Martedì 9 gennaio 2001    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

PARTE PRIMA

USO DELLE PARTI DEL DISCORSO


CAPITOLO I

Il nome sostantivo.

(Gramm., P. II, cap. III)

§ 1. Uso del plurale nei sostantivi. Tutti quanti i sostantivi possono distinguersi in due classi principali: gli uni designano individui, come uomo, albero, casa ecc. de’ quali èvvi nel mondo vera moltiplicità: gli altri designano una massa, un tutto insieme, come acqua, vino, oro, e simili nomi indicanti materia; a’ quali si riferiscono pure i nomi astratti, come onore, amore, ira, prezzo ecc. I sostantivi della prima classe (che potrebbero dirsi numerici) hanno di lor natura il plurale, senza cambiamento di significato; onde da uomo si fa uomini, da albero, alberi, da casa, case ecc. poichè degli uomini, delle case,, degli alberi ve ne ha realmente molti l’uno dall’altro distinti.

§ 2. Sostantivi di materia. I sostantivi della seconda classe possono anch’essi, per la maggior parte, avere il plurale; ma in un senso più o meno diverso dal singolare. Quelli indicanti materia usati in plurale esprimono una collezione di parti omogenee, p. es. le nevi, le pioggie, le arene, le farine, le carni; ovvero denotano varie specie della medesima materia, p. es. i vini, i latti, i burri, le lane, i metalli ecc.; ovvero oggetti fabbricati di una materia, come gli ori, gli argenti, per indicare utensili d’oro o d’argento, le lane, per le vesti di lana ecc. Chiare, fresche e dolci acque, Ove le belle membra Pose colei ecc. Petrarca. – Alquanto colle carni più vive e colle barbe più nere li vedete. Boccaccio. – E facciam tanti burri e tanti latti, Che tutti ne van matti. Canti carnascialeschi. – Rimproverandogli non so che argenti che gli aveva donati. Caro.

§ 3. Sostantivi astratti. I plurali dei sostantivi astratti esprimono o una reale pluralità dell’idea riferita a più persone, come le morti degli imperatori, le nascite, le origini delle cose (vedi appresso, § 7) ecc. ovvero maniere, manifestazioni, atti dell’idea medesima, come gli odii, le vendette, gli amori, i timori, le invidie ecc. È lecito a ciascuno di vendicare le sue private ingiurie con ferite e con morti. Machiavelli. – O invidia nemica di virtute, Ch’ai bei principii volentier contrasti. Petrarca. – Dipinto tutto forse di mille varietà di fiori. Boccaccio. – Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, Le cortesie, l’audaci imprese io canto. Ariosto. – Le inimicizie mortali, le insidie e gli odii saranno di presente in campo. Boccaccio. – Passasti dagli amori impuri ad odii maligni. Segneri. – Potrei distendermi lungamente sopra le emulazioni, le invidie, .... le parzialità, le pratiche e i maneggi occulti e palesi contro la tua riputazione. Leopardi.

Così dicesi le virtù, le verità, le bellezze, le dolcezze, le beatitudini ecc. Non tutti però i sostantivi astratti si possono usare in plurale; e certo sarebbe difficile usar bene le onestà, le mansuetudini, le pigrizie, le frette, le sanità, le saluti, le fortezze (in senso astratto), e tante altre forme somiglianti.

§ 4. Plurale pel singolare. Di parecchi sostantivi usasi talora il plurale nel medesimo o quasi nel medesimo significato del singolare; il che accade specialmente nello stile scelto e nel verso: così dicesi le vesti, per la veste, le chiome per la chioma, i cieli pel cielo, i veli per il velo; i costumi, gli effetti, le forze, le genti, le grazie, le misure, le mosse, i natali, i panni, le rime, le rovine, i sali (in senso di facezie), gli scenarii, le vacanze, ed altri; forse per la ragione che tali cose sono o si riguardano come molteplici. Si dice prender le parti di alcuno, e far le viste più spesso che prender la parte o far vista; passare agli eterni riposi anzichè al riposo eterno. E con le braccia e con le vesti segno Fa tuttavia perchè ritorni il legno. Ariosto. – O padre nostro che ne’ cieli stai. Dante.

§ 5. Singolare pel plurale. Di altri sostantivi si può usare il singolare nel medesimo senso del plurale, specialmente ove si parli di membra o parti del corpo; p. es. l’occhio, il braccio, la gamba, la spalla, l’orecchio, il crine, il piede, per gli occhi, le braccia, i piedi ecc. e così pure il passo per i passi; la vela per le vele. Dicesi aver gamba lesta piuttosto che gambe leste ecc. In verso si usa anche l’ala per le ali, l’onda per le onde, il flutto per i flutti ecc. Cautamente ciascuno ai colpi muove La destra, ai guardi l’occhio, ai passi il piede. Tasso. – A quella foce ha egli or dritta l’ala. Dante. – Lungi da lui tratto al sicuro s’era L’altro che avea la spalla più leggiera. Ariosto. – Mano in singolare indica spesso la mano destra. Ma distendi oramai in qua la mano. – Dante. Porgimi la mano tua, bel maestro. Passavanti.

§ 6. Alcuni sostantivi, benchè appartengano alla classe dei numerici (vedi sopra § 1), prendono nel singolare senso collettivo, e valgono quanto se fossero usati nel plurale: tali sono pesce e foglia, quando significa le foglie de’ gelsi. Fece un bel vivajo .... e quello di molto pesce riempiè. Boccaccio. – Tutto dì noi veggiamo che sulle piazze intorno all’orzo si litiga, intorno al fieno, intorno alla foglia. Segneri.

§ 7. Si usa regolarmente il plurale per indicare uno stesso genere di cose tenute o usate da più soggetti. Tratte le spade (non la spada) fuori, gridaron tutti: ahi traditori, voi siete morti. Boccaccio. – L’un l’altro addosso coi baston (non col baston) si ficca. Berni. – Era con sì fatto spavento questa tribolazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava. Boccaccio. – La novella punse i cuori delle donne ascoltanti. Boccaccio. – Eccettua il caso che più cose o persone avessero a comune una sola e medesima cosa, poichè allora è chiaro che si richiederebbe il singolare. Si usa pur il singolare quando il sostantivo sta in una frase avverbiale o verbale, od è in senso metaforico o per altra ragione non deve mettersi im rilievo: p. es. avere in bocca per menzionare ad ogni momento; mostraore in viso o in faccia, tenere in mano ecc. – Colle gravezze cavavano il cuore (non i cuori) ai popoli. Segni. – Vennero a quella festa tre gentiluomini della nostra città, giovani e d’alto cuore. Bembo. – Camminavano con passo prestissimo contro le artiglierie. Guicciardini. – (L’amor di patria) Empie a mille la bocca, a dieci il petto. Monti.

§ 8. Sostantivi con due plurali. Quanto ai sostantivi che possono avere due plurali, in i ed in a, già accennammo il differente significato di questi, notando che il secondo aveva per lo più un senso particolare e ristretto e spesso anche collettivo (Gramm., I, VI, 1). Qui porteremo qualche esempio di quei sostantivi, ne’ quali le due uscite, avendo un senso manifestamente diverso, sono usate tutte e due più di frequente.

Anella si usa oggi soltanto in senso metaforico, parlando de’ capelli inanellati, come nel Tasso: Torse in anella i crin minuti.

Bracci ha solamente senso metaforico: Quella palla pongo nell’acqua legando il filo che la regge ad uno de’ bracci della bilancia. Galilei. – Molti bracci di mar chiusi fra terra Restar campi arenosi, arida terra. Anguillara. – Cosi dicesi bracci della croce, bracci di terra, di un fiume ecc. Quando però la parola indica misura, fa il plur. in a: p. es. era alto tre braccia.

Carra si usa per indicare il carico dei carri. Le carra de’ cadaveri accumulati giravano ogni giorno per la città. Segneri.

Cervella si usa talora in senso materiale e per maggiore evidenza, specialmente nella frase spargere le cervella, bruciarsi, forare le cervella e sim. Che fora ad uno Scotto le cervella, E senza vita il fa cader di sella. Ariosto.

Cigli si usa in senso metaforico: cigli della fossa, del monte e simili.

Coltella si userebbe di rado in plurale, e solo per indicare una specie di daga. Messo mano alle coltella furiosamente si andarono addosso. Boccaccio. Più spesso si adopera oggi in tal senso la coltella, le coltelle, nome femminile.

Cuoja si usa oggi solo per la pelle del corpo umano, o il corpo stesso e la vita, ma per lo più con un certo disprezzo, nelle frasi distendere, riposare, ripiegare, tirare, lasciar le cuoja.

Fila si adopera per indicare più fili che entrano a comporre un tutto, e spesso in senso metaforico o speciale. Aveva le sue vestimenta di fila sottilissime. Varchi. Due giovinette bionde come fila d’oro. Boccaccio. Si chiamano fila i fili di tela disfatta che servono per le ferite; e far le fila diciamo di qualsiasi sostanza viscosa, come cacio e simile. Del resto si usa fili anche in senso metaforico, p. es. i fili del telegrafo, i fili di ferro ecc.

Fondamenta è assai raro: userebbesi al più in senso proprio per dare maggior forza al discorso, come se si dicesse: tremò la casa fino dalle fondamenta.

Fusa è usato solo in qualche frase, come quando diciamo che il gatto fa le fusa.

Guscia è poco usato anche nel senso indicato (Gramm., pag. 95).

Membri si usa solo in senso metaforico; p. es. i membri di un’Accademia, i membri d’un periodo.

Mura si dice più specialmente di città e fortezza, e in generale per indicare muri grossi e forti d’uno stesso edifizio. Dicesi anche tra quattro mura nel senso di in carcere o simili.

Ossi dicesi di ossa non umane, riguardate sparsamente: p. es. al cane si danno gli ossi.

Pugna è d’uso poetico. Prese la terra e con piene le pugna La gittò dentro alle bramose canne. Dante.

Risi sarebbe da usarsi appena in verso. Usasi però come plurale di riso pianta.

Sacca indica misura. P. es. .... Semina venti sacca di grano. Si dice comunemente: il tale ha quattrini a sacca.

Staj pure non è quasi mai adoperato.

Deve poi notarsi che, quando si accenna in forma partitiva uno solo degli oggetti aventi doppio plurale, questi serbano il plurale in i. Biondo era e bello e di gentile aspetto; Ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso. Dante. Così bisogna dire l’uno de’ ginocchi, nissuno de’ labbri, uno de’ due lenzuoli, uno de’ diti. Vero è che si dice più spesso, in singolare, un ciglio, un ginocchio, un dito, un lenzuolo ecc. Quanto ai sostantivi che mancano di singolare, vedi la Gramm., II, VII, 4.

§ 9. Nomi femminili di professione. Del modo di formare il femminile da sostantivi indicanti dignità, professione, esercizio, fu già parlato sufficientemente nella Grammatica, cap. VII. Qui solamente vogliamo aggiungere come cosa pertinente più alla ragione ed all’uso, che a regole fisse, un’osservazione: ed è che la terminazione essa (vedi Gramm., II, VII, 7) è preferita a tutte le altre nell’uso comune, quando si debba estendere a donna o una professione o una dignità propria principalmente o soltanto dei maschi. Quindi da professore si farebbe professoressa; da canonico, canonichessa (non canonica che è il nome della casa parrocchiale); da esattore, esattoressa (e non esattrice); da avvocato, avvocatessa, e non avvocata che vale protettrice e si attribuisce quasi soltanto alla Madonna; da provveditore, provveditoressa e non provveditrice che avrebbe senso più generico; da medico, medichessa (e non medica che sarebbe appena tollerato in poesia), da procuratore, procuratoressa e non procuratrice.

§ 10. L’astratto pel concreto. L’uso di un sostantivo astratto invece di un concreto, o di un astratto derivato invece di un altro primitivo, specialmente in senso individuale, non collettivo, è in pochi casi conforme all’indole della nostra lingua, benchè oggi, ad imitazione del francese, se ne faccia molto abuso. Sono da riprovarsi, ad esempio, notabilità, celebrità, per uomo o uomini notabili, celebri; individualità per individuo illustre; esistenza per una persona esistente (p. es. ho perduto le più care esistenze che avessi); idealità per idea; novità per oggetti nuovi; specialità per cose o oggetti speciali; e quello che è peggio, viabilità per le vie. Di astratti passati in collettivi se ne usano bene parecchi, come gioventù per i giovani; servitù per i servi ecc. e si tollera pure umanità per gli uomini in generale.

§ 11. Nomi proprii accorciati. I nomi proprii di persona nel parlar familiare, nelle commedie e ne’ dialoghi più confidenziali si usano spesse volte accorciati per vezzo e per lo più con assimilazione della penultima sillaba all’ultima. Alcune delle più frequenti abbreviature sono Gigi per Luigi; Cecco per Francesco; Gianni o Nanni per Giovanni; Beppe o Geppe per Giuseppe; Tonio o Togno per Antonio; Cencio per Vincenzo; Maso per Tommaso; Betta per Elisabetta; Gegia per Teresa; Gigia per Luisa; Nena per Maddalena, ed altre. Non parliamo di quelle abbreviature che sono ormai riguardate come nuovi nomi; p. es. Corso da Accurzio, Manno da Alamanno, Neri da Ranieri, Nuto da Benvenuto, Vieri da Olivieri, Gino da Ambrogino, Cino da Guittoncino; le quali per conseguenza si conservano sempre.

§ 12. Nomi proprii in plurale. I nomi proprii di persona si possono adoperare in plurale nei seguenti casi:

per indicare più persone dello stesso nome, p. es. gli Scipioni, i due Plinii, i due Seneca. Obizzo vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi, Ambi gli Enrichi, il figlio al padre accanto, Duo Guelfi eco. Ariosto;

per maggiore enfasi, e per mettere un personaggio più in evidenza; p. es. Chiamerete voi dunque, infami i Basilii, infami i Nazianzeni, infami gli Atanagi, infami i Grisostomi perchè ci lasciarono esempi si memorabili di perdono? Segneri. – Al qual uso corrisponde nel singolare l’uso del nome proprio coll’articolo indeterminato un: Un Ambrogio arcivescovo di Milano fu sì pietoso, che somministrò lungamente il vitto ad un traditore che gli avea tramato rabbiosamente alla vita. Segneri;

quando il nome proprio è adoperato come tipo d’una classe di persone, d’una virtù, d’un vizio ecc. (figura d’antonomasia). Crudel secolo, poi che pieno sei Di Tiesti, di Tantali e d’Atrei;

quando si vuole indicare col nome dell’autore quello dell’opera da lui fatta o messa in luce; p. es. vidi tre Raffaelli, possiedo cinque Danti, ho dodici Aldi, per dire: tre quadri di Raffaello Senzio, tre copie della Divina Commedia, dodici edizioni di Aldo Manuzio.

§ 13. Anche i nomi proprii geografici si fanno talvolta plurali. Se dentro un mur, sotto un medesmo nome Fosser raccolti i tuoi palazzi sparsi, Non ti sarian da pareggiar due Rome (cioè due città grandi e belle come Roma). Ariosto (parlando a Firenze).

§ 14. Sostantivi verbali. I sostantivi verbali in -tore, -trice (Gramm., p. 101 e seg., e p. 227-250) non si possono formare a capriccio da tutti quanti i verbi, ma conviene restringersi a quelli soli che sono già nell’uso moderno della lingua, e adoprarli in senso nominale, piuttostochè verbale. Non si può dire col Boccaccio: è divenuto andator di notte, apritor dei giardini e salitore di alberi – io che cominciatrice fui de’ ragionamentiil toccare i panni pareva seco quella cotale infermità nel toccator trasportare. Invece di tali sostantivi si suole usare la costruzione del relativo con un verbo; p. es. invece di toccatore direbbesi chi li toccasse: invece di cominciatrice fui, fui quella che cominciai. Nè si direbbe col Machiavelli: un principe deve ben essere domandatore, e di poi circa le cose domandate paziente auditore del vero, ma più semplicemente si risolverebbe la frase coll’infinito deve domandare e udire. E invece di dire il lettore di troppi libri poco ritiene, dovremo dire chi legge molti libri ecc.

§ 15. Ellissi del sostantivo. Il sostantivo in alcune locuzioni può togliersi, restando sottinteso (figura di ellissi): così avviene del nome figlio, figlia (sing.) innanzi al nome proprio del padre: Caterina di Ferdinando. Davanzati. – Così pure del nome chiesa davanti a quello del santo, cui è dedicata: andare in S. Giovanni, in San Pietro ecc. E spesso del nome teatro o caffè: Nel San Carlo di Napoli, cioè nel Teatro di ecc. Andai al Niccolini, cioè al Teatro Niccolini ecc. A suo luogo diremo di quei casi, in cui l’aggettivo od il pronome o il nome numerale sottintendono un sostantivo.

§ 16. Parti del discorso sostantivate. Finalmente vuolsi notare che anche le altre parti del discorso possono fare da sostantivi, ossia essere sostantivate, come vedremo meglio parlando di ciascuna di esse: p. es. il bello, il buono; il due, il tre, il primo; questo, quello; il saio, il tuo; il dormire, il vegliare; un godere; il prima, il poi; il davanti, il di dietro; l’ahi, l’ahimè ecc.; dove per lo più si premette l’articolo o determinato o indeterminato. Ma di ciò diremo a luogo più opportuno.


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