Martedì 2 gennaio 2001    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO VI

Uso del pronome in generale.
Pronomi personali puri.

(Gramm., P. II, cap. X e XI)

§ 1. Pronomi sostantivi ed aggettivi. Dei pronomi alcuni sono sempre sostantivi, come tutti esclusivamente personali; p. es. io, tu, egli, colui, altri, chi ecc. e certi altri comuni alle cose ed alle persone, come, ognuno, qualcuno ecc. I più sono aggettivi, ma si adoprano spesso come sostantivi, riferendoli cioè ad un sostantivo espresso o sottinteso, tali sono quasi tutti quelli che possono significare cosa, p. es. questo, quello, alcuno, quale ecc. ecc.

I pronomi aggettivi, quando fanno da sostantivi, servono a indicare una cosa o persona poco avanti nominata o da dirsi subito dopo, tenendo le veci del nome, com’è proprio del pronome; p. es. ho veduto un libro, ma quello non era il mio: ti dirò questo, che ecc.,

§ 2. Pronomi usati assolutamente. Molti di essi, usati assolutamente nella loro forma maschile, pigliano senso personale; come uno, alcuno, nessuno, veruno che equivalgono ad un uomo, alcun uomo ecc. presa la voce uomo in senso generale di persona umana. Nel plurale ciò avviene anche pei pronomi quantitativi puri: pochi, parecchi, molti, tutti, che lasciano sottintendere la voce uomini: molti vogliono parere, ma pochi sono virtuosi ecc.

§ 3. Pronomi in senso neutro. I pronomi aggettivi si usano anche in senso astratto o neutro, riferiti a un oggetto indeterminato, che può rendersi col nome cosa sing. o plurale; p. es. questo, quello, per questa cosa, quella cosa, ovvero queste cose, quelle cose ecc. il mio, il tuo, cioè, le cose mie, le cose tue ecc.

Talora la forma femminile del pronome, lasciando sottintendere il nome cosa o altro più speciale, assume il medesimo senso neutro; p. es. questa è bella! quella è curiosa! L’è giusta ecc. Le dice grosse.

Discorrendo dei varii pronomi in particolare spiegheremo meglio queste proprietà che qui accenniamo solamente, e ne daremo esempii. Cominciamo dai Pronomi personali puri.

§ 4. Pronomi personali puri. Varie forme. I pronomi personali puri (vedi Gramm., P. II, cap. XI, § 4) hanno nel singolare, e talora anco nel plurale, una forma che fa da soggetto (soggettiva) ed una forma che fa da oggetto (oggettiva).

§ 5. Uso della forma soggettiva. La forma soggettiva si adopera regolarmente in posizione di soggetto per significare la persona che fa l’azione e, in locuzione passiva, quella che la sostiene; p. es. io leggo: io amo te: tu mi credi: egli ha paura di loro: eglino sono lodati.

§ 6. Eccezioni. Nondimeno, fra i pronomi di terza persona, la forma oggettiva (lui, lei, loro) si sostituisce alla soggettiva (egli, ella, elleno), quando la persona operante debba avvertirsi di più e mettersi in rilievo maggiore. Ciò accade specialmente:

dove siano più persone a contrasto o in vicendevole corrispondenza; p. es. Se esso Adamo fu nobile, tutti siamo nobili, e se lui fu vile, tutti siamo vili. Dante. – Prese la corona del ferro lui e la donna sua. Compagni. – Claudio prese la fanciulla e menavala via: lei s’atteneva al padre abbracciando e gridando. Ser Giovanni Fiorentino;

dove si debba ben distinguere e separare una persona dalle altre; p. es. Quello che lui dice, a tutti è legge. Dante. – Iddio, come tu vedi, è bene signore lui, ed è ricchissimo. Fra Giordano;

in generale, quando il soggetto sia posposto al verbo; p. es. Lasciamo fare a quello lassù. Non volete che sappia trovar lui il bandolo d’ajutarci? Manzoni. – Spiccava tra questi ed era lui stesso spettacolo, un vecchio mal vissuto. Manzoni. – Il fidarsi che anche senza licenziar la femmina si sarebbe potuto lui preservare entro i termini dell’onesto, fu la cagione di questa variazione sì luttuosa. Segneri;

[quando si sottintende il verbo essere: P. es. Lui ricco, lui giovane, lui rispettato, lui corteggiato. Manzoni.] [Correzione nelle Giuntea p. 489 Red.]

dopo anche, neanche, nemmeno e simili forme avverbiali; p. es. Proferendo queste parole non sapeva nemmen lui se faceva una promessa o un complimento. Manzoni. – Messasi ancor lei a sedere. Bembo.

§ 7. Loro invece di eglino, elleno si usa regolarmente davanti al plurale signori, signore (quando si rivolge il discorso a più persone); e davanti ai numeri cardinali. P. es. Trascrivere qualcosa, perchè lor signori la correggano. Menzini. – Lor signori son uomini di mondo. Manzoni. – Avevano risoluto che loro due a parlar venissero in questo luogo. Dati.

Fuori di questi casi non è conforme all’uso de’ buoni scrittori l’adoprare le forme oggettive invece delle soggettive di terza persona; benchè il popolo toscano dica sempre lui e lei, loro, eccettuato il caso dopo l’interrogazione (p. es. che fa ella? che ci stann’eglino a fare?) e delle proclitiche gli ed e’, quando il pronome non è necessario (vedi più oltre in questo capitolo, § 12). Ed il Manzoni ne’ suoi Promessi Sposi ha seguito quasi sempre il costume popolare.

§ 8. Uso della forma oggettiva. La forma oggettiva si adopera sempre in posizione di oggetto e dopo preposizioni: p. es. amo lui, odio te ecc. parla di me; dico a lui ecc. ecc.:

si usa pure dopo gli avverbii relativi come, siccome, quanto, altro che, dove, salvochè, e dopo la interjezione ecco. P. es. Io non sono un tristo come lui. Firenzuola. – Costoro che d’altra parte erano siccome lui maliziosi. Boccaccio. – Quando era giovane come loro. Gelli. – Ma non fu quanto lui dolce di sale. Lippi. – Non aveva mai bene se non quand’era dove lei. Firenzuola. – Oh se tu fossi stato dove me, te beato! Fagiuoli. – Credo che il sappia ognuno, salvo che lui. Pulci. – Ecco lei qui al tuo Comandamento. Boccaccio. – Per eccezione si sostituiscono le forme soggettive, quando vuolsi che si sottintenda chiaramente il verbo ripetuto; p. es. Se tu vedessi, Com’io, la carità che tra noi arde. Dante. Cioè: com’io veggo;

nelle esclamazioni, con un aggettivo; p. es. Felice te che sì parli a tua posta. Dante. – Chi s’innamora, oh poveretto lui. Casa. – Te beato! Fagiuoli;

come predicato nominale dopo essere, parere, esser creduto ecc.; p. es. Credendo esso ch’io fossi te, m’ha con un bastone tutto rotto. Boccaccio. – Altro non vede, e ciò che non è lei Già per antiqua usanza odia e disprezza. Petrarca. – Io son qui con uno che per avere il mio nome vuole esser me in ogni cosa, o più tosto ch’io sia lui. Caro. – Costui qui è un altro me. Salviati. – È regola costui della natura Anzi è lei stessa. Berni.

§ 9. Forme oggettive assolute e congiuntive. Fra le forme oggettive si devono pur distinguere (vedi Gramm., pag. 120, § 6) quelle accentate, che chiameremo assolute: me, te, se, lui, lei, noi, voi, loro, da quelle enclitiche che chiameremo congiuntive: mi, ti, si, gli, le, ci, vi, li, le, e ne, ci, vi, avverbiali usate in senso pronominale (vedi Gramm., P. II, cap. XXVIII, § 7). Le assolute si adoprano, quando l’attenzione di chi ascolta o legge deve posarsi principalmente sul pronome, ossia sulla persona da questo rappresentata: le congiuntive si adoprano, quando l’attenzione più che sulla persona deve posarsi sul verbo, ossia, sull’azione, a cui la persona stessa è soggetta; e diconsi appunto congiuntive, perchè il loro concetto resta come congiunto al verbo, e quasi da esso assorbito.

§ 10. Le assolute si adoprano nei seguenti casi:

quando reggono un sostantivo, o un aggettivo od altre parole che le dichiarano:

quando sono termine di una comparazione;

quando formano un predicato nominale (Prelim., § 5);

quando sono rette da preposizioni od altre particelle;

quando il verbo che ne dipende è sottinteso;

quando la persona sta in opposizione o in corrispondenza con altra persona, espressa o sottintesa: e in generale quando, indicando una persona, vogliamo in certa guisa escluderne qualunque altra.

Nel rimanente de’ casi si adoperano le forme congiuntive.

Esempii misti: Credete a me che sono pratico di queste cose. Manzoni. – Ed egli a me (sottint. disse): le cose ti fien (saranno) conte. Dante. – Come Iddio padre ama me, così amo io voi. Cavalca. – Lui ho preso e lui voglio. Boccaccio. – Però al mio parer non gli fu onore Ferir me di saetta in quello stato Ed a voi armata non mostrar pur l’arco. Petrarca. – Disse fra sè medesimo: me non ucciderai tu. Passavanti. – Io ebbi gran fame, e voi mi deste mangiare. Morali San Gregorio. – Io vi vidi levarvi e porvi costì dove voi siete, a sedere. Boccaccio. – Credendo ch’io fossi te. Boccaccio. – Era un dolore di più, e non il meno pungente, quel pensiero, che in grazia appunto .... di tanto bene che voleva a lui (a Renzo), la povera donna si trovava ora snidata, quasi raminga, incerta dell’avvenire. Manzoni.

Il popolo toscano nel parlar familiare usa non di rado gli per le (a lei), e quasi sempre gli per a loro, modi condannati dai grammatici e rari nei buoni scrittori, specialmente degli ultimi tre secoli. Quanto al primo gli, stimiamo che se ne debba vietar l’uso assolutamente, sì perchè le persone civili adoprano, parlando, anche le, e perchè, oltre a togliere ogni equivoco, le è breve e spedito quanto gli, ed è vera forma congiuntiva nè più nè meno. Il secondo gli ha a proprio favore una ragione assai buona; cioè che loro (nel senso di a loro) con cui i libri lo sostituiscono, non è congiuntiva, ma, per quanto si accorci in lor premesso al verbo, resta sempre una forma assoluta e pesante, ed in certi casi insopportabile, come quando si trova vicino ad un altro loro. P. es. in questo luogo del Crescenzio: E allorai gli s’accosti (a’ vitelli) il bifolco con dolci lusinghe, e porgendo loro dilettevoli cose ecc. gli brancichi dolcemente le nari (le narici) la ripetizione di loro tre volte sonerebbe male. Peggio starebbe loro unito ad un altro pronome (come lo, la, le); p. es. accostatomi ai fanciulli, presi delle frutta e le diedi loro. In quest’ultimo caso sarà da preferirei anche pel plurale e in qualunque genere la forma composta glielo, gliela, gliele, gliene (vedi Gramm., II, XIII, 6). Negli altri casi gli per a loro si userà come eccezione, solo quando lo stil familiare del discorso o il buon suono o la naturalezza del costrutto pajano richiederlo, e soprattutto quando non ne segua equivoco.

Nel verso, tanto in rima, che fuor di rima, si usano spesso le forme assolute, ove, secondo il senso, dovrebbero stare le congiuntive. Io dissi lui (per gli dissi): quanto posso ven preco (ve ne prego). Dante. – E con la faccia in giù stesa sul letto Bagnandolo di pianto dicea lui (per gli dicea). Ariosto. – A lei concedi La non caduca gioventù de’ Numi. Monti.

§ 11. Forme soggettive ora espresse, or sottintese. Le forme soggettive dei pronomi personali si omettono per lo più davanti al verbo, ove però la chiarezza o la forza del discorso non le richiedano. Si adoperano quindi necessariamente:

quando si vuol richiamare l’attenzione d’una persona, a cui rivolgiamo il discorso in forma non imperativa;

quando il soggetto deve distinguersi da altre persone o contrapporsi loro in qualche modo;

quando la persona di un tempo del verbo è uguale ad un’altra, onde potrebbe venirne equivoco; come può accadere nell’imperf. indicativo e nel presente del soggiuntivo;

avanti ad un verbo tolto per ellissi.

Esempii misti: Ah! Renzo, Renzo! tu mi guasti il benefizio. Con che cosa mi vieni fuori? m’hai fatto andar via il buon umore? Manzoni. – Fa bisogno di queste cose? tu mi conosci. Manzoni. – Chiacchiere! la finirò io: io la finirò, interruppe Renzo. Manzoni. – Voi credete Forse che siamo sperti d’esto (questo) loco; Ma noi sem (siamo) peregrin come voi sete. Dante. – Io ricco, io sano, io bella donna, assai figliuoli, grande famiglia. Passavanti. – Voi mentite ch’io sia vile. Manzoni. – Vi tornò .... il seguente dì con altrettanto pane arrostito e con altrettanta vernaccia, e così il tenne più giorni (l’abate); tantochè egli (Ghino) s’accorse l’abate aver mangiato fave secche, le quali egli studiosamente e di nascosto portate v’aveva e lasciate. Boccaccio. – Se tu vuoi farmi un piccolo servizio, io te ne voglio fare uno grande. Manzoni.

§ 12. Uso delle proclitiche. Negli altri casi o si tace il pronome, o si mettono, com’è solito specialmente nel parlar vivo di Firenze, le proclitiche gli, e’, la, le: p. es. Noi come servi ingrati la benignità di Dio usiamo male, e prendiamo sicurtà di offenderlo, perchè gli è buono. Passavanti. – Non accorgendosi che gli era uccellato. Boccaccio. – Diremo noi che (il vino), perciocch’e’ nuoce a’ febbricitanti, ch’e’ sia malvagio? Boccaccio. – Menati i gentiluomini nel giardino, cortesemente li domandò chi e’ fossero. Boccaccio. – La non vuole esser più mia, La non vuol la traditora, L’è disposta alfin ch’io mora Per amore e gelosia. Poliziano. – Oltre di questo le son tutte musiche. Caro. – In tanto procedè coll’odiarlo (il marito), che la deliberò di torgli lo stato e la vita. Machiavelli. – S’ella non sperava più ben nessun dal suo figliuolo, almeno la non temeva cosa sì inumana e sì orrenda. Lorenzino de’ Medici.

È errore da schifarsi l’uso di lo come soggetto; p. es. lo si vede arrivare; quando lo si loda, arrossisce; mentre potrebbe direi quando la si loda, perchè la forma la è vera proclitica.

§ 13. Egli ed e’ in senso neutro. Egli, e così pure le forme proclitiche gli ed e’, si costruiscono anche molto spesso col verbo, riferiti ad un concetto astratto, ad una proposizione o sentenza. P. es. Egli era in questo castello una donna vedova. Boccaccio. – E s’egli è ver che tua potenza sia Nel ciel si grande ecc. Petrarca. – O figliuola mia, che caldo fa egli? Anzi non fa egli caldo veruno. Boccaccio. – S’io potessi parlare al re, e’ mi da il cuore ch’io gli darei un consiglio ecc. Boccaccio. – E’ non sono ancora quindici dìi che un lor fratello fu ucciso. Boccaccio. – Gli è teco cortesia l’esser villano. Ariosto. – Gli è cosa molto difficile voler .... riconoscere gli uomini morti già dugento anni fa. V. Borghini. – Gli è perchè le ho viste io quelle faccie. Manzoni.

Così pure si costruisce la riferito a cosa o ad altro nome astratto sottinteso; p. es. la non può andare a questo modo, la non è giusta ecc. ecc. (Vedi più oltre, nei Pronomi Dimostrativi).

§ 14. Pronomi personali senza necessità. I pronomi personali si usano molte volte senza necessità, per giovare alla forza od all’affetto, e talora per la stessa ragione si ripetono, specialmente dopo un’interrogazione; p. es. Io me ne posso poco lodare io. Boccaccio. – Vatti con Dio: credi tu saper più di me tu? Boccaccio. – Ah sì sì, voi avete ragion voi. Firenzuola. – Egli dice appunto ch’io ho fatto ciò ch’io credo ch’egli abbia fatto egli. Boccaccio. – Io v’entrerò dentro io. Boccaccio. – Spesso anche si rafforza la forma assoluta colla forma congiuntiva; p. es. a me mi pare che ecc. A lui non gli lascio nulla ecc. –A me non mi par di vedere quello che voi dite. Gozzi. – Ti sei rovinato te e volevi anche rovinar me. Manzoni. – Mangerò per accontentarvi voi. Grossi. – Ma di ciò parleremo più distesamente in altra occasione.

§ 15. Pronomi personali rafforzati. Per rafforzare il pronome personale vi si aggiunge, quando faccia bisogno, il pronome d’identità stesso o medesimo. Egli medesimo il condannò nella testa. Boccaccio. –Non sapendo ella stessa che cagione a ciò la movesse. Boccaccio.

Per separare una classe di persone da un’altra si aggiunge a noi e voi il pronome altri, altre; p. es. La quale (pietra) noi altri lapidarii appelliamo Elitropia. Boccaccio. – E voi altri, miei figli, al popol tosco Lieti volgete le trionfanti ali. Poliziano. – Per la pratica che abbiamo noi altri nell’uso del favellare. Salviati.

§ 16. Usi notabili de’ pronomi personali. Io per me nel senso di io, ma con maggior forza. Io per me non intendo di portarla. Vite SS. Padri.

Da me o da per me; da te o da per te; da sè o da per sè; da loro o da per loro; da me, te, noi medesimi o sim. nel senso di colle proprie forze, senza ajuto d’altri. Tu ci anderai da per te, perch’io non voglio venirci. Tavola Ritonda. – Da me non venni. Dante. – Da noi medesimi faremo ogni cosa meglio. Caro.

Da me a me (o anche da me, da me; da sè, da sè); da te a te, da sè a sè nel senso di con sè medesimo, nel proprio interno; p. es. Ho pensato talor da me a me che sia bene non fidarsi mai di persona del mondo. Castiglione.

Da te a me, da lui a me e sim. cioè a quattr’occhi, senza che altri ci ascolti. P. es. Ti vo’ dir prima due parole da te a me. Varchi. – Ma se avvien caso che il rivegga mai Gli vo’ da lui a me dir traditore. Ser Giovanni Fiorentino.

Nelle forme da me solo, da te solo, da noi soli ecc. è errore omettere il pronome e dire, come alcuni fanno, da solo, da soli.

Dare del tu, del voi, del lei, per indicare il modo di volgere il discorso ad una persona. Non mi curo che mi diate del tu, quando mi fate del voi. Caro.

Stare o sim. a tu per tu con alcuno nel senso di non ceder punto alle parole di alcuno; p. es. Stava con lui sempre a tu per tu. Buonarroti. – Non è ragionevole ch’io mi ponga a contenderla seco a tu per tu. Varchi.

Il me, il mio me, a maniera di nome, invece di la mia persona, il mio interno. Indarno in me l’antico me cercai. Filicaja. – Ho deliberato nel mio me di non mangiare senza costo. Papin. Burchiello. È frequente il dire un altro me, p. es. Costui è un altro me, cioè simile in tutto a me.

Quell’io con più forza che io. Quell’io che già tra selve e tra pastori Di Titiro sonai l’umil sampogna. Caro. – Quell’io che sì difficilmente piange proruppi in lagrime. Alfieri.

Invece di me, te, lui ecc. si adopera talora in un senso più complessivo la circonlocuzione il fatto mio, tuo, suo, o i fatti miei, tuoi, suoi ecc. Noi abbiamo de’ fatti suoi pessimo partito alle mani. Boccaccio. – Come se egli (Dio) avesse bisogno de’ fatti nostri. Segneri. – La qual lettera dovette in guisa appiccarsi con quella voce, che anche poi, dove bisogno non era del fatto suo, se le rimase addosso. Salviati. – Male starebbe il fatto nostro (cioè, male staremmo noi). Cavalca.

Con meco, con teco, con seco sono forme da usarsi di rado in prosa. Pianger sentii fra il sonno i miei figliuoli Ch’eran con meco. Dante. – Spero d’avere ancora assai buon tempo con teco. Boccaccio. – E con seco menò la sua donna. Boccaccio. Forme erronee: seco lui, seco lei, seco loro.

Quanto a noi usato per io, ed a voi ed ella invece di tu, vedi, più oltre, il capitolo dove si tratta delle persone del verbo.

§ 17. Pronomi personali riferiti a cosa. I pronomi personali nella forma assoluta non si debbono regolarmente riferire ad altro che a persona od a cosa personificata. Pure usano spesso gli scrittori antichi, e qualche rara volta sarà lecito anch’oggi, riferire quelli ai terza persona anche a cosa, specialmente se di senso astratto, invece dei dimostrativi questo, quello eco. Esempii: Una volontà infinitamente perfetta odia la colpa, e non odia altro che lei. Segneri. – Tralascio alcune altre minuzie che non mi piacciono; ma se elle non piacciono a me, il quale pel continuo lavoro nell’opera del Vocabolario ho il capo pieno zeppo di arcaismi, che farann’elleno in coloro che non vi hanno assuefatte le orecchie? Redi.

Nella forma congiuntiva i pronomi di terza persona si usano continuamente invece dei dimostrativi questo, quello, ciò ecc. come vedremo nel capitolo che tratta appunto di questi pronomi.

§ 18. Pronome riflessivo. Il pronome riflessivo tanto nella forma assoluta come nella congiuntiva (si) si riferisce sempre alla terza persona, singolare o plurale, e significa persona e cosa ugualmente; p. es. Egli loda sè o si loda; Eglino battono sè o si battono. Questa bevanda ha in sè una gran virtù; le bugie non si dicono; si spegne il lume. Nella forma assoluta viene sovente rafforzato dal pronome d’identità stesso. (Vedi il capitolo, dove si tratta di questo pronome.) Nelle altre persone il riflessivo si fa colle oggettive me, te, noi, voi, mi, ti, ci, vi. (Vedi Gramm., P. II, cap. XXV, § 6 e seg.)

§ 19. Lui, lei, loro invece di . Quando il riflessivo (se, si) dovrebbe riferirsi ad un soggetto diverso da quello che regge la proposizione, in cui si trova, viene sostituito regolarmente dai pronomi lui, lei, loro, lo, la ecc. E notisi che il soggetto diverso può esser contenuto anche dentro un participio passivo o dentro un infinito usati come complemento della proposizione; può insomma una proposizione star racchiusa dentro un complemento verbale (vedi Preliminari, § 16 in fine). P. es. Ella mandò per Lionetto che si venisse a star con lei. Boccaccio. – Vide da lontano un busto grandissimo che da principio immaginò dover essere (cioè, che dovesse essere: il soggetto è busto) di pietra e a somiglianza degli Ermi colossali veduti da lui molti anni prima. Ma fattosi più da vicino trovò che era una forma smisurata di donna .... la quale guardavalo fissamente. Leopardi. – Quando però il soggetto sia di prima o seconda persona, onde non nasca veruno equivoco, può giovare alla naturalezza l’uso del riflessivo seco anche in questo caso; p. es. Almeno trovass’io quel ribaldo del mio servitore per potermi sfogare seco e pensar rimedio a questo male. Firenzuola. – Dunque la Rosa non vi parlò, e non v’abboccaste seco altrimenti? Salviati.

§ 20. Loro riferito ad un plurale si può adoperare comunemente invece di . – E di grossi drappi vestiano loro e le loro donne. Villani. – Parenti ed altri vi son soli, che piangon loro stessi. Luca Pelli. – Ciò si usa regolarmente in senso reciproco dopo fra, in mezzo e sim.; p. es. ragionavano fra loro; e non fra sè per distinguere più nettamente il plurale dal singolare. – Cominciarono fra loro ad aver consiglio e a dire. Boccaccio. – Si abbracciano fra loro. Serdonati. Da loro e da per loro si può riferire anche a cosa. – Ecco subitamente con grande stridore le dette porte s’apersero da loro medesime. Fiorita d’Italia.


Torna su ^