Mercoledì 30 gennaio 2002    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO I

Elementi principali della proposizione.

Soggetto, predicato, oggetto.

§ 1. Soggetto. Gli elementi principali della proposizione in generale, si riducono a tre, soggetto, predicato e oggetto. Dicesi soggetto quella cosa o persona, intorno alla quale si aggira il giudizio contenuto nella proposizione (P. I, Prelimin., 3), sia che si concepisca come operante essa stessa qualche azione, sia che si concepisca come sottoposta ad un’azione fatta da altri (P. I, cap. XXIII).

§ 2. Il soggetto d’una proposizione è sempre un sostantivo o un’altra parte del discorso costruita sostantivamente (P. I, cap. I, 16; II, 4 e seg.; V, 1; VI, XII passim; XX, 3 e seg.; XXI, 4; XXV, 4). Può questo sostantivo esser solo, ovvero accompagnato da complementi attributivi (proposizione complessa, P. I, Prel., 8) e possono i soggetti essere più d’uno in una proposizione (proposiz. composta, cap. cit., § 12).

Circa la proposizione soggettiva, vedi più oltre il capitolo che ne tratta.

Circa l’uso degli articoli, vedi tutto il cap. XIII.

§ 3. Ellissi del soggetto. Molte volte il soggetto non si esprime: ciò specialmente nei seguenti casi:

coi verbi impersonali, od usati impersonalmente, quando il soggetto sia indeterminato e contenuto nel verbo stesso; p. es. piove, tuona; si parla, si legge ecc. (Vedi P. I, cap. XXIV passim);

quando il soggetto è espresso poco avanti, in modo che chiaramente si sottintenda, caso frequentissimo in ogni discorso. Querelavasi il librajo della sorte sua e (il librajo) andava dicendo ecc. G. Gozzi. – E che t’ha detto il padre? (Il padre) m’ha detto che cercassi d’affrettare le nozze. Manzoni;

quando il soggetto è un pronome personale anteposto alla corrispondente persona di un verbo; eccetto il caso che per amor di chiarezza o di energia si debba esprimere (P. I, cap. VI, § 11). L’esprimere, senza alcun bisogno, il pronome personale sentirebbe di francesismo.

§ 4. Predicato. Dicesi predicato quell’azione, condizione o stato che nella proposizione si attribuisce al soggetto (P. I, Prelim., 3, 5). Si distingue in predicato verbale e predicato nominale.

§ 5. Il predicato verbale consiste in un verbo transitivo (attivo e passivo) od intransitivo, ma tale che denoti di per sè un’azione, uno stato, una qualità; p. es. Pietro legge, Pietro è o viene lodato; il fiore nasce. Deve dunque il predicato verbale contenere in sè quanto ci vuole per determinare un’azione, ond’è che i verbi di lor natura molto indeterminati (come essere, parere, diventare, stare ecc.) di rado si adoperano in questo senso (vedi più sotto § 7, nota ult.).

§ 6. I verbi così detti servili posso, voglio, debbo, soglio ed anche so nel senso di posso, non hanno un senso intero senza un altro verbo espresso o sottinteso, che si mette in infinito; p. es. posso parlare, voglio sentire, debbo partire, soglio passeggiare ecc. I Fiorentini la libertà mantenere non sanno e la servitù patire non possono. Machiavelli. Cfr. P. I, cap. XX, § 12.

Prendono per altro un senso intero, quando si adoprano assolutamente: come potere per esser potente, dovere per esser debitore ecc. In che paese ti trovasti e quando A poter più di me coll’arme in mano? Ariosto. – Mi veggo torre quattromila scudi che esso mi debbe (deve). Caro. – Ma non può tutto la virtù che vuole (che ha il volere). Dante.

Intorno all’ellissi dell’ausiliare ne’ tempi composti de’ verbi, vedi P. I, cap. XVI, § 20.

§ 7. Il predicato nominale consiste in un attributo (vedi più sotto) unito al soggetto col verbo essere o con altro verbo, che non basti di per sè solo a determinare l’azione; come stare, rimanere, restare, riuscire, parere, divenire, tornare ed altri di simile significato. La vita è breve, il libro pare o sembra bello, il ferro diventa lucido ecc. Io rimasi stupito. Il cielo era o pareva di fuoco. Alessandro divenne di gran valore ecc. – La gloria degli scrittori riesce più grata da lungi che da vicino. Leopardi. – Prunèo venne bello della persona. Boccaccio. – Mi vorranno forzare ed io starò dura. Manzoni. – Ravvediti oramai e torna uomo. Boccaccio.

Il predicato nominale può anche farsi col passivo e col riflessivo dei verbi chiamare, nominare, stimare, eleggere, creare, fare (nel senso di recare ad uno stato o di reputare ecc.); trovare, lasciare, rendere, ridurre, confessare, scoprire, vantarsi ed altri di, simile significato; p. es. Cicerone fu chiamato padre della patria. Cesare fu eletto console. Messer Corso fu giudicato rubello. Machiavelli. – Lombardo fui e fui chiamato Marco. Dante. (Vedi più oltre, § 15).

Anche altri verbi, intransitivi ai possono costruire con un predicato nominale, come nascere, vivere, morire, andare ecc. Tutti nascemmo e nasciamo uguali. Boccaccio. – Entro mallevadore della sua fedeltà. Manzoni. – Vivete e morite sicuro che io viverò e morrò moglie di messer Torello. Boccaccio. – Giunto in Arezzo cadde malato. G. Villani. – In poco d’ora cadde morta: Novelle antiche. – Quelle stesse armi .... onde va Turno altero. Caro. Talora questa costruzione si confonde con quella, di cui parlammo P. I, cap. II, § 8 e 9.

I verbi che servono al predicato nominale si usano talora, in altro senso, come predicati verbali. Così essere quando sta per esistere. Quando tu avrai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto? Boccaccio; o per trovarsi. – Fu in Perugia un giovane, il cui nome era Andreuccio. Boccaccio. Ma in questo senso si preferisce dire esserci o esservi: p. es. che Iddio non ci sia ecc. Ci fu in Perugia ecc. Ovvero quando vale accadere. Le cortesie, L’audaci imprese io canto Che furo a1 tempo ecc. Ariosto; od in altri sensi. Stare si usa per istar fermo, ma più in verso che in prosa. Qual masso che dal vertice .... Batte sul fondo e sta. Manzoni. Parere per apparire è oggi soltanto poetico. Nella faccia quale Par (apparisce) tremolando mattutina stella. Dante.

§ 8. Uso degli articoli col predicato nominale. Stabilimmo (P. I, cap. XIII, § 31) che il sostantivo del predicato nominale non riceve per regola gli articoli, poichè si usa, per lo più, in un senso affatto generale. La maraviglia Dell’ignoranza è figlia E madre del saper. Metastasio. – Li riceve però, quando esprime qualche cosa di particolare a noi noto, o determinato dai complementi che lo accompagnano. La chiamano la signora, per dire ch’è una gran signora. Manzoni. – Io sono un povero frate. Manzoni. – La gloria è giudicata dalla miglior parte degli uomini il maggior bene che sia concesso ai mortali. Leopardi.

Inoltre l’articolo indederminato si suole premettere al predicato quando esso denota un individuo di una specie o un caso singolare d’un’idea astratta (P. I, c. I, § 3); p. es. tu sei un cane, costui sembra un lupo, Siringa divenne una pianta. Credo che cosi sia com’ella dice, e Tindaro è una bestia. Boccaccio. – Il cammino fu una solennità (una cosa solenne). G. Gozzi. Si può anche premettere all’aggettivo per dargli senso individuale, p. es. tu sei un pazzo, un crudele, un folle, un forsennato, salvo il caso che fosse preceduto da un avverbio di quantità (poco, molto, più, troppo ecc.). Io non so s’io mi fui qui troppo folle. Dante.

Nel plurale, per altro, si omette sempre l’articolo partitivo de’, degli (vedi cap. cit., § cit. in fine).

§ 9. Concordanza del predicato con un solo soggetto. È regola generale che il predicato verbale debba concordarsi col proprio soggetto in numero e persona, ed il predicato nominale, se è un aggettivo o un sostantivo con doppia flessione, anche in genere. Così pure i participii passati uniti al verbo essere o venire per formare i tempi della voce passiva prendono sempre il genere ed il numero del soggetto; per es. Il sole risplende, i cattivi sono puniti, i fori sono belli, Saffo era poetessa (non poeta), la guerra è devastatrice; gli amici sono o vengono licenziati. Ma se però il predicato nominale contiene un sostantivo d’altra specie, questo non si accorda col soggetto, benchè vi si accordi sempre il verbo che lo accompagna; p. es. le virtù sono la consolazione degli uomini (non è la consolazione). Le eccezioni a questa regola generale sono le seguenti:

Se il soggetto è un nome collettivo singolare, seguito da un complemento partitivo di numero plurale, anche il predicato si fa plurale, e si accorda col genere del complemento. Innumerabile moltitudine d’infermi trassero a lui. Cavalca. – Una infinità di strumenti da dar martorio furono preparati. Firenzuola. – Una gran parte degli abitanti si rifugiavano su per i monti. Manzoni. – Il resto della gente si era sfilata, e il resto dei cavalli parte venduti, parte lasciati. Guicciardini.

Anche senza il complemento partitivo si trova sovente il predicato in plurale. Questa buona gente son risoluti d’andare a metter su casa altrove. Manzoni. – L’inno che quella gente allor cantaro Dante. Dicesi figura di sillessi o costruzione di pensiero.

Se al soggetto plurale seguono, come spesso si usa nel verso, i pronomi ciascuno, ognuno ecc. in singolare, resta singolare anche il predicato. Ivi le Grazie ciascheduna sorse. Strocchi.

In alcune frasi, dov’entra la parola cosa (ogni cosa, che cosa, cosa ecc.) l’aggettivo o il participio del predicato si fa maschile. Cos’è accaduto al mio padrone? Manzoni. – Fu loro detto ogni cosa. G. Fiorentino. – Tu vedi che ogni cosa è pieno. Boccaccio.

Possono prendere il predicato maschile anche alcuni nomi femminili riferiti a maschio. Quella bestia (Tofano) era pur disposto a voler che tutti gli Aretini sapessero la lor vergogna. Boccaccio.

Se il soggetto è un infinito, spesso piglia a suo predicato il nome cosa accompagnato da un aggettivo. Umana cosa è (umano sarebbe oscuro) aver compassione degli afflitti. Boccaccio. (Vedi P. I, c II, § 7).

Dopo Ella riferito ad uomo, cui si parli in terza persona, il predicato nominale può farsi maschile; p. es. Signore, ella è tanto buono ecc. (Parte I, cap. XV, § 8).

Co’ verbi impersonali o impersonalmente usati si adopera spesso un soggetto od un predicato nominale di numero plurale (P. I, cap. XXIV, § 6 e 9). Altre volte col pronome di prima persona plurale si congiunge un predicato impersonale (Ivi, § 10 e 11).

Nella moltiplicazione dei numerali si pone il predicato in singolare; p. es. due via due fa quattro; quattro via dieci fa quaranta. Quanto alle locuzioni è un’ora e mezzo, sono le quattro e mezzo ecc. vedi addietro, P. I, cap. V, § 11.

§ 10. Con più soggetti. Se i soggetti sono più d’uno, e di numero o di genere diferenti fra loro, varii sono i modi di accordarvi il predicato. Ecco le regole principali.

Numero. Il predicato verbale dipendente da più soggetti, tutti od alcuno di numero singolare, si pone in plurale. L’uso e la sperienza signoreggiano le arti. S. Concordio. – Consiglio e ragione conducono la vittoria. Davanzati. – Briga hanno insieme bellezza ed onestà. S. Concordio.

Eccezioni. Si usa o può usarsi il singolare nei seguenti casi:

se i soggetti sono non persone ma cose, e queste sinonime fra di loro o risguardate dallo scrittore come un tutto insieme. Il romore e il tumulto era grande: Machiavelli. – L’acqua in un tempo e ’l vento e la tempesta Negli occhi a’ Franchi impetuosa fere. Tasso. – Mentre tutti gl’infimi si credono illustri, l’oscurità e la nullità dell’esito diviene il fato comune e degli infimi e de’ sommi. Leopardi. – Il frutto e il bene della verace amistà non dimora nella corporale congiunzione. Boccaccio;

se i soggetti si risguardano separatamente l’uno dall’altro, come avviene specialmente quando sono uniti colla disgiuntiva o, e spesso anche colla copulativa negativa e, in generale, quando il predicato è anteposto al soggetto. Ove porge ombra un pino alto od un colle Talor m’arresto. Petrarca. – Qual fortuna o destino Anzi l’ultimo dì quaggiù ti mena. Dante. – Evvi nella misera Europa o regno, o provincia o principato o città, la qual non abbia in questo secolo udito sulle sue porte strepito di tamburi ecc.? Segneri. – Nè pioggia caduta, nè acqua gittata, nè altro umidore li spegneva. Davanzati. – Fra quelle (città) che rovinarono fu Aquileja, Luni, Chiusi, Populonia ecc. Machiavelli. – Anche l’uno e l’altro presi separatamente vogliono il singolare, per es. L’uno e l’altro ha fabbricato un palazzo; ma in senso collettivo rientrano nella regola generale. L’uno e l’altro di loro morirono. Machiavelli;

se ad un soggetto singolare è unito per mezzo della cong. con un altro soggetto. Quello andavano a fare che esso co’ suoi compagni avea già fatto. Boccaccio. – Pure è indifferente, in questo caso, adoprare il plurale. La donna colla sua compagnia si misero in via e andavano ratti quanto potevano (dove il genere si adatta al maschile per una costruzione di pensiero). Boccaccio.

§ 11. Persona. Se i soggetti sono di persone diverse, il predicato regolarmente si accorda colla prima a preferenza della seconda, e colla seconda a preferenza della terza. Lo duca ed io per quel cammino ascoso Entrammo. Dante. – Nè tu nè io non possiamo intender la cagione. Leopardi. – Tu dall’un lato e Stecchi dall’altro mi verrete sostenendo. Boccaccio. – Se per altro i soggetti fossero separati da od o, e la terza persona fosse messa in ultimo, il predicato può concordare con questa. Me degno a ciò nè io nè altri crede. Dante. – De’ guai (quali) nè io nè il Duca mio si accorse. Dante.

Quanto all’accordo del relativo, vedi il capitolo sulle proposizioni relative.

§ 12. Genere. Se i soggetti sono ambedue dello stesso genere, vi si concorda naturalmente anche il predicato: se poi sono differenti, bisogna distinguere:

o essi consistono in uomini, cose personificate od animali, e allora il predicato nominale si accorda sempre col maschile anzichè col femminile. Messer Amerigo che già credeva la figliuola e il nipote esser morti, fu il più dolente uom del mondo. Boccaccio. – Il conte e la contessa eran rimasti soli. Grossi;

o i soggetti sono cose inanimate od astratte, ed anche allora si dà per lo più la preferenza al maschile; p. es. il giglio e la rosa sono odorosi. Ma la penna e la mano e l’intelletto Rimaser vinti nel primiero assalto. Petrarca. Se per altro i due soggetti significassero cose affini tra loro o riguardate come tali, il predicato si può accordare col più vicino. Pochissimi erano coloro, a’ quali i pietosi pianti e l’amare lagrime de’ suoi congiunti fossero concedute. Boccaccio. – Così pure, se un soggetto fosse sensibilmente separato e distinto dagli altri. Quanti beni, anzi quante cose pajono carissime e preziosissime ai naviganti! Leopardi.

I pronomi dimostrativi determinati questo, quello, cotesto ecc. o facciano da soggetto o da predicato, prendono il genere e il numero stesso che ha il sostantivo espresso nella medesima proposizione. Sarà questa (non questo) la bella fine di tutte le nostre fatiche. G. Gozzi. – Questa è un’opera buona. Manzoni. – Che discorsi son questi? Manzoni.

Lo (il) predicato è invariabile tanto riferito al maschio, quanto alla femmina, tanto al sing., quanto al plurale (Vedi P. I, cap. VIII, § 26). Io fui pur sempre alle vili opre tarda, Presta al ben fare e d’onestate amica Ed or son più che mai, se ancora il fui. Alamanni.

Altro nel senso di altra cosa serve da predicato anche ad un soggetto femminile. Altro è cordialità, altro è buon cuore. Tommaseo.

Circa alle forme oggettive dei pronomi personali nel predicato, vedi P. I, cap. VI, § 8.

§ 13. Ellissi del predicato. Il verbo del predicato si omette non di rado nei seguenti casi:

quando è stato espresso la prima volta e si sottintende ripetuto, come avviene nelle proposizioni che si corrispondono, o nel dialogo interrogando e rispondendo. L’orecchia, altra è interiore, altra esteriore. Segneri. – Dici davvero? Davvero. Manzoni;

nelle proposizioni usate a maniera d’interjezione, per es. Bella notte, amico (sottint. è una ecc.). Leopardi. – Buon per te che sei stato disingannato in tempo! (cioè è buono, è bene per te). Manzoni. Così nei saluti: buon giorno! addio! nelle imprecazioni: alla malora, via, presto (sottint. va [sic Red.], andate ecc.);

nelle descrizioni di cose che accadono e si suocedono rapidamente, e in generale nel parlare sentenzioso ed energico. Quinci un romoreggiare, un riso, un giubilo (sottint. sorse), Che d’allegrezza empia le sale e gli atrii. Caro. E così spesso dopo avverbii di tempo o di luogo allora, qui, su, , giù ecc. e dopo l’interjezione ecco (vedi P. I, cap. XVI, § 20; cap. XX, § 24; cap. XXV, § 5).

Talora invece di ripetere il predicato verbale gli si sostituisce il verbo fare. Non altrimenti Tideo si rose Le tempie a Menalippo per disdegno Che quei faceva (si rodeva) il teschio e l’altre cose. Dante.

§ 14. Oggetto. Dicesi oggetto quella cosa o persona, nella quale passa l’azione del soggetto; e può essere o un sostantivo o un’altra parte del discorso sostantivata. (Quanto alla proposizione oggettiva vedi più oltre in questa P. II [cap. V § 7 Red.]). Ma perchè l’oggetto sia veramente tale, richiedesi che esso resti affatto fuori dell’azione, e stia in contrapposizione col soggetto stesso (come significa appunto la parola oggetto). P. es. se dico io lodo i buoni, colla voce i buoni esprimo un vero oggetto, perchè i buoni non entrano in alcun modo nell’azione di lodare, e restano come di contro a me, che fo tale azione. Quindi non possono avere un vero oggetto altro che i verbi transitivi (vedi P. I, cap. XXIII). Cangiandosi il verbo in passivo, l’oggetto diviene soggetto, p. es. i buoni sono lodati da me.

§ 15. Oggetto apparente. Spesso l’oggetto non è veramente tale, ma ne ha l’apparenza. Esso allora, anzichè ricevere l’azione dal soggetto, determina soltanto la maniera di quella, o denota il mezzo e l’occasione con cui si compie. Si distingue dal vero oggetto, perchè può risolversi con una frase avverbiale. P. es. vincere una battaglia vale quanto vincere in una battaglia; giuocare una partita vale giuocare durante una partita, in una partita, o simile; cavalcare una mula significa propriamente cavalcare sopra una mula o per mezzo di una mula ecc.; correre il palio denota correre per (ottenere) il palio ecc.; salire un monte importa salire sopra o per un monte; parlare una lingua è come dire parlare in una ecc. – Perchè non sali il dilettoso monte? Dante. – E per potere entrare ogni sentiero ecc. Ariosto. – Gente inimica a me malgrado mio Naviga il mar tirreno. Caro. – Per correr miglior acqua alza le vele. Dante. – E in costruzione passiva. L’acqua ch’io prendo giammai non si corse. Dante. – Fiumi che si navigano con grosse navi. Serdonati. (Cfr. P. I, cap. XXIII, § 20).

Quanto ai complementi di tempo e di luogo, usati a maniera di oggetto apparente, vedi il cap. III di questa Parte II.

Talora l’oggetto apparente ha il radicale uguale o simile a quello del verbo, nel qual caso l’oggetto si suole accompagnare con un attributo che lo determini. Il buon Gesù sudava sudore di sangue. Vite SS. Padri. – Mai non lacrimaro Occhi di donna lacrime si spesse. F. Uberti. – Questa vita che noi viviamo, di fatiche innumerabili è piena. Bembo. – Cavalcando un caval paesano tutto bianco. Firenzuola. – Osano anch’elle Gir (andar) le prime a morir morte onorata. Caro. – Sorrise il buon Tancredi un cotal riso Di sdegno. Tasso. Ma questi e simili modi convengono più a’ poeti che a’ prosatori.

Altri usi affatto poetici di falsi oggetti si potrebbero registrare, come tremare alcuno per tremare a causa di alcuno. – Rettor supremo, Cui trema i1 mondo. Chiabrera.

§ 16. Uso del predicato nominale coll’oggetto. Spesso l’oggetto si accompagna con un predicato nominale (ora sostantivo, ora aggettivo): e ciò avviene coi verbi, nominare; dichiarare, eleggere, chiamare, confermare, lasciare, mandare, accettare, chiamarsi, offrirsi, credere, giudicare, stimare, fare, conoscere, trovare, temere, vedere, rendere, avere, ridurre, menar (la vita), vantarsi, ed altri di simile significato. Non Cappello, ma Ciappelletto il chiamavano. Boccaccio. – I Goti ripresero animo e crearono loro re Ildovaldo. Machiavelli. – Ho care le rime del Petrarca. Leopardi. – Se qualche volta si mostrò severo, fu co’ pastori suoi subordinati. Manzoni. – Lo tengo (stimo) il primo capitano d’Italia. Grossi. Li teme superbi della loro virtù. Manzoni. – Color che tu fai (dichiari) cotanto mesti. Dante. – Io mi trovo il più felice e contento uomo che fosse mai nel mondo. Machiavelli. – Tu mi hai ridotta cosi misera. Foscolo.

Con alcuni di tali verbi, come prendere, adottare, eleggere, spacciare, lasciare o dare, proporre, offrirsi, accettare, tenere (stimare) e simili, si usa premettere al predicato la prep. per e più di rado a, in, da. Ti prega, O santo petto, che per tua la tegni (tenga). Dante. – Elessero S. Giovanni per abbate. Vite SS. Padri. – Conoscendo costui per uomo pessimo, maravigliavasi di sì subito mutamento. Vite SS. Padri. – Non verrà dunque mai che ci diamo per vinti? Segneri. – Elessero a re Numa Pompilio. G. Villani. – Si dice sempre prendere alcuna o alcuno in moglie o per moglie o marito, adottare uno per od a od in figlio ecc. Trattare si costruisce con da. Tu vedrai che io tratterò te da suocero e lei da mia donna. Gelli.

§ 17. Quindi coi verbi portare, avere, credere, trovare, scoprire e simili l’aggettivo o il participio che accompagna l’oggetto fa spesso l’ufficio di predicato nominale, p. es. porto la barba rasa, i capelli corti; ho le scarpe rotte ovvero rotte le scarpe; veggo, trovo lacerati questi fogli; scoperse l’amico infedele, o infedele l’amico; nè si debbono tali aggettivi confondere coi veri attributi (vedi cap. seg.), nè tali participii accompagnati con avere, scambiarsi con quelli de’ tempi composti (vedi P. I, cap. XVI, § 21). Un vecchio al duca occorre Che il manto ha rosso e bianca la gonnella .... I crini ha bianchi, e bianca la mascella Di folta barba. Ariosto. – Portavano descritto negli occhi lo spavento dell’animo loro. Machiavelli.

§ 18. Concordanza del predicato coll’oggetto. Il participio passato (nei tempi composti) deve regolarmente restare invariabile e non accordarsi in numero e genere coll’oggetto plurale o femminile, quando questo gli sia posposto: deve invece axordarsi in numero e genere coll’oggetto medesimo, quando questo gli sia anteposto. Tale è la regola, se non più seguita, certo la più razionale e più conforme all’esempio d’altre lingue affini.

Coll’ausiliare essere (costruzione riflessiva): Si sono tirati addosso la briga di questa o difesa o scusa. V. Borghini. – Arnolfo s’era acquistato tanta fede che ecc. Vasari. – In una generale e larga istoria che si erano proposta ecc. V. Borghini. – La nostra bella Fiorenza che se lo era come caro figliuolo adottato. A. M. Salvini. – Non era punto inverisimile che la faccenda avesse a ire troppo diversa da quello che io me la ero figurata. Magalotti.

Coll’ausiliare avere: Io ho ricevuto la lettera di V. E. Casa. – Il re Giovanni di Francia avea renduto pace al Re di Navarra. G. Villani. – La terra insino a oggi ha tenuto la prima sede del mondo. Leopardi. – Era una delle molte cose che aveva studiate. Manzoni. – Dirò dell’altre cose ch’io v’ho scorte. Dante. – Di tante cose quante io ho vedute ecc. Dante. – Io non ho queste cose sapute da’ vicini: ella medesima me l’ha dette. Boccaccio. – Tali sono là i Prelati, quali tu li hai qui potuti vedere. Boccaccio. In costruzione riflessiva: Non si avendo con que’ pesci cavato a suo senno la fame ecc. Firenzuola.

§ 19. Si può per altro uscire da questa regola per ragioni di stile, cioè quando o la chiarezza o la forza e la naturalezza del discorso pajano richiederlo, p. es. A noi (Cristo) ha dati i suoi merili, per sè ha tolte le nostre pene. A noi ha data la sua immortalità, per sè ha tolta la nostra morte. A noi ha data la felicità del suo regno, per sè ha tolti i dolori del nostro esilio. Segneri. – Dovrannosi bensì tener come ferme le seguenti leggi:

di non accordare il participio, quando l’oggetto forma col verbo tutta una frase (por mente, riprender lena, dar fede ecc., vedi P. I, cap. XIII, § 33) o quando il participio stesso regge un infinito (vedi però il capoverso seg.); Quella bella guerra, di cui abbiam fatto menzione di sopra. Manzoni. – Avevamo avuto parte in quelli intrighi. – Rimasero contenti d’aver saputo schernire l’avarizia di Calandrino. Boccaccio. – E neanche quando in luogo del verbo richiesto dal senso vi abbia il participio fatto. Per torre i panni come fatto aveva i denari veniva. Boccaccio. – Li quali (cavrioli) così lei poppavano, come la madre avrebber fatto. Boccaccio. E neppure si suole accordare, quando l’oggetto posposto sia notevolmente separato dal participio;

di accordare il participio coll’oggetto, quando questo sia richiamato dalle particelle pronominali lo, la, li, le o dall’avverbiale ne (vedi gli esempi qui sopra § 18 verso la fine) e ciò anche nel caso che il participio reggesse un infinito (vedi § 18 nell’ultimo esempio del Boccaccio);

di accordar sempre quando il participio sia predicato nominale. Poscia ch’io ebbi rotta la persona ecc. Dante. (Vedi qui sopra § 17).

Il participio costruito assolutamente (cioè senza l’ausiliare avere od essere) deve accordarsi coll’oggetto. Vedi Parte I, cap. XXI, § 12. Per le eccezioni, vedi cap. XXII, § 5.

§ 20. Duplicazione dell’oggetto. Sovente, massime nel parlare familiare e quando la chiarezza o la forza lo richiedono, l’oggetto ora si anticipa, ora si ripete nella medesima proposizione, mediante le forme congiuntive dei pronomi dimostrativi e personali (lo, la ecc. mi, ti ecc.). Si proponevano di non lasciarla posare quell’acqua. Manzoni. – Io l’avrei bene il mio povero parere da darle. Manzoni. – La legge non l’ho fatta io. Manzoni. – Questa fatica io me la serbava quasi di nascosto. Giusti. Vedi P. I, cap. VI, § 14, e la P. III, dove si parla delle inversioni [cap. II § 7 Red.].

§ 21. Ellissi dell’oggetto. Con molti verbi l’oggetto resta o può restare sottinteso, sia perchè il contesto basti a farlo intendere, sia per un senso speciale e proprio che al verbo si attribuisca. Un corriere è salito in arcione .... Sferza, sprona (sottint. il cavallo), divora la via. Manzoni. – Il mulo trasse (la gamba), e diegli un calcio nel capo tale, che l’uccise. Nov. antiche. – In un dì vendemmiarono (sottint. le uve) e misero in Pavia dieci mila veggie (botti) di vino. M. Villani. – Svina e imbotta (sottint. il vino) un po’ giovane, acciocchè nella botte alquanto grilli. Davanzati. – Ogni buon cittadino che avesse (sottint. ricchezze, denari), sarebbe stato cacciato di casa sua. Monaldi. – Fece apparecchiare (sottint. una mensa, dei cibi) a un suo luogo. Nov. antiche. – Oh maledetto chi m’insegnò amare! (sottint. donna) Buonarroti il G. – Chi di qua, chi di là gli andava a dare (sottint. colpi, percosse). Berni. – Qualcheduno .... agguanta le ciotole (dei denari), piglia a manate, intasca, ed esce carico di quattrini. Manzoni. – Conoscendo la gente ch’egli era quello che star soleva ad accattare (sott. denari) alla porta. Cavalca. – Dissi che andasse a vedere chi era quel pazzo che a quell’ora si bestialmente picchiava (poco prima: sentii batter la porta della casa mia). Cellini. – Facevo attaccare (sottint. i cavalli) a precipizio per venire all’Ambrogiana. Magalotti. – Non abbiate paura: aprite (sottint. L’uscio). Cellini. – Calandrino si diede in sul bere (sottint. vino). Boccaccio. – Tutti erano ricchi de’ loro mestieri guadagnando (sottint. denari) ingordamente. M. Villani. (Vedi P. I, cap. XIV, § 6).


Torna su ^