I Romani non avevano grandi problemi ortografici. È vero che presero l’alfabeto dai Greci, ma all’inizio non ebbero quell’atteggiamento di dipendenza nei confronti della cultura greca che invece li caratterizzò a partire dall’epoca delle guerre puniche. Essi quindi poterono adattare liberamente l’alfabeto greco alle loro esigenze, creando un sistema di scrittura in cui la corrispondenza tra segno e suono, se non perfetta, è superiore a quella che si verifica nella maggior parte delle lingue moderne; così come i Greci presero l’alfabeto dai Fenici, ma lo modificarono profondamente per adattarlo alle esigenze della loro lingua.
In tutte le lingue europee moderne, invece, la scrittura si sviluppò timidamente, accanto al permanere del latino come lingua di cultura. L’adattamento dell’alfabeto latino ai nuovi suoni procedette quindi in modo incerto.
L’italiano ha un alfabeto in gran parte fonetico proprio perché ha un sistema di suoni abbastanza simile a quello latino. Le principali differenze sono due.
Lingue come il francese e l’inglese invece incontrarono maggiori difficoltà. Esse avevano - ed hanno soprattutto nelle epoche più recenti - suoni diversissimi da quelli latini. A questo si sono aggiunte, nei secoli passati, ulteriori complicazioni, consistenti spesso in grafie etimologiche, che il più delle volte sono in realtà delle false etimologie. Per non annoiare il lettore ricordo solo un esempio: l’inglese debt, che viene pronunciato /det/, in quanto deriva dal francese dette; la b della grafia è stata introdotta in base ad una arbitraria derivazione dal latino debitus. Anche l’italiano ha avuto di queste mode, basti pensare a tutte le parole inizianti con h (huomo, hora ecc.), all’uso fantasioso della y (Ytalia in Dante e Petrarca) ecc. Ma fortunatamente abbiamo fatto piazza pulita di tutto ciò.
i casi in cui la differenza di apertura della e e della o indicano una differenza di significato (i famosi pésca e pèsca, bótte e bòtte ecc.) sono in realtà rari e di scarsa rilevanza concretaLugi Federico Signorini mi comunica il suo disaccordo:
Qui le allego una specie di collezione di simili casi che a dire la verità non mi sembrano tanto rari. Sulla rilevanza concreta non so; forse è vero che molti parlanti non distinguono sistematicamente i due suoni; in alcuni dialetti o accenti regionali la distinzione manca del tutto, in altri il sistema è diverso da quello standard (toscano). Però questo fatto non mi sembra decisivo, almeno con riferimento alla lingua standard; ho il dubbio che diamo scarsa rilevanza pratica a questa distinzione solo perché più o meno casualmente l’ortografia non distingue i due suoni, ma mi domando se per esempio di coppie minime per o aperta/o chiusa ce ne siano poi tante di meno che per altre opposizioni di vocali, poniamo o chiusa / u.Ecco qui il completo e minuzioso elenco di coppie di parole distinte solo per la qualità del suono della e, della o, della s e della z.
Invece la distinzione fra le due qualità di s e di z (nelle posizioni dove questa distinzione è possibile) mi sembra che abbia davvero scarsa rilevanza semantica. Per la z di veramente convincente ho trovato solo razza (pesce) / razza (stirpe); per la s il massimo che mi è riuscito di trovare è presento (da presentare) / presento (da presentire), ammetto un po’ artificioso. (Su fuso mi sono affidato al vocabolario ma ho dei dubbi).