Venerdì 8 febbraio 2002    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO I

Collocazione delle parti del discorso.

§ 1. Articoli. Gli articoli, sì il determinato, come l’indeterminato, precedono il sostantivo o altra parola sostantivata; p. es. il quadro, un quadro, il magnanimo, un povero ecc.

Fra l’articolo e il sostantivo possono stare aggettivi, numerali aggettivamente usati, pronomi possessivi, ed inoltre stesso, medesimo, tale, cosiffatto, tanto, altro, altrui; qualche e certo (dopo un), qualunque (dopo un, ma raro), i plurali quantitativi pochi, parecchi, molti, troppi, e, innanzi agli aggettivi possono trovar luogo avverbii di grado e di quantità, e alcuni di tempo, come più, meno, molto, bene, assai, più, sempre, non mai ecc.; p. es. il o un caro amico, i tre scudi, il quarto giorno, la stessa cosa, un tal rimbombo, l’altro giorno, i pochi amici, i più belli uomini, un molto lucido specchio, un ben alto scanno, il tanto desiderato momento ecc.

Tutto, ambedue, tutt’e due, entrambi, pongono gli articoli fra loro e il sostantivo, solo o preceduto da aggettivi; p. es. tutta la notte, tutto un giorno (Vedi P. I, cap. XIII, § 19), ambedue le case, tutt’e due i cari fratelli. Ciò si pratica anche di mezzo, quando vale a metà, per metà ecc.; p. es. mezza la città. Il sole non è ancora a mezzo il cielo. Boccaccio. – Se poi vale smezzato, allora si costruisce come gli altri aggettivi; p. es. una mezza pera, un mezzo pane ecc.

Anche il pronome tale si antepone talora, per energia, al sostantivo; p. es. tale un ribaldo per un tal ribaldo, tale uno spasimo, tale una gioja ecc. – In verso s’inserisce talora l’articolo fra l’aggettivo e il sostantivo. Distese al caro figlio L’aperte braccia. Acuto mise un grido Il bambinello. Monti. – Su la fronte Gli tremula canuto il crin, siccome Onda di nebbie ecc. Monti.

§ 2. Anche i complementi pronominali di lui, di lei, loro (per di loro), di cui (nella forma ellittica cui), e più di rado costali, costei, costoro (per di costui ecc.) si possono collocare fra l’articolo determinato e il sostantivo. Dalla di lei tutela ne nascerà la difensione della nostra patria. Firenzuola. – Dare a ciascuno secondo la di lui dignità. Casa. – La voce « sieno » non è grata al di lui orecchio. Redi. – E con innanzi un aggettivo: la vedova di lui madre. Lasca. – L’infinita di lei bellezza. Vasari. – Al costui tempo fece fare le mura della città leonina. G. Villani. – Questo giovane, i cui costumi e il cui valore son degni di qualunque gran donna. Boccaccio.

Nello stile poetico è frequente l’interposizione di complementi con preposizioni, preceduti per lo più da aggettivi, fra l’articolo e il nome. Queste sei visioni al Signor mio Han fatto un dolce di morir desio. Petrarca. – Il già sì caro della patria aspetto. Tasso. – E le gravi per molto adipe dame. Parini. – Infra i severi di famiglia padri. Parini.

§ 3. Aggettivi e sostantivi. Rispetto alla collocazione dell’aggettivo (o del participio in senso aggettivale) che serve da complemento attributivo (vedi P. II, cap. II, § 5) ad un sostantivo, si può fissare la regola seguente fondamentale. Si pospone al sostantivo, quando ha molta importanza e dev’esser notato da chi legge: si antepone, quando più di esso deve esser notato il sostantivo. Quindi, venendo ai più osservabili casi particolari, si antepone l’aggettivo:

quando esprime una proprietà essenziale al sostantivo, o solita a trovarsi durabilmente in esso, o già nota, o supponibile dalle cose dette avanti. Appartengono a questa specie gli epiteti, onde i poeti, e talora nello stile ornato anche i prosatori, accompagnano i nomi. La quale piangendo a caldi occhi, e stracciandosi le ricche vesti, e i biondi capelli, col leggiadro volto, co’ modesti lineamenti, col nobile aspetto .... dava indizio d’esser una delle prime fanciulle di quelle contrade. Firenzuola. – I neri e giovenili capelli, spartiti sopra la fronte con una candida e sottile dirizzatura, si ravvolgevano dietro il capo ecc. Manzoni;

quando ha un senso molto generico, come bello, brutto, buono, grande, piccolo, alto, sommo, ottimo, massimo e sim. Usciva dall’un canto del sasso .... una gran polla d’acqua. Caro. – Cominciò a dare le più belle cene, e i più belli (bei) desinari del mondo. Boccaccio. – Le volte piene di ottimi vini. Boccaccio. – L’appetito di nuovi cibi e di nuove bevande. Leopardi. – Porre il piede in questa infima parte dell’universo. Leopardi;

quando qualifica un nome proprio; p. es. il bel Gerbino, il biondo Tevere, il divino Ariosto ecc. tranne il caso che debba distinguerlo dagli altri della sua specie, e servire quasi da soprannome, chè allora si pospone: Federigo il grande, Giulio Romano, Pietro Aretino, Niccola Pisano ecc.

§ 4. Si pospone l’aggettivo:

quando significa una proprietà sensibile di forma, colore, ornamento ecc., che serve a distinguere diverse specie d’un medesimo genere; p. es. vino nero, vino bianco, tavolino quadrato, acqua dolce, acqua salsa, abito scuro ecc. Ponendo lacciuoli all’oche salvatiche. Caro. – La costa sale con un pendio lento e continuo. Manzoni. – Portava .... due calze vermiglie. Manzoni. – Si anteporrebbe per altro anche qui l’aggettivo, se fosse già noto, o supponibile nel sostantivo. (Vedi qui sopra neri sopraccigli);

e specialmente quando deriva da nomi proprii di terre, città, persone ecc.; p. es. lingua italiana, nazione francese, accademia fiorentina, opera romana ecc.;

quando sia notabilmente più lungo del sostantivo (eccettuati però i superlativi in -issimo) o, in generale, quando il premetterlo farebbe cattivo suono; p. es. vino eccellente, cibo prelibato, donna amabile, anima candida (candida anima sonerebbe aspro). Larve seguite e culte con ardore inestimabile. Leopardi;

quando è accompagnato da avverbii, specialmente se di qualche lunghezza (salvo che non òstino le ragioni precedenti): molto più, se fosse determinato da complementi con preposizioni. Montagnuole piene di fiere. Caro. – Uomo d’aspetto maestoso, ma insieme amabile a maraviglia. Bartoli. – Saltar su un bel fanciullo tutto lascivo. Firenzuola. – Morì una figliuola oltre modo avvenente. Bartoli.

Per lo più anche quando l’aggettivo sia in forma alterata; p. es. le membra tenerelle, la voce deboletta, un fanciullo piccoletto. L’altro era un fanciul piccolino. Boccaccio.

Quanto all’aggettivo in senso predicativo, vedi più oltre § 6, nota.

§ 5. Se gli aggettivi che accompagnano il sostantivo sono più d’uno, si seguono pure le regole date sopra, anteponendo quello che anche solo dovrebbe anteporsi, e posponendo l’altro o gli altri; p. es. Con un gran ramo d’albero rimondo. Ariosto. – Altrimenti, si prepongono o pospongono tutti, come suggerisce il senso e l’orecchio, costruendo l’ultimo colla cong. e (). La fama durevole e universale delle scritture .... moltiplica .... il loro pregio. Leopardi. – La villa d’un ricchissimo gentiluomo, bellissima e grandissima possessione. Caro. – Principiò come una grandine di goccioloni radi e impetuosi. Manzoni.

Quando fra due o più aggettivi uno serve a determinare il sostantivo e a distinguerlo da altre cose simili, questo aggettivo deve trovarsi accanto al sostantivo stesso; p. es. E nel vessillo imperiale e grande La trionfante Croce al ciel si spande. Tasso. Non poteva dirsi grande e imperiale.

Talora dei due aggettivi anche quello posposto ha la congiunzione, e la preposizione o l’articolo. A piè d’una bellissima fontana e chiara. Le parevano la più dolce cosa del mondo e la più vezzosa. Un uomo di scellerata vita e di corrotta. Boccaccio. – Scoprivano gli acuti denti e velenosi. C. Dati. – Non cercò fama di fino scrittore nè di alto. Giordani.

§ 6. Alcuni aggettivi prendono diverso significato, secondo la loro diversa collocazione rispetto al sostantivo

1. si premettono in senso traslato, si pospongono in senso proprio; p. es. dolce riso, e vino dolce; cieca severità, e uomo cieco; nero presentimento, e abito nero; pover uomo, e uomo povero;

2. variano in altre maniere, secondo la collocazione; p. es. galant’uomo (uomo da bene, onorato), e uomo galante (che seghe gli usi del bel mondo); gentil uomo o gentil donna (ben educato, di costumi signorili); uomo e donna gentile (uomo o donna nobile); una gran cosa (maravigliosa), e una cosa grande (estesa); una certa notizia (non ben conosciuta), e una notizia certa (sicura); un doppio amico (due amici), e un amico doppio (falso); un semplice contadino (un solo contadino), ed un contadino semplice (di poco cervello); la pura acqua (soltanto l’acqua), e l’acqua pura (non mescolata); un nuovo vestito (diverso da quello precedente), e un vestito nuovo (che s’indossa per la prima volta); il solo figlio (non altri che lui), e il figlio solo (non accompagnato da alcuno) ecc. ecc.

Quanto alla separazione dell’aggettivo dal sostantivo, vedi quello che abbiam detto qui sopra § 2, nota.

Gli aggettivi usati a maniera di apposizione, e che racchiudono il senso di una proposizione implicita (vedi P. II, cap. I, § 7, e cap. IV, § 3, nota), si mettono o avanti o dopo al sostantivo medesimo, ma non mai preceduti dagli articoli. Il Bavaro, superbo dell’onore acquistato, lo ricevette (il nemico) sulla riva. Giambullari. (Poteva anche dirsi Superbo il Bavaro ecc.).

§ 7. Numerali e sostantivi. I numerali, cardinali o ordinali che siano, precedono regolarmente il loro sostantivo, solo o accompagnato da aggettivi; p. es. dieci uomini, il sesto giorno, la prima volta ecc., dieci grandi mensole, venti carte geografiche.

Si pospongono per altro ordinariamente:

quando servono a distinguere le varie parti d’una serie; p. es. libro terzo, tomo secondo, capitolo quarto ecc. Carlo quinto, Arrigo settimo ecc. o quando il numero voglia porsi in maggior rilievo; p. es. net termine di giorni sei: mi contò scudi trentaquattro, lire dieci, soldi cinque. – Lucca, rifiutata dai Fiorentini, fu da messer Gherardo Spinoli per fiorini trentamila comperata. Machiavelli. – Il dì sesto d’aprile in l’ora (nell’ora) prima. Petrarca;

quando il numero cardinale determina il nome giorno o : il dì otto di marzo, il giorno cinque; o il nome numero, il numero sei, il numero trenta.

In verso dicesi anche il sesto Carlo, il nome [sic Red.] Alfonso e sim. – Notisi che i numeri uno o finiti in uno, quando precedono il sostantivo, si accordano con esso in genere, ma ne cangiano il numero di plurale in singolare; p. es. lire ventuno, e centuna lira: cent’un colpo di cannone. Ciò però non si pratica quando al numerale precede l’articolo determin.; p. es. le ventuno lire; i centun colpi ecc.

Si pospongono sempre i numeri cardinali ai pronomi personali puri: voi tre, noi due, loro quattro ecc.

§ 8. Accozzandosi insieme numeri cardinali e ordinali, questi regolarmente precedono quelli. P. es. i primi cinque canti di Dante, meglio che i cinque primi canti; eccetto il caso che il numero ordinale fosse preso in senso traslato; p. es. i tre primi poeti della nostra lingua (cioè i tre più grandi). – Ciò specialmente, quando il numero cardinale significa un periodo di tempo noto e comune; p. es. i primi quindici giorni d’aprile, i secondi otto giorni di maggio e sim.

§ 9. Pronomi. Circa i pronomi, quando sono usati come aggettivi, valgono le regole seguenti.

I possessivi possono stare, per regola generale, avanti o dopo il sostantivo, secondo che il senso o l’orecchio amano meglio; p. es. il mio amico, l’amico mio (L’amico mio e non della ventura. Dante). – Saluti cordialmente in mio nome il sig. Bonomo. Redi. – Quando ottenga questa grazia per opera sua. Caro. – Se il sostantivo è preceduto da aggettivi, i possessivi ora precedono tutta la locuzione, ora la susseguono, e talora si frappongono tra l’una e l’altra parola. Che dirà il mio signor Antonio? Tasso. – Non è più tempo ch’io parli della mia ostinata fortuna. Tasso. – Ella ha lodati quei due miei sonettucciacci. Redi. – Ho ricevuto una soavissima lettera vostra. Algarotti.

Con più sostantivi il pronome si suole più comunemente posporre accordandolo in genere e numero coll’ultimo. Stimando tanto .... la rarità dell’ingegno e del giudicio suo. Caro. – Mi si è fatto conoscere per degno del testimonio e dell’amicizia vostra. Caro.

§ 10. Rivolgendo il discorso ad alcuno, il possessivo si pospone regolarmente, quando il sostantivo non è preceduto da aggettivi; altrimenti, si può posporre o anteporre. Quindi per regola generale deve dirsi Dio mio, padre mio, figlio mio, Pietro mio, Giordani mio, signor mio, e non viceversa mio Dio, mio padre ecc. che (quantunque non manchino di esempii) puzzerebbero di francesismo. Al contrario sarà ben detto dolcissimo amico mio, carissimo padre mio; ma anche mio caro signore, mio dolcissimo amico. – Caro mio signor Giacinto. Redi. – O caro duca mio. Dante. – Mio caro Manzoni. Giusti. – Mia cara amica. Giusti.

Il pronome si può anche interporre, purchè il sostantivo preceda; p. es. padre mio caro, amico mio dolcissimo. Con aggettivi sostantivati caro, diletto ecc. il possessivo si può anteporre e posporre. Anzi caro mio differisce nel senso da mio caro, e piglia un certo colore ironico.

§ 11. I pronomi dimostrativi determinati aggettivamente usati stanno, come l’articolo, in principio della locuzione, tanto se il sostantivo è solo, quanto se è preceduto da aggettivi; p. es. questo libro, questo bel libro, quel pregiato e piacevolissimo libro ecc., quel tanto lodato volume ecc., que’ pochi uomini, que’ due sventurati ecc. ecc. Stesso si pospone o antepone. Nel tronco stesso e fra l’istessa foglia. Tasso.

Nello stile poetico è frequente l’interposizione di complementi con preposizioni. Per questa di bei colli ombrosa chiostra. Petrarca. Spesso anche vi si frappongono proposizioni attributive. Simile a quel che l’arnie fanno rombo. Dante. – Vedi il cap. II.

Quanto ai pronomi stesso, medesimo, deve pure notarsi che nel significato di anche si pospongono sempre ad altri pronomi e specialmente ai personali puri; p. es. esso stesso, colui medesimo, quello stesso; io medesimo, voi stessi, loro medesimi ecc. Con sostantivi possono anteporsi o posporsi; p. es. lo stesso Dante, Dante stesso. Medesimo nel significato di anche si pospone. Il valore de’ Francesi era animato dalla presenza di Napoleone medesimo. Papi. (Vedi P. I, cap. IX, §§ 8 e 7).

Tale e tanto per lo più si antepongono, tal uomo, tanta virtù ecc. ma per energia di stile, specialmente nel verso, possono posporsi. Che dagli occhi mi trae lagrime tante. Petrarca. – In senso numerico si può posporre; p. es. tu mi dai denari tanti, e io ti do tanta merce.

§ 12. I pronomi dimostrativi indeterminati uno, certo, altro, ogni, alquanto, qualche e i quantitativi molto, poco, troppo, più, meno ecc. stanno anch’essi prima del sostantivo, sia solo, sia accompagnato da aggettivi. Alcuno, veruno, nissuno, qualunque, altrui, qual si sia, qualunque sia, qualunque, possono anche posporsi. (Vedi P. I, cap. X, §§ 28 e 29). Tutto si prepone e si pospone a volontà: tutta la notte, le cose tutte, e dopo i dimostrativi, tutte queste cose o queste cose tutte; ma non si potrebbe dire queste tutte cose, quelle tutte cose e sim. Gli altri pronomi quantitativi possono posporsi solo in certi modi proverbiali e antitetici. Tu hai roba troppa e spesa poca. Belcari.

§ 13. I pronomi relativi che, il quale, possono separarsi, salva la chiarezza, da’ pronomi dimostrativi, a cui si riferiscono. Non era da maravigliare se quella bocca favellava dolci parole, la quale aveva baciati i dolci e santi piedi di G. Cristo. Vita di S. Maddalena. – Pregovi .... che nelle vostre (cose) pigliate quella sicurtà di me, che io ho di voi. Caro. – Molti condannano i peccati altrui, che, se si fossero abbattuti nelle medesime occasioni, li scuserebbono. B. Baldi.

Ciò vale anche per le altre parole correlative, che spesso si separano: o così .... che, tanto .... che, così .... come, prima .... che, e più di rado allora .... quando ecc. L’arte allora è più bella e più opera, quando non si conosce. Caro.

§ 14. I verbi ausiliarii che formano i tempi composti (vedi P. I, cap. XVI), si antepongono sempre al respettivo participio; p. es. ho parlato, mi sono ferito, sono lodato, sono stato biasimato. Si possono interporre fra l’uno e l’altro avverbii e frasi avverbiali, purchè non debban esser messi in molto rilievo. – Un espresso fastidio dell’esser loro li aveva universalmente occupati. Leopardi. – Fu per questi provvedimenti di Giove ricreato ed eretto l’animo degli uomini. Boccaccio. – Non senza maraviglia ho più volte considerato ecc. Castiglione.

Quanto alla inserzione di altre parole fra l’ausiliare ed il participio, vedi il capitolo seguente.

Nella poesia è lecito anteporre il participio. Infino ad ora Combattuto hanno, e non pure una volta. Petrarca. – Simile fatto sono al pellicano. Ariosto. – Siede la terra, dove nata fui. Dante. – Presso alcuni antichi, questa inversione era frequente anche in prosa. Come fatto fu il dì chiaro ecc. Boccaccio. – Nè potè ella, poichè veduto l’ebbe, appena dire, Domine ajutami ecc. Boccaccio.

§ 15. infinito. L’infinito si pospone a quel modo finito o infinito, da cui dipende; p. es. voglio scrivere, cominciò a parlare, propose di partire ecc., eccettuato il caso che l’infinito dovesse mettersi in particolar rilievo; p. es. scrivere non voglio, voglio leggere.

Nella poesia si può fare l’inversione. A pena è viva e di morir propose. Tasso. – Gli atti ch’ivi Mirar farieno ogn’ingegno sottile. Dante.

Anche fra il verbo reggente e l’infinito che ne dipende, si possono interporre avverbii e frasi avverbiali, quando non ci sia bisogno di metterli in rilievo, o quando modifichino il primo più che il secondo. Non potendo l’uomo sulla terra confidare in altro che nelle sue forze, nulla mai non dee cedere. Leopardi.

Inversione: quando ognuno rimproverare il potea di grandissimo temerario. Segneri. – Non schivar, non parar, non ritirarsi Voglion costor. Tasso.

§. 16. Il participio passato aggettivamente usato, ora si prepone, ora si pospone al sostantivo, nè più nè meno dei veri aggettivi. Vedi indietro questo capitolo I, § 3 e seg.

Usato nel senso di proposizione subordinata implicita, va soggetto a quelle osservazioni che faremo nel cap. III di questa Parte.

§ 17. Il gerundio si pospone regolarmente agli ausiliarii improprii. (P. I, cap. XVI, § 22). Fra l’uno e gli altri si possono interporre avverbii o locuzioni avverbiali, ed anche spesso un soggetto. Veggo Ligurio andar di qua guardando. Machiavelli. – Stava il cardinale discorrendo con D. Abbondio ecc.

Con inversione : Là ve’ [sic Red.] cantando andai di te molti anni ecc. Petrarca.

Quanto alla collocazione del gerundio come proposizione subordinata implicita, vedi il cap. III di questa Parte.

§ 18. Avverbii. Gli avverbii di grado, e di maniera e guisa, che determinano un aggettivo od un altro avverbio, si premettono per lo più immediatamente ad essi: più, meno, precedono l’aggettivo o l’avverbio di maniera da loro determinato, ma seguono ad avverbii di quantità; p. es. molto bello, affatto perduto, totalmente guasto ecc., più grande, meno ricco, tanto pregiato, molto più caro, tanto meno ammirabile, assai felicemente, ben grande, stupendamente fabbricato. Talora per metterli più in rilievo si pospongono: bello molto, perduto affatto, grande più di lui, buono veramente.

In poesia vi è anche qui la maggior libertà Ed erto più assai che quel di pria. Dante. – Quella che giva intorno era più molta. Dante.

§ 19. Gli avverbii di maniera e guisa regolarmente seguono al proprio verbo; p. es. parlar bene, tacer molto, vivere tranquillamente.

Certi avverbii come più, mai, bene, solamente ecc. si frappongono anche spesso fra l’ausiliare e il participio; p. es. ho già parlato, non ci sono mai stato, non l’ho più veduto. (Vedi qui sopra, § 14).

In generale, la collocazione degli avverbii rispetto al verbo va soggetta a quelle regole medesime che vedremo nel capitolo seguente circa i complementi avverbiali.

§ 20. Avverbii di negazione. Gli avverbii non e , si premettono a quell’idea che vuolsi negare. Le proclitiche e’ e la si antepongono, la proclitica gli e le particelle pronominali o avverbiali oggettive si pospongono a non: p. es. e’ non dice vero, la non è bella, non gli è savio, non ti credo, non glielo dico. Gli avverbii che rafforzano la proposizione negativa, punto, nulla, mica, guari, ancora, più, già, mai (vedi P. II, cap. VII, § 8), seguono regolarmente al verbo, e per lo più s’inseriscono fra l’ausiliare e il participio, come pure spesso fra il verbo finito e l’infinito che ne dipende; p. es. il fuoco non è punto spento; non ne ho mica veduti; non ho più voglia di parlare; non è ancora andato a letto; non ho potuto punto passeggiare.

Eccezionalmente tali avverbii si possono anche premettere alla negativa od al verbo. La luce agli occhi tuoi più non apparisce. G. Gozzi. – Io ancora non gli ho parlato. G. Gozzi. – Mai non vestì di tante gemme l’erba La novella stagion ecc. Poliziano. (Vedi cap. cit., § 7).

§ 21. Le preposizioni costruite con sostantivo o con una parola sostantivata precedono non solo essa, ma anche quelle altre che possono venirgli anteposte; p. es. dal tanto lodato Cicerone; in una bella fresca ed erbosa selva; sotto bene accomodate tende ecc.

§ 22. La prep. con può interporre fra sè medesima e il sostantivo avverbii e complementi locali. Gli porse una scodelletta con entro acqua e aceto. Manzoni. – Una colonna con sopra una croce. Manzoni. – D. Abbondio stava sur una vecchia seggiola con in capo una vecchia papalina. Manzoni.

In poesia vi si frappongono anche dei complementi più lunghi. Levossi in piè con di fior pieno il grembo. Poliziano.

§ 23 Le preposizioni improprie (vedi P. I, capitolo XXVI, § 11) si pospongono non di rado, specialmente in poesia, al loro nome retto da preposizione propria; p. es. a te d’appresso, con loro insieme, da questa cosa in fuori. A seder vanno al crudo re davanti. Tasso. – Ruppesi intanto di vergogna il nodo Ch’alla mia lingua era distretto intorno. Petrarca. (Cfr. quello che dicemmo delle preposizioni usate avverbialmente, nella P. I, cap. XXVI, § 14).

§ 24. Le preposizioni costruite con un infinito possono interporre avverbii di quantità o di maniera, massimamente quando siano brevi; p. es. per ben riuscire, a meglio intendere, per così dire, per più patire, per meno arrischiare, far proposito di non più peccare, senza punto pensare, senza molto riflettere ecc. Senza più aspettar lasciai la riva. Dante. – Signori, le guerre di Toscana si soleano vincere per bene assalire. D. Compagni.

È frequente negli antichi l’interporre fra la prep. e l’infinito oggetti e complementi varii; p. es. Io parlo per ver dire. Petrarca. – Per di fronde velare i sacri altari. Caro. – Tu eri di mercè chiamar già roco. Petrarca. – Venite a noi parlar. Dante. – Con recisa risposta di mai per lor niente voler fare .... se li tolse d’addosso. Boccaccio. – Montano, senz’altri preghi aspettare, incominciò a cantare. Sannazzaro.

Si usa bene anch’oggi: senz’altro dire, senz’altro fare e sim.

§ 25. Congiunzioni. Fra le congiunzioni o quelle parole che ne fanno le veci, alcune possono stare soltanto in principio della proposizione (sia esplicita o implicita), altre possono anche posporsi alla prima o alle prime parole di essa.

Stanno soltanto in principio tutte le subordinanti, quelle cioè che servono a introdurre una proposizione subordinata, ed in generale gli avverbii relativi o composti d’un relativo, che fanno da congiunzione, per il che, per la qual cosa, dove, laddove, mentre, quando, come ecc., oltre di che, senza che, se non che ecc. Fra le coordinanti la copulativa e, le disgiuntive o, ovvero, ossia e sim.

In poesia vi può essere qualche eccezione Da questa tema acciò che tu ti solve, (sciolga) Dirotti perch’io venni ecc. Dante.

Le negative , neppure, nemmeno ecc. si antepongono o pospongono al verbo secondo le regole date (P. II, cap. VII, § 5). Non solo trovasi talora dai moderni posposto a tutta la proposizione; p. es. I maldicenti offendono il prossimo non solo, ma spesso anche danneggiano sè medesimi.

§ 26. Le altre congiunzioni si possono anche porre dopo la prima parola o dopo più parole, dove preme di far la posa del senso. Tali sono, p. es., anzi, pure, però, ancora, poi, bensì, dunque, almeno, al contrario, nondimeno, tuttavia ecc. ecc. Io credo dunque che sia cosa convenientissima il desiderio della novità. F. Zanotti. – Le passioni incitano la volontà ad operare senza riguardo della ragione. Or non son dunque malvagie? F. Zanotti. – Questa che gli uomini chiamano gloria, è abbominazione .... E voi per voi pur volete una gloria tale? Segneri. – Era S. Ignazio di volto maestoso ecc. Ove però convenisse prender sembiante d’amorevolezza, parea che gli si vedesse il cuore in faccia. Bartoli. – La Saviezza si ricreò alla vista dell’amico. Egli all’incontro le fece sapere ecc. G. Gozzi. – Se talvolta non potesse pigliare il sonno, se ne stia nondimeno nel letto. Redi.

La congiunzione che si pospone al verbo nelle frasi delle proposizioni temporali Partito che fu, letto che ebbe ecc. (Vedi P. II, cap. VI, § 4 capov. ultimo).


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