Sabato 13 luglio 2002    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO VIII

I modi e i tempi nelle proposizioni subordinate.

§ 1. I modi nelle proposizioni subordinate. La dipendenza di una proposizione subordinata dalla principale o da quella che rispetto ad essa tien luogo di principale (vedi cap. IV, § 1 e seg.), si può indicare in due maniere; alcune volte soltanto per mezzo delle congiunzioni, senza cambiare il modo che la proposizione avrebbe, se fosse principale e indipendente; p. es. io so che tu sei o saresti valoroso (si direbbe in costruzione indipendente: tu sei, tu saresti valoroso): altre volte non solo per mezzo delle congiunzioni, ma mutando anche il modo, usando cioè il congiuntivo invece dell’indicativo o del condizionale, secondo i casi.

L’indicativo e il condizionale lasciano al concetto della prop. subordinata la sua realtà, sia assoluta o pure condizionata: il congiuntivo invece indica che il concetto della proposizione subordinata è soltanto un’opinione, un pensiero, un’aspettazione del soggetto della principale. So che tu sei valoroso vale quanto tu sei valoroso e io lo so; so, conosco questo fatto, cioè che tu sei ecc. Al contrario Credo che tu sia valoroso vuol dire Ho in me l’opinione, la credenza del tuo valore. Nel primo caso il tuo valore si dà come sicuro in sè stesso, nel secondo si pone come sicuro solo rispetto a chi lo crede. L’uso dunque del congiuntivo indica cosa incerta, possibile, indeterminata; mentre quello dell’indicativo denota sempre cosa certa e affermata come reale e determinata. (Vedi P. I, cap. XVII e XIX). Scorrendo le diverse specie delle proposizioni subordinate, vediamo quando si usi in ciascuna l’uno o l’altro di questi modi.

§ 2. Nelle proposizioni attributive (vedi P. II, cap. V, § 1) si usa regolarmente l’indicativo (vedi gli esempi, loc. cit.). Si eccettuano i seguenti casi ne’ quali sta il congiuntivo:

quando il predicato sia preso in un senso generico e indeterminato. Si deliberò di richiamare tutti i cittadini così Ghibellini come Guelfi, che si trovassero fuora (fuori). Machiavelli. – Di qua e di là si spargono, ed han tosto Presa ogni strada onde si possa uscire. Ariosto. – Il capo chino Tenea com’uom che riverente vada. Dante: e così spesso nelle comparazioni, benchè vi si possa usare anche l’indicativo; p. es. L’ho somigliato ad un puledro che per troppa gagliardia va (vada) continuamente in sulla schiena; ovvero a un fiume che per molto ingrossare alle volte s’intorbida. Caro. E dopo i superlativi o altre parole di senso assoluto. Dante è uno de’ più cari amici ch’io abbia. G. Gozzi. – Merita d’essere annoverato tra i rari cittadini che abbi (abbia) avuto la nostra città. Machiavelli. Coll’indic. Mostrano quella maggior grandezza d’animo che oggi si può mostrare (per significare, che oggi se ne può mostrar sempre poca). Leopardi;

o in senso di scopo e di fine. Divisero la città in sei parti, ed elessero dodici cittadini, che la governassero, i quali si chiamassero anziani e ciascun anno si variassero. Machiavelli. – Si aveva fatto un cappello di verdi fronde che (affinchè) dal sole il difendesse. Sannazzaro;

o in senso di condizione. Ogni uomo o donna che senta (purchè senta), ha nelle parole uno stile suo. Tommaseo.

§ 3. Nelle proposizioni soggettive (vedi P. II, cap. V, § 5), considerandosi il concetto di esse in generale e piuttosto come pensiero che come fatto, si adopera quasi sempre il congiuntivo; p. es. Usanza de’ Giapponesi è che il re mandi loro (a) denunziare la morte. Bartoli. Vedi altri esempi loc. cit.

Qualora però la prop. principale sia un verbo od una frase che includa certezza, come appare, risulta, deriva, procede, è noto, è chiaro, è evidente, è certo (cioè è cosa certa) ecc. allora la subordinata ha il congiuntivo quando precede, ha l’indicativo se vien dopo. Che non si possa ed anco che non si debba far di queste cose, è notissimo a tutti. Caro. – Certa cosa è che la testimonianza di questi santi è molto autentica. Cavalca.

Qualora la principale abbia uno dei verbi avvenire, accadere, occorrere, succedere ecc. si usa più comunemente, massime in un racconto, l’indicativo. Avvenne per sua mala ventura che crebbero un giorno le acque. G. Gozzi. – Avviene non di rado che gli uomini vani .... sono dolci, benevoli, buoni compagni. Leopardi. Se però tali verbi fossero in infinito e dipendessero da un verbo come potere e dovere, si usa il congiuntivo; p. es. può avvenire che io manchi all’appello.

§ 4. Nelle proposizioni oggettive (vedi P. II, cap. V, § 7) si usa ora l’indicativo, ora il congiuntivo, secondo il significato del verbo da cui dipendono.

Si usa l’indicativo quando tal verbo, o un nome del medesimo significato verbale, esprime una percezione sicura, o una cognizione; una affermazione, o una dimostrazione, o una promessa; p. es. vedere, sentire, sapere, intendere, conoscere, ricordarsi e sim. affermare, annunziare, far noto, pensare (nel senso di rivolger il pensiero ad una cosa già certa), giurare, promettere ecc. ecc. Dimostra la ragione che mai succedono bene le cose che dipendono da molti. Guicciardini. – Io dico che la buona educazione importa molto al bene de’ figliuoli. Segneri. – Prometto a Dio che da oggi innanzi non farò più male. Cavalca – Si vede per gli esempi ecc. Che ’l ben va dietro al male e ’l male al bene. Ariosto. – Senza vostra dimanda io vi confesso Che questo è corpo uman. Dante.

§ 5. Si usa il congiuntivo quando il verbo o la parola principale esprime una volontà, un desiderio, un comando o esortazione, una concessione, una preghiera, una tendenza a qualche scopo, una speranza o un timore, un’opinione o congettura, un dubbio, un sentimento dell’animo piacevole o doloroso; insomma una disposizione tutta interiore del soggetto; p. es. volere, bramare, esortare, ordinare, proibire, pregare, tentare, aspettare, sperare, temere, pensare (nel senso di credere), credere, giudicare, tener per fermo, esser certo, dubitare, immaginarsi, maravigliarsi, dolersi, rallegrarsi, sdegnarsi, aver caro, gradire, ecc. ecc. Non vo’ che più favelli. Dante. – I Savii hanno creduto che, senza questa cura sollecita di allevar bene i figliuoli, sieno vane tutte le leggi, e che essa sola senz’altra ordinazione ancor sia bastante a mantenere ne’ popoli la giustizia. Segneri. – Se fosse vera l’opinione de’ Pittagorici che la musica sia un rimedio a guarire da tutti i mali ecc. Segneri. – Immaginatevi che ’l Carnevale e la Poesia si siano fratello e sorella .... tenete che si corrispondano in ogni essa, che abbiano quasi i medesimi furori .... e che facciano le medesime mascherate l’uno che l’altra. Caro. – Temo che la venuta non sia folle. Dante. – Poichè ti dispiace che altri dica male di te, non ne dire tu d’altrui. Cavalca. – C’era un certo numero di persone non ancora persuase che la peste ci fosse. Manzoni

§ 6. Narrare, dire (nel senso di raccontare), sentire e sapere (nel senso di essere informato) e simili verbi della prop. principale, richiedono nella subordinata l’indicativo od il congiuntivo, secondochè la cosa detta o narrata si dà come certa, o come incerta; come un fatto vero, o come una voce, una tradizione di dubbia fede. Narrano le antiche cronache ch’egli fu già in Portogallo un uomo dabbene. G. Gozzi. – Narrasi che tutti gli uomini .... fossero creati per ogni dove a un medesimo tempo .... e fossero nutricati dalle api, dalle capre ecc. nel modo che i poeti favoleggiarono. Leopardi. – Sento che il signor Redi stia meglio e molto me ne rallegro. Menzini.

Accusare, incolpare o sim. alcuno che ecc. preferiscono il congiuntivo, ma hanno l’indicativo, quando uno accusa sè stesso di cosa vera.

Credere manda la subordinata all’indicativo solo quando è usato in senso religioso di tener certo mediante la virtù della fede. Così nel Credo. Io credo che c’è un Dio solo ecc. L’usar credere coll’indic. in altri casi, non ostante che qualche esempio se ne trovi negli antichi, è un errore da schifarsi e tiene dei francesismo.

Coi verbi temere, sperare, confidare e sim. e credere quando si accenna a cose future, si usa il futuro dell’indicativo, mancandone uno proprio del congiuntivo. Vedi più oltre.

§ 7. Nelle interrogative o dubitative subordinate (vedi P. II, cap. VII, § 13 e seg.) si può usare tanto l’indicativo quanto il congiuntivo, ma con qualche differenza; poichè il soggiuntivo mostra in chi domanda una maggiore incertezza od una disposizione a credere il contrario di ciò che si ricerca. Domandò alla serva se si poteva parlare al signor dottore? (se si potesse mostrerebbe più l’incertezza). Manzoni. – Fece un rapido esame se avesse peccato contro qualche potente (D. Abbondio credeva di no). Manzoni. – (Domandollo) il maestro se le pene dell’inferno erano gravi come si dicea (fossero avrebbe mostrato poca fede). Passavanti. – Uscì fuori per veder che fosse (che era non avrebbe così bene mostrato la maraviglia del carbonajo per quel misterioso rumore). Passavanti. – Al contrario: Si mise a guardar dietro alla porta per veder chi aveva sonato. Galilei. – Immaginatevi che freddo orrore corse per le rene di quella povera madre all’udir di queste parole. Segneri. – Se io vi potessi dire che cosa è Dio, Dio non sarebbe Dio (che cosa è più proprio, perchè si tratta d’una questione posta innanzi). Ma poco appresso Il Signor solo può dir che cosa egli sia (sia e non è, perchè cosa che non può sapersi). Segneri. – Or vedete figliuoli come la prosperità mondana riesce a mal fine. Passavanti. – Egli le raccontò tutto il fatto; come esposto l’avesse trovato, come nutrir l’avesse veduto, e come si vergognasse a lasciarlo che morisse. Caro. – Verrei sapere di chi sia mano una composizione che vien di costà. Menzini.

Se però la prop. interrogativa precede alla prop. reggente, si preferisce regolarmente il congiuntivo. Qual fosse il tuo stupore giudichilo chi partecipa dell’ingegno e della curiosità ecc. Galilei.

Si usa sempre l’indicativo nelle dimande risolute, e che quasi si confondono coll’interrog. diretta. Ma digli chi tu fosti. Dante. – Dimmi con chi pratichi e ti dirò chi sei. Proverbii. – Io non so s’io son desto o pur s’io sogno. Gelli.

§ 8. Nelle proposizioni locali (vedi P. II, cap. VI, § 2) valgono le stesse regole delle prop. attributive. (Vedi questo cap., § 2). Dovunque (ove che poet.) riceve più spesso il congiuntivo. Dovunque si rivolge (indicat.) trova sdruccioli o trappole. Passavanti. Non cessa di favorire ogni virtù dovunque ella si ritrovi. Vasari. – Ove ch’io vada, ove ch’io stia talora .... La sospirata mia dolce nemica Sempre m’è innanzi. Marini.

§ 9. Nelle proposizioni temporali (vedi Parte II, cap. VI, § 3) si usa l’indicativo, quando contengono un fatto riguardato come reale (vedi gli esempii, loc. cit.); si usa il congiuntivo, quando contengono un’intenzione, o un’aspettazione di cosa futura. Non si ristette, finchè salite le scale arrivò ecc. Segneri. – Starommi qui fino che piacerà alla Maestà di quello che m’ha ispirato a fermarmici, e quando non gli piacerà più che ci stia, andrò dove sarò chiamato da lei. Berni. Invece: Dille ch’io sarò là, tosto ch’io possa. Petrarca. – Fece dire all’Abate che qualora gli piacesse il mangiare era presto. Boccaccio. – Seguirò l’ombra di quel dolce lauro, Finchè l’ultimo dì chiuda questi occhi. Petrarca. – Prima che, avanti che ecc. vogliono sempre il congiuntivo. Prima ch’io dell’abisso mi divella ecc. Dante. – Avanti che la proda Ti si lasci veder, tu sarai sazio. Dante.

Si può usar pure il congiuntivo dopo congiunzioni che indicano una ripetizione d’atti. Ogni volta che aprisse la bocca per cacciare un urlo, il fazzoletto veniva a soffogarglielo in gola. Manzoni.

§ 10. Nelle proposizioni causali (vedi P. II, cap. VI, § 8) si adopera l’indicativo. Condannarono due padri a pagare una grossa somma di danaro, perchè i loro giovani erano tra sè venuti alle mani. Segneri. Taluni adoprano anche il congiuntivo; p. es. perciocchè egli fosse un po’ stanco, non si trattenne.

Con la cong. conciossiachè (conciossiacosachè) si può usare anche il congiuntivo. Lo sprezzar la gloria e l’onore .... è un gloriarsi .... sopra tutti gli altri; conciossiachè niuno di sano intelletto rifiuti le care cose. Casa.

Le congiunzioni causali possono talora costruirsi anch’esse col congiuntivo, quando cioè dipendono strettamente da una proposizione negativa o interrogativa. Vedi questo cap., § 16.

§ 11. Nelle proposizioni condizionali (vedi P. II, cap. VI, § 10) si adopera l’indicativo, quando la condizione è presa in modo assoluto e certo (colla cong. se); si adopera il congiuntivo, allorchè la condizione è incerta, dubbia e ristretta (colle altre congiunzioni purchè, qualora, nel caso che ecc., dove e quando in senso condizionale).

Anche se, quando ha il senso di purchè, qualora, regge il congiuntivo. Se siate stati in cosa alcuna negligenti, subito vi supplite. Pandolfini.

L’indicativo si cambia in congiuntivo (imperf.), quando la prop. principale contenga un modo condizionale. Vedi più sotto, § 27.

§ 12. Nelle proposizioni concessive si usa regolarmente il congiuntivo (colle cong. benchè, sebbene, se ecc.). Vedi P. II, cap. VI, § 12.

Talora per eleganza, ma con molta parsimonia, si potrà usare anche l’indicativo. Quantunque il re Agramante non abbonda Di capitani, pur ne finge e sogna. Ariosto.

Si usa sempre l’indicativo, quando la congiunzione serve di passaggio fra un membro e l’altro del periodo. Vedi il cap. seguente, § 11, capoverso terzo.

§ 13. Nelle proposizioni di maniera e guisa dopo come o secondochè si usa l’indicativo (vedi P. II, cap. VI, § 16); dopo le altre congiunzioni quasi, quasichè, come se, senza che ecc. si usa il congiuntivo (vedi loc. cit.).

Oltrechè, oltre di che, può costruirsi coll’un modo quanto coll’altro, ma oggi più spesso coll’indicativo (vedi P. II, cap. VI, § 17).

Non che si costruisce col congiuntivo. Vedi P. II, cap. VI, § 17, in fine.

§ 14. Nelle proposizioni comparative (vedi P. II, cap. VI, § 19) si usa l’indicativo, quando la comparazione si riferisce ad un fatto certo e determinato; si usa il congiuntivo, quando la si riferisce a un fatto incerto e generale. Si danno ad ogni vizio, più che non fanno i giovani dissoluti (con maggior forza potea dire non facciano). Pallavicini. – Costei fu dal padre tanto teneramente amata, quanto alcuna altra figliuola da padre fosse (potesse essere) giammai. Boccaccio. – La botte non dà altro vino che la si abbia (qualunque sia il vino che possa avere). Proverbii. – Il ribaldo tornò più presto che il suo padrone non se l’aspettasse (poteva aspettarselo). Manzoni. Vedine altri esempii loc. cit.

§ 15. Nelle proposizioni consecutive (vedi P. II, cap. VI, § 22) si usa l’indicativo, quando la conseguenza si dà come un fatto reale; si usa il congiuntivo, quando la conseguenza si propone come necessaria o possibile, ovvero, come uno scopo di chi opera. Il peccato ha sì brutta faccia che i suoi seguaci si argomentano di ricoprirla eziandio a sè stessi. Pallavicini. – Andate in maniera che nessuno s’avveda di nulla. Manzoni. (Vedi altri esempii loc. cit.). Si usa sempre il congiuntivo dopo troppo .... perchè (loc. cit.).

§ 16. I modi nelle proposizioni subordinate dipendenti da una proposizione negativa o interrogativa. Quando le proposizioni subordinate dipendono da una proposizione di senso negativo o restrittivo (di rado, pochi, difficilmente, a mala pena) o interrogativo, in modo che questo senso si estenda anche a quelle, allora si usa in esse il congiuntivo, perchè la negazione e il dubbio tolgono loro il senso della realtà, lasciando soltanto quello della possibilità e della incertezza. Non aveva chi avesse cura di lui. Cavalca. – Sappi che in terra non è chi governi. Dante. – Non ho mai potuto intendere a che serva l’arte nostra. G. Gozzi. – Io non so chi tu sii. Dante. – Rade volte addivien (avvien) che all’alte imprese Fortuna ingiuriosa non contrasti. Petrarca. – Appena due o tre son oggi in Italia che abbiano il modo e l’arte dell’ottimo scrivere. Leopardi. – Nessuno è sì compiutamente disingannato del mondo nè lo conosce sì addentro, nè tanto l’ha in ira, che guardato un tratto da esso con benignità, non se gli senta in parte riconciliato; come nessuno è conosciuto da noi si malvagio, che salutandoci cortesemente, non ci apparisca meno malvagio che innanzi. Leopardi. – Non che si guardi a non si far sentire, Perch’abbia alcun pensier della sua vita. Ariosto. – Nè i Portoghesi furon sì presti a raccorsi, che sei di loro non ne fossero feriti. Bartoli.

Se però una proposizione si afferma come vera in se stessa indipendentemente da chi la ignora o la nega, o come una massima generale, conserva l’indicativo, non ostante la sua dipendenza grammaticale. Questa signora non dee sapere che l’ucciso è il suo figliuolo (il figlio è ucciso, ma la signora non lo sa). Segneri. – Non sapeva che i cieli gli destinavano morte mille volte più miserabile (quella morte è sicura per lo scrittore, benchè ignorata dal soggetto della propos. principale). Guerrazzi. – Chi non sa che quasi tutti i piaceri vengono più dalla nostra immaginativa che dalle proprie qualità delle cose piacevoli? Leopardi. – Non sapete voi che questo paese è netto pieno di malandrini? Sacchetti. E così in generale, quando l’interrogativa, come qui, equivale ad un’affermativa (Tutti sanno, Voi sapete). In quel luogo dantesco io non so chi tu sii nè per che modo Venuto se’ quaggiù, l’uso dell’indicativo, benchè irregolare, si spiega dal fatto che il C. Ugolino vedeva Dante lì davanti a sè, mentre poi non sapeva chi fosse.

§ 17. I tempi nelle proposizioni subordinate. Già nella P. I della Sintassi (cap. XVII-XIX) abbiamo parlato in generale dell’uso de’ tempi, considerandoli più specialmente nelle proposizioni principali. Ora ci restano da vedere le leggi di certe relazioni fra un tempo e l’altro, che hanno luogo nel complesso di due proposizioni, delle quali l’una dall’altra dipenda. Considereremo anche qui prima l’indicativo, poi il condizionale, e finalmente il congiuntivo, tacendo de’ nomi verbali che servono alle proposizioni implicite, poichè ne abbiamo già trattato abbastanza, e perchè, potendosi essi risolvere or nell’uno or nell’altro di que’ modi, non hanno regole proprie e speciali.

§ 18. Indicativo. L’indicativo, essendo di sua natura modo indipendente, conserva anche nelle proposizioni subordinate quelle leggi stesse, cui va soggetto nelle proposizioni principali (vedi P. I, cap. XVII). Alcune eccezioni possono essere le seguenti.

§ 19. L’imperfetto nelle prop. subordinate si pone sovente dopo un altro tempo passato, per indicare una massima generale che di sua natura avrebbe voluto il presente. Era loro fitto nell’animo che dalla sopraintendenza de’ maggiori dipendea, come da radice, il buono o cattivo frutto che pullula tra i minori. Segneri. – Disse non essere sua intenzione di torre la libertà a quella città, ma rendergliene; perchè solo le città disunite erano (sono) serve, e le unite libere. Machiavelli. (Vedine altri esempii, Parte I, cap. XVII, § 10). Ciò vale anche per l’imperfetto del congiuntivo, qualora fosse richiesto questo modo.

Dopo mentre nelle proposizioni temporali si trova alcune volte il presente invece dell’imperfetto; ma è maniera latina e dello stile storico. Nelle quali ambiguità mentre che sta sospeso, i Francesi correvano di qua dal Tevere tutto il paese. Guicciardini.

§ 20. Il presente si usa talora invece del passato prossimo, o l’imperfetto in luogo del trapassato prossimo (e ciò tanto nell’indicativo, quanto nel congiuntivo), quando l’azione si riguarda come tuttora durante; p. es. Son due giorni che non mangio nè dormo invece di che non ho mangiato nè dormito; e in congiuntivo: benchè da due giorni più non mangiasse (per avesse mangiato) eco. – Lauretta, appena ebbe scorto il volto desiato del fratello, che non vedea più da tanti anni, non potè contenere l’impeto del primo affetto. Grossi.

§ 21. I tempi indicanti azione in atto si pongono non di rado in luogo di quelli dell’azione in effetto. Così il passato remoto si pone talora, specialmente in poesia, invece del trapassato prossimo. A dar si volse Vita coll’acqua a chi col ferro uccise (avea ucciso). Tasso. – Ritrovossi alfine onde si tolse (si era tolto). Ariosto. – Vinto Oloferne stesso Dal vino in cui s’immerse (s’era immerso) oltre il costume Steso dormia su le funeste piume. Metastasio.

§ 22. Il trapassato remoto si usa regolarmente nelle proposizioni temporali in relazione con un passato remoto, purchè l’azione in esse contenuta preceda immediatamente l’azione della propos. principale. Appena Lodovico ebbe potuto raccogliere i suoi pensieri, chiamato un frate confessore, lo pregò ecc. Manzoni. (Vedi P. I, cap. XVII, § 18 in fine). Ma se le due azioni avvengono contemporaneamente, o piace di riguardarle come contemporanee, usasi anche qui il passato remoto. Gridò Minos a me, quando mi vide. Dante. – Quando mi vide, tutto si distorse. Dante. – Quando il re Eumene venne a Roma, il Senato l’accolse con grandissimi onori. Adriani il G.

§ 23. Così pure il futuro semplice si usa spesso invece del futuro anteriore; p. es. Appena arriverò, ti scriverò (regolarmente: appena sarò arrivato). – Pregovi che voi facciate fare un buon fuoco, acciocchè, come io entrerò dentro, io mi possa scaldare (invece di sarò entrato). Boccaccio.

Ciò vale anche pel congiuntivo, quando ha senso di futuro; p. es. era desideroso di salutarlo appena lo trovasse (o l’avesse trovato).

§ 24. Il futuro semplice e l’anteriore si usano spesso come dipendenti (in proposizione oggettiva) anche da verbi indicanti speranza, dubbio o timore; p. es. Spero che verrà, che sarà venuto, che ne avrà rammarico; temo che lo perderò. Anche dopo credere e simili verbi hanno più forza del congiuntivo: Credo che metterà giudizio, temo che sarà partito.

§ 25. Condizionale. Il condizionale sostituisce regolarmente il futuro dell’indicativo, quando questo verrebbe a dipendere da un tempo passato; p. es. Dico che partirò; io diceva, dissi, ebbi detto, aveva detto, ho detto che partirei, o sarei partito. – Sono stato sempre certo che nelle occasioni lo mettereste (l’animo vostro) in opera. Caro.

§ 26. In questi casi il condizionale si può adoperare tanto nell’uno, quanto nell’altro de’ due suoi tempi, senza che il significato ne muti notevolmente. Pronosticò che quest’opera avrebbe rovinata l’autorità dell’Olevano, e sarebbe rimasta come codice di primaria autorità. Manzoni. – Credè che da lungi ancora risanato gli avrebbe il garzone infermo. Segneri. – Il principe parlò delle distinzioni, di cui (Gertrude) godrebbe nel monastero e nel paese; che là sarebbe come una principessa ecc. Manzoni. – Le parlò delle visite che avrebbe ricevute. Manzoni. – Un certo servo portò nuova che il padrone, pochi giorni avanti la vendemmia, visiterebbe la villa. Caro. – Venne a riferire che il Cardinale Federigo .... ci starebbe tutto quel giorno. Manzoni.

Si usa regolarmente il condizionale passato, quando vuolsi indicare che la cosa sperata, desiderata o credutasi nel passato, non ha avuto effetto. Io speravo che oggi si sarebbe stati allegri insieme (Renzo accenna un fatto che sarebbe dovuto accadere, mentre parlava). Manzoni. – Nessuno si può immaginare dove sarebbe arrivato, se fosse stato sempre stella strada retta (si parla di cosa che non è accaduta). Manzoni.

§ 27. Congiuntivo. I tempi del congiuntivo da usarsi nella prop. subordinata variano secondo i tempi e i modi usati in quella da cui dipende.

Se il congiuntivo dipende da un presente, da un futuro e talora anche da un passato prossimo (tempo che di sua natura tiene stretta relazione col presente) dell’indicativo o imperativo, o dal presente o passato del congiuntivo, deve stare in presente o in passato. – Se invece dipende da un imperfetto, da un passato remoto, da un trapassato pross. e remoto, ed anche talora da un passato prossimo dell’indicativo, o da un imperfetto o trapassato del congiuntivo, o da un condizionale, deve stare o in imperfetto o in trapassato.

Eccone, per maggior chiarezza, il quadro:

Presente
Futuro
Pass. prossimo
} Indicativo
o imperativo
} reggono { il presente
o il passato
del congiuntivo
Presente
Passato
} Congiuntivo
Imperfetto
Passato remoto
Trapassato pross.
e remoto
(Passato prossimo)
} Indicativo } reggono { l’imperfetto
o il trapass.
del congiuntivo
Condizionale
Imp. o trap. } Congiuntivo

§ 28. Esempii. I. Non veggo come mi possa riconciliar con esse. Caro. – Bisogna che se ne metta l’animo in pace. Caro. – Mi sono raccomandato a Dio che mi soccorra della sua grazia. Caro. – Cristo benedetto m’ha messo in cuore che io vi dica liberamente come il fatto sta. Caro. – Conviene ch’egli stesso abbia vedute e misurate le sue possessioni. Tasso. – Ha voluto Cristo che domandiamo del continuo le grazie all’Eterno Padre. Segneri.

Se però il fatto, di cui si parla nel presente, si riguarda come passato da molto tempo, e indipendente dal presente stesso, può usarsi l’impf. del congiuntivo. A me pare che i miei errori fossero degni di perdono. Tasso. – Non pare a te che gli antichi vivessero più di noi? Leopardi.

Lo stesso può farsi quando vuolsi indicare un fatto come incerto e ipotetico. Facciamo ch’io non dessi (dia) in un ventuno (in una disgrazia). Lasca. – È meglio risolversi a tentar la fortuna, e vedere se io potessi una volta uscire d’affanni. Lasca.

II. Non ebbi mai le Muse tanto in balia, che le potessi far cantare a lor dispetto. Caro. – Sono stato deliberando prima s’ io vi dovessi rispondere, dipoi che sorte di risposta v’avessi a fare. Caro. – Avanti ch’ella partisse da Roma, io le parlai. Caro. – Questa elezione fu non piccola cagione che N. Machiavelli morisse. Varchi. – Io negava che la pura vita fosse cosa amabile e desiderabile per natura. Leopardi. – Perchè non lasciò l’invida morte dimorare almen fra noi così valorosa donna ch’ella stessa avesse potuto pervenire al fine della sua bellissima impresa? Firenzuola. – Aveva colto per que’ campi .... dieci o dodici zucche, e come se fossero stati uomini, le aveva condotte a piè della scala delle forche. Lasca. – I padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano. Boccaccio. – Potrebb’esser che la pietà ti avesse mosso a venire alla volta mia. Firenzuola. – Non vorrei che vi deste a credere che io avessi in animo di condurvi tutti al deserto, dove doveste levarvi in allo sette volte il giorno da terra. Segneri. – Raccontò .... come si vergognasse (si fosse vergognato) a lasciarlo (il bambino) che morisse. Caro.

Come si vede da questi esempii, all’imperf. o al passato remoto della prop. principale corrisponde più regolarmente l’imperfetto del congiuntivo nella subordinata, ed al trapassato prossimo nella prima, il trapassato nella seconda.

Trattandosi di un fatto o di una sentenza che si avvera tuttora, può anche usarsi il presente del congiuntivo invece dell’imperfetto. Supplicò la dea che rimunerasse la pietà de’ figliuoli col maggior bene che possa cadere negli uomini. Leopardi.

Quando il condizionale sta in luogo d’un indicativo presente, regge il presente del congiuntivo. (Vedi P. I, cap. XVIII, § 13).

§ 29. Tempi e modi nelle proposizioni condizionali. Oltre le regole generali date qui sopra, voglionsi assegnare speciali norme per i gruppi formati da una principale (qui detta dai grammatici apodosi), e da una condizionale subordinata (detta pur dai grammatici prodosi), potendo questi usare varii modi e tempi con assai libertà, secondo il variare del sentimento:

1ª forma. Indicativo nella prodosi; indicativo altresì o imperativo nell’apodosi. Il dir vostro, se pur pecca, pecca per bontà. Caro. – Umile sarà l’elocuzione, se le parole saranno proprie. Tasso. – Se tu avevi altra ira, non ci dovevi perciò straziare. Boccaccio.

Con questa forma si pone la condizione come reale, e la conseguenza come sicura e necessaria.

Spesso al presente o passato prossimo della prodosi corrisponde nell’apodosi il futuro; p. es. Se ella tanto può nelle bestie, che potrà negli uomini? Gozzi. – Mancherà l’industria e crescerà la pigrizia, se timore o speranza non ci governa. Davanzati.

2ª forma. Congiuntivo presente o passato nella prodosi; indicativo pres. o futuro nell’apodosi. Dove la vendetta degli uomini manchi, veglia il giudizio di Dio. Guerrazzi.

Con questa forma si pone la condizione come ipotetica, e la conseguenza come sicura.

3ª forma. Congiuntivo impf. nella prodosi; condizionale presente o passato nell’apodosi. Se stesse in arbitrio mio di servirla, mi contenterei di farlo. Caro. – Se fosse qui presente il Cagliostro, forse ci potrebbe dare un poco di lume. Leopardi. – Se fosse vivo, oramai e’ si sarebbe ritrovato. Firenzuola.

Con questa forma si pone la condizione come ipotetica, e come tale anche la conseguenza.

4ª forma. Congiuntivo trapassato nella prodosi; condizionale passato nell’apodosi. Se egli fosse stato libero, avrebbe o a sè o ad altri fatto qualche gran male. Lasca.

Con questa forma oltre a porre come ipotetiche la condizione e la conseguenza, si trasporta anche la prima in un tempo passato. Dimodochè si viene a dire chiaramente essere vero il contrario di ciò che si supponeva. Così l’esempio surriferito, lascia sottintendere: ma egli non era libero, e però non fece male.

Quando la terza forma ha senso negativo, si può rafforzare colla frase Se non fosse che ecc. (Cfr. P. II, cap. VII, § 3 e § 13, capoverso ultimo). E se non fosse ch’ancor lo mi (me lo) vieta La reverenza delle somme chiavi .... I’ userei parole ancor più gravi. Dante. (Invece di e se non mel vietasse ecc.).

In antico ciò si usava anche con un tempo passato. Se non fosse che egli era giovane .... egli avrebbe avuto troppo a sostenere. Boccaccio.

§ 30. Nella terza e quarta forma si può sostituire ai tempi composti (trap. del congiunt. pass. del condizionale) l’imperfetto dell’indicativo. Se io non avessi provato, non poteva mai credere (non avrei potuto). Leopardi. – Se Lucia non faceva (non avesse fatto) quel segno, la risposta sarebbe stata diversa. Manzoni. – Io non avrei al presente questa ansietà, se io non mi intrametteva in quelle faccende che non mi si aspettavano. Firenzuola. – Braccio cercò di occupare il regno di Napoli, e se non era rotto e morto all’Aquila, gli riusciva. Machiavelli. – Se potuto aveste veder tutto, Mestier non era partorir Maria. Dante.

Si usa anche nello stesso senso il trapassato prossimo dell’indicativo; p. es. Se io era venuto (fossi venuto) un’ora prima, questo non era succeduto (sarebbe ecc.). – Avevano il giogo bello e scosso, se la prosperità non li facea trascurati. Davanzati.

Non ostantechè siano queste le regole generali dell’uso de’ tempi e modi nelle proposizioni ipotetiche, pur nondimeno si può talvolta, per ragioni di stile, uscirne in alcuna parte, come hanno fatto gli scrittori. Per esempio, si unisce spesso una prodosi di terza forma con un’apodosi della prima. Se a caso (il Vesuvio) fosse in furore, vedrà uscir del suo seno dei torrenti di fuoco. Ganganelli. – Mandansi alla scuola chi qua, chi là, ed è un’ottima usanza, se nelle scuole s’avesse avvertenza di ammaestrare gl’ingegni secondo quella condizione di vita, che a un dipresso lo scolare ingrandito dovrà eleggere. G. Gozzi. – Ciò si pratica specialmente, quando nella apodosi sia l’imperativo; p. es. Se un cattivo compagno ti si ponesse d’attorno, fuggi immediatamente da lui.

§ 31. Qualora l’apodosi invece d’esser una proposizione principale, dipenda essa stessa da un’altra, non altera però generalmente i suoi modi e tempi. Mi pareva che l’avrei sbranato, anche se l’avessi trovato nel santuario. Foscolo. Ma se ne dipende in relazione di finale, cambia il condizionale in congiuntivo. S’andò a nascondere, acciocchè se quella gente quivi venisse non fosse così tosto trovata. (In modo indipendente sarebbesi detto: se quivi fosse venuta, non sarebbe stata ecc.). Boccaccio.

Nelle proposizioni dipendenti da un’implicita, il tempo si regola secondo la forma che questa avrebbe se fosse esplicita, il che è determinato dal senso generale del discorso.

§ 32. Tempi e modi nel discorso indiretto. Quanto al discorso indiretto, a quello cioè che si riferisce, come pronunciato da una persona diversa da chi parla, si tien questa regola: nelle proposizioni che nel discorso diretto avrebbero l’indicativo di tempo presente, si usa l’imperfetto dell’indicativo, e in quelle di senso passato, il trapassato prossimo dell’indicativo, o l’infinito in ambedue: le proposizioni però che contengono un comando o un consiglio, si pongono in congiuntivo (vedi P. II, cap. V, § 7); e quelle che nel discorso diretto avrebbero il futuro dell’indicativo, si mettono in condizionale. Le altre proposizioni dipendenti si regolano come nel discorso diretto. Rinaldo gli disse quanto la parte de’ nobili e qualunque desiderava ben vivere s’era rallegrato per esser lui pervenuto a quella dignità; e che a lui si apparteneva operare in modo che non si fossero rallegrati invano. Machiavelli. – Rivòltosi poscia (Napoleone I) ai popoli d’Italia mandava, venire il francese esercito per rompere i ceppi loro, essere il popolo francese amico a tutti i popoli; accorressero a lui confidentemente: ... serberebbe intatte le proprietà, la religione, i costumi. Botta. – I dolenti genitori raccontavano quella sceleratezza (il ratto delle Sabine), e ne facevano le più rammarichevoli querele. Non potersi dunque disdire ai Romani ciò che loro viene in talento? i genitori non esser più padroni delle loro figliuole? P. Farini. – Egli le rispose che il perdono non bastava desiderarlo, nè chiederlo .... che insomma bisognava meritarlo. Manzoni. – Il messo tornò colla risposta d’Egidio: che l’impresa era facile e sicura, gli si mandasse subito una carrozza con due o tre bravi, e lui prendeva la cura di tutto il resto, e guiderebbe la cosa. Manzoni. – Fabrizio gli rispose che a lui non si aspettava il parlare delle sue virtù; la sua povertà però non gli recava nè vergogna, nè incomodo; aveva casa quanto gli bastava .... nè di più desiderava. P. Farini.

Per la stretta relazione che corre fra un passato e il presente storico (vedi P. I, cap. XVII, § 3, capov. ultimo) si trova talora nel discorso indiretto il presente dell’indicativo, invece dell’imperfetto del congiuntivo. Egli mi chiese A che vengo e chi son? Metastasio.


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