundio e al participio, qualora i primi tre di questi modi non siano accompagnati da negativa. Esempii: Con dolorosa voce gli rispose. G. Gozzi. – Parve a me che mi toccasse di abitare nell’ampiezza de’ palagi, e che tu mi dovresti cedere le abitazioni più grandi. G. Gozzi. – Certo non disse se non: vienmi dietro. Dante. – Credi tu ch’io non possa compensarti di queste poche pere? G. Gozzi. – Levatogli da leggere e scrivere, serrò la finestra. Davanzati. – Del quale essendosi il vescovo avveduto, e avutone consiglio con alcuno ecc. Casa.

Nelle terze persone singolari e plurali dell’indicativo, congiuntivo e condizionale spesso, anche nell’uso moderno, la part. si vien posposta; p. es. narrasi, direbbesi, facciasi, dicasi, credevasi, fecesi, erasi creduto ecc. narransi, diconsi, eransi ecc.

§ 16. Se l’imperativo, l’infinito, il gerundio sono preceduti immediatamente da una negativa (non, ), la particella congiuntiva regolarmente si antepone. Non vi maravigliate, ma credete ecc. Dante. – Per non si morir di sete deliberarono di buscar luogo, dove fosse dell’acqua. Firenzuola. – Sempre facessi vista di non li vedere e non li udire. Firenzuola. – Cavando il conio, si accorgendo di metter l’altro più basso .... il querciuolo si riserrò. Firenzuola. – Non li potendo perseguitare. Guicciardini.

Coll’infinito e il gerundio la particella si può, ugualmente bene, posporre. Io mi sento al fine della mia vita, non essendosi potuto trovar mai rimedio ecc. Tasso. – Per non smarrirsi. Dante.

§ 17. Se un infinito dipende da un altro verbo, come potere, volere, dovere, sapere (nel senso di potere), cominciare o finire di; andare o mandare a ecc. o un gerundio dipende da andare, stare ecc. (Vedi P. I, cap. XVI, § 22 e seg.), la particella o le parti celle congiuntive tanto possono appiccarsi all’infinito e al gerundio, quanto accompagnarsi col verbo che li regge. L’aquila già la voleva ciuffare (o voleva ciuffarla). Firenzuola. – Saprebbe insegnarmi la strada più corta ecc. (o mi saprebbe ecc.)? Manzoni. – Vi sto attendendo colla maggiore impazienza (o sto attendendovi). Ganganelli. – Dubito che lo finirei di schiacciare. Leopardi.

L’infinito dipendente da vedere, udire, sentire, fare, lasciare, regolarmente respinge la particella accanto a tali verbi; p. es. ti sento parlare (e non sento parlarti), ti lascio battere (e non lascio batterti).

§ 18. Di più particelle pronominali che si trovino insieme presso un verbo, quella che corrisponde ad un complemento d’interesse (mi, ti, gli ecc. = a me, a te, a lui) si colloca prima; e le si pospone quella che corrisponde ad un oggetto (lo, la ecc. = quello, quella ecc.) Secondo le norme date nella Grammatica (Gramm. P. I, cap. XIII, § 6), l’i finale delle particelle poste innanzi alle forme comincianti da l (lo, la ecc.) e alla ne avverbiale (vedi § seg.) si cangia in e, e le particelle, quando vanno posposte, si appiccano tutte e due al verbo. Benchè ve lo vediate presente .... non dubitate di cicalare. Segneri. – Non ci si offerisse modo alcuno di poter mettere questa cosa ad effetto. Firenzuola. – Se tu me le levassi, verrebbero dell’altre (mosche) assetate. Caro. – Non ti si può dare misura alcuna certa. Adriani il G. – Promise all’omicida ogni sicurezza e gliela mantenne. Segneri. – Quando la cosa è brutta, ci s’insegna che fuggiamo la propria voce che la significa. Caro.

§ 19. Delle particelle avverbiali ne, ci, vi accozzate colle pronominali o con sè stesse, ne piglia l’ultimo posto, ci sta dopo mi, ti e vi pronominale, ma sta davanti a si e alle forme comincianti da l (lo, la, li, le); vi sta dopo mi, ma sta davanti a ti, si, ci, lo, la, li, le. Anche ci e vi avverbiali dinanzi alle forme comincianti da l o da n cambiano l’i finale in e. Esempii: Sperate forse qualche privilegio che ve n’esenti? sperate di sottrarvene con la fuga? Segneris – Andatesene una mattina da lei. Firenzuola. – Il cielo è tutto santo E ciò che ci si fa vien da buon zelo. Dante. – V’era già stato parecchi mesi, ed era atto (disposto) a morirvisi. Firenzuola. – Empiuta una cestellina delle più belle pere, gliene (gli e poi gle che si scrive e pronunzia glie) fece un presente. G. Gozzi. – La più parte del tempo vi si stava. Caro.

Nella poesia e qualche rara volta nella prosa più scelta si potrà invertir l’ordine, ora posponendo il complemento d’interesse all’oggetto, ora preponendone alle altre particelle. Eccone alcuni esempii. Se gli (gli si) ribellò Padova. Machiavelli. – Io la ti posso concedere per moglie. G. Gozzi. – In atto di volerlosi (un elmo) recare in capo. Leopardi. – Ne si (se ne) fer crudo e miserabil pasto. Caro.

Ne si antepone sempre, nei rari casi in cui questo costrutto si adopera, a lo, la, li, le; p. es. ne la tolse, ne la trasse. Ne lo traeva lori della sua capannetta. G. Gozzi.

Loro per a loro (irregolarmente gli) è forma che sta di mezzo fra l’assoluta e la congiuntiva. Si pospone per lo più al verbo (senza però attaccarla mai), ma talora anche si antepone; p. sa. disse loro ecc., ciò che loro disse ecc. Vedi P. I, cap. VI, § 10, nota.

§ 20. Oggetti ed altri complementi relativi. Gli oggetti significati con pronomi relativi (vedi P. I, cap. XII) stanno, per regola generale, in principio della proposizione; e quando l’oggetto potrebbe esser preso per soggetto e produrre equivoco, si suole far seguire dal soggetto. Quella parte della sua commedia, la quale egli intitola inferno. Boccaccio. – Non potè mai essere indotto ad avere in alcuna riverenza gli iddii, li quali (i quali) gli Ateniesi adoravano. Boccaccio. – Non vi fu infamia che tu non volessi conoscere. Segneri.

Eccezioni. Se il pron. relativo è oggetto di un infinito retto da preposizione, per lo più gli si pospone. Non si curava di que’ vantaggi, per ottenere i quali (non i quali per ottenere) facesse bisogno d’adoperarsi molto. Manzoni. – Per cui reprimere (non cui per reprimere) fu costretto Valente ad uscire in campo. Segneri.

Si pospone pure il pron. il quale al participio o al gerundio usati assolutamente; p. es. veduto il quale, lodando il quale ecc. eccetto il caso che fossero accompagnati da complementi; p. es. la quale lodando egli molto spesso ecc.

§ 21. Anche gli altri complementi significati con pronomi o avverbii relativi stanno pure in principio della proposizione. Questi uditori, a’ quali ho io predicato questa mattina, tengono tutti il Giudizio universale per cosa vera? Segneri. – Scaldava una grande caldaja d’acqua, nella quale bollente entrava. Passavanti.

Quando però il pronome il quale è retto dalla preposizione di, e dipende da un sostantivo, si suole posporre ad esso. Si tolse verso Roma, dalla rovina della quale si astenne. Machiavelli. – Lieto e contento muojo nella solinga casa di questa selva dolcissima. Alla tranquillità della quale non si avvicina qual si voglia real grandezza. Giambullari. – Al contrario: La galleria era destinata a’ più adulti, de’ quali una metà o un terzo (ovvero: una metà o un terzo de’ quali) studiavano all’Università. Alfieri. – S’abbattè a quella Saviezza, della quale egli andava in traccia (in traccia della quale andava). Gozzi.

Anche i complementi si pospongono all’infinito retto da preposizioni; p. es. per giungere al quale; per entrar nel quale ecc.

Di cui posposto al sostantivo articolato diventa cui. Vedi capitolo precedente.

§ 22. Gli oggetti e i complementi espressi con pronomi e avverbii interrogativi stanno anch’essi in principio della proposizione, salvo che il soggetto debba porsi molto in rilievo, nel qual caso si premette al pronome; p. es. Mio figlio ov’è, e perchè non è teco? Dante. – Gloria non di virtù figlia, che vale? Casa. – La qualità di questo figliuolo in quanto dispiacere tenesse il padre, ciascuno sel può pensare. Adriani il Vecchio.

Talora si pospone l’oggetto al verbo, come nelle frasi a far che? per guadagnar che cosa? e simili complementi di scopo.

Se un avverbio interrogativo determina un aggettivo, il verbo regolarmente si pone fra l’uno e l’altro. Potrete comprendere quanto sieno sante, quanto sien poderose .... le forze di Amore. Boccaccio. – Così dicesi sempre: com’è bello questo fiore! quanto è gentile quella donzella!

§ 23. Soggetto assoluto. Vi è nella nostra lingua (e più nel parlare improvviso, che nello scritto) un modo di costruire irregolare, per cui il pensiero fondamentale, e, quasi direi, il soggetto ideale di una o più proposizioni vien posto in principio del periodo, come assoluto e indipendente; e ad esso poi, per mezzo di pronomi dimostrativi e personali, si riferiscono quelle. Esempii: Le cicogne, quando i padri o le loro madri per vecchiezza perdono le penne, sicchè non sono acconce a cercare i lor cibi, i figliuoli scaldano le fredde penne, procacciano loro l’esca, e con pietosa vicenda, essendo giovani, rendono quello che dai padri, essendo parvoli, ricevettono (ricevettero). S. Concordio. – I Veneziani, se si considera i progressi loro, si vedrà quelli sicuramente e gloriosamente avere operato, mentre che fecion (fecer) guerra, i loro proprii ecc. Machiavelli.

Questo costrutto (a cui può ridursi anche la duplicazione dell’oggetto; vedi qui sopra, § 7) è un caso della figura detta anacoluto o incoerenza, e non si può usare che qualche rara volta e con grandissimo avvedimento, dovendosi, per regola generale, sostituire a quel soggetto assoluto un complemento avverbiale retto da quanto a ecc. o una propos. subordinata per ciò che riguarda il ecc. in quanto spetta a ecc.

§ 24. Inversioni poetiche. – Oltre alle molte inversioni speciali della poesia che abbiamo indicate qua e là, ne vogliamo aggiunger qui alcune altre che consistono nello staccare in varai modi le parole grammaticalmente unite fra loro, e incrociare le une colle altre.

Inserzione del predicato verbale fra sostantivi e complementi attributivi: Lamenti saettaron me diversi. Dante. – L’asta crolla smisurata. Tasso. – E quei che fama meritaron chiara. Petrarca – Immagini di ben seguendo false. Dante. – Immobil son di mera fede scoglio. Ariosto. – Mille di fiori al ciel mandano incensi. Foscolo. – E dai riposi sollevò del letto L’inferma delle membra e stanca mole. Tasso.

Inserzione, fra attributi e sostantivi, di complementi avverbiali anteposti al loro verbo e separati da esso. Or che tanta dal ciel luce mi viene. Petrarca. – Chiamò trecento Con lingua orrenda deità d’Averno. Tasso. – Con man la negra Sovra le grandi porporine brache Veste raccoglie. Parini.

Inserzione di attributi fra verbi e oggetti. Allor ch’ei mette in fuga, aspro fremente, Gli abitator silvestri. Chiabrera.

Inserzione di complementi fra due avverbii. Molto all’eterno Degli astri agitator più cari, e molto Di noi men lacrimabili nell’alma Luce prodotti. Leopardi.

Inserzione dell’ausiliare fra un sostantivo e il suo complemento attributivo. Detestato il parto Fu del grembo materno. Leopardi.

Inserzione di molti e svariati complementi fra un relativo di qualità e il sostantivo. E quale, o figlio Della saggia Rebecca, in su la sera, Presso al rustico pozzo e nella dolce Di pastori e di lieti osi frequente Aranitica valle, amor ti punse Della vezzosa Labanide. Leopardi.

Inserzione del predicato fra due elementi coordinati. Nuove sotto ferreo arnese Tenti e più chiare imprese. Filicaja. – Quel pensier che nel dì, che lusinghiero Ti si offeriva nella notte, quando Tutto vuoto parea nell’emisfero. Leopardi.

(Vedi il Discorso sulle inversioni e parole composte nella Poesia Italiana di Luigi Fornaciari).

§ 25. Chiasmo. Una leggiadra costruzione, anch’essa più frequente in poesia, che in prosa, è quella detta chiasmo, per la quale di due proposizioni coordinate, o di due frasi che fra loro si corrispondono, l’una colloca i suoi elementi in ordine opposto all’altra, producendo quasi un incrociamento, secondo,che suona la greca parola. Rideva insieme, e insieme ella arrossia. Tasso. Qui sorge un fonte, ivi un ruscel si scioglie. Tasso. – Le bocche aperse e mostrocci le sanne. Dante. – Ovidio è il terzo, e l’ultimo è Lucano. Dante. – Il contrario di questa figura si chiama anafora, p. es. Molto egli oprò col sanno e con la mano, Molto soffrì nel glorioso acquisto. Tasso.


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