5-8 Ottobre 1998    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

La lingua a scuola

A che serve l’analisi logica?

Primo pistolotto

Su it.cultura.linguistica.italiano Silvia Mandelli ha scritto:

a proposito di complementi bislacchi: in «la casa è andata a fuoco» la mia prof aveva decretato che «a fuoco» non è moto a luogo figurato, ma non riesco tuttora a ricordare in quale categoria l’avesse messo. Di materia? di qualità? di che? (e non rispondetemi complemento d’incendio)

"Elrond" risponde:

L’analisi logica è la più grossa schifezza del mondo

Quando ero ragazzo, l’analisi logica era una materia che diceva che il complemento oggetto è quella cosa che viene dopo il verbo, risponde alla domanda «chi? che cosa?» e in latino si traduce con l’accusativo.

Quest’affermazione conteneva tre errori evidenti:

L’analisi logica si portava con sé due gravissimi vizi di nascita:

L’analisi logica mancava quindi essenzialmente di chiarezza logica.

Ma, tutto sommato, riusciva a raggiungere abbastanza bene le sue finalità pratiche. Certo, tutti quelli che appartengono alla mia generazione, chissà quante volte si sono visti sul foglio protocollo l’infamia di nervosi segnacci blu perché avevano messo un soggetto in accusativo; ma alla fine hanno capito; e lo hanno fatto tanto bene che, ancora adesso, per capire come funziona una frase in italiano, a me - e penso a molti altri - viene istintivo tradurla in latino. È un’assurdità, ma è un’abitudine ormai impossibile da sradicare.
Chiaramente questo insegnamento aveva poco di logico, e tanto di pratico; prova e riprova, segnaccio dopo segnaccio, alla fine riconoscevi al volo se una cosa andava al nominativo o all’accusativo.

Oggi non si fa più latino alle medie - il che non è detto che sia un male. Esauritasi la finalità pratica della versione dall’italiano al latino, rimane un elenco meccanico di complementi: di chi di che cosa, a chi a che cosa... L’unico appiglio che rimane agli insegnanti sono i loro (degli insegnanti) ricordi del latino. Di qui i molteplici complementi di stato / moto a luogo; la distinzione tra complemento d’agente e complemento di causa efficiente ecc. Tutte cose che non servono assolutamente a capire come funziona la lingua italiana. Quest’analisi logica piace agli alunni pigri - proprio perché non è logica, non costringe alla fatica di pensare. La maggior parte dei ragazzi che esce dalle medie ha ben stampato in mente il seguente dogma di fede:

nella frase «mi piace (chi? che cosa?) la cioccolata», cioccolata è complemento oggetto.

Chi non è insegnante, non ha idea degli sforzi che ci vogliono per sradicare una simile - comodissima - convinzione.


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Secondo pistolotto

Esercizio: fate l’analisi della seguente frase:

La casa andò a fuoco

Il ragazzino comincia a scrivere sul quaderno:

La casa =
andò =
a fuoco =

Naturalmente non ha inventato lui questo sistema, gliel’hanno insegnato. Quindi non è colpa sua se il risultato è questo:

la casa = soggetto
andò = predicato verbale, verbo intransitivo di moto ecc.
a fuoco = complemento di moto a luogo (sicuro? No, facciamo moto a luogo figurato).

È giusto? È sbagliato? Né giusto né sbagliato. Se non vi piace il moto a luogo, chiamiamolo complemento di incendio, o complemento di sfiga. Non cambia granché; il guaio è che nessuna delle tre soluzioni ci fa fare un passo avanti. È un po’ come dire che il papavero fa dormire quia habet virtutem dormitivam: una affermazione tautologica, che non aggiunge nulla alle nostre conoscenze sul papavero; così dire che «a fuoco» è complemento di moto a luogo ecc., non aggiunge nulla alle nostre conoscenze sulla lingua.

Il problema è che la lingua procede in modo sequenziale, per usare un’eleganza moderna, cioè mettendo una parola dopo l’altra; ma il pensiero procede in modo gerarchico, cioè secondo una serie di nessi logici, in cui non conta ciò che viene prima e ciò che viene dopo, ma che legame si stabilisce fra i vari passaggi. E proprio di questa differenza di procedere dovrebbe occuparsi l’analisi logica. Voglio dire, non ha senso chiedersi prima che cos’è «andò» e poi chiedersi che cos’è «a fuoco»; ma che cosa nasce dalla combinazione dei due.

Proviamo a guardare una serie di frasi con il verbo andare:

  1. l’esame è andato male
  2. le cose sono andate lisce/storte
  3. la casa andò completamente distrutta
  4. la casa andò a fuoco

Una ragazzino diligente ci spiegherà:

  1. andare = predicato verbale; male = complemento avverbiale di modo
  2. sono andate = verbo copulativo; lisce (storte) = complemento predicativo del soggetto
  3. andò distrutta = predicato verbale con un verbo transitivo passivo (andare qui è un ausiliare, e l’espressione equivale a «fu distrutta», «venne distrutta» ecc.)
  4. ... lo sappiamo già.

Bravo, hai studiato, nessuno pretende di più. Ma osserviamo. In tutti i casi, il verbo andare non ha evidentemente il significato di moto, ma significa «trovarsi in una certa condizione come conseguenza di una trasformazione». Al di là della nomenclatura dei complementi, dei verbi che transitano ecc. ci troviamo di fronte ad una struttura della lingua italiana che può assumere molteplici forme, ma alla base ha la stessa idea metaforica di un verbo di moto che esprime il risultato di una vicenda.


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Terzo pistolotto

Naturalmente, gli insegnanti sanno benissimo che la linguistica ha fatto dei progressi dopo Elio Donato. Ma in Italia le riforme dei programmi e della didattica le fanno le case editrici; così negli anni ’70 e ’80 sono comparsi moltissimi testi che tentavano di accodarsi all’evoluzione della ricerca. Sui manuali più aggiornati si potevano vedere sbilenchi «alberi della frase», acronimi impronunciabili «GN + GV» ecc.; il peggio l’hanno fatto quegli autori che, avendo sbirciato qualche flow chart sulle pagine del collega di informatica, hanno pensato fosse cosa fighissima incastrare pezzi di frasi dentro caselle rettangolari, romboidali, ellissoidali, da cui partivano enigmatiche freccette.

I risultati, ai fini dell’insegnamento, sono stati deludenti. I più hanno quindi ripiegato sull’analisi logica, che almeno è la stessa per tutti, e il ragazzino non rischia di chiamare «sintagma nominale» quello che l’anno dopo con un altro insegnante sarà «gruppo del soggetto». Tutto questo è purtroppo avvenuto in un clima di generale degrado degli insegnamenti letterari e linguistici che, in diversa misura, coinvolge ogni ordine di scuola.

Chi ha letto qualche mio precedente intervento, sa che in fatto di lingua e di didattica sono orientato verso un moderato conservatorismo. La mia proposta è pertanto quella di rimanere sostanzialmente fedeli all’analisi logica e alla sua nomenclatura tradizionale, per non imbarazzare studenti e docenti con innovazioni che il più delle volte sono solo terminologiche; ma di far sì che l’analisi logica sia un po’ più analitica e un po’ più logica, e non un repertorio di formule meccaniche.

Si metta quindi al bando il rosario dei «chi? che cosa?», e si badi invece ai rapporti fra i componenti della frase, a partire dal verbo; si rinunci ad una minuziosa classificazione dei complementi, e ci si concentri sul funzionamento e sull’evoluzione delle strutture fondamentali della lingua; si abbandoni l’idea che la lingua italiana e la sua analisi debbano avere come modello la grammatica e la sintassi latina. Lasceremo perdere i soggetti che subiscono e i verbi che transitano, per concentrarci sulle relazioni fra la struttura logica del pensiero e la struttura grammaticale del linguaggio. Smetteremo di chiederci quale etichetta attaccare al complemento che compare nella frase «la casa va a fuoco»; ma analizzeremo il fatto che dopo il verbo «andare» si può trovare o una determinazione di luogo, oppure tipi di espressione molto diversi fra di loro ma che significano sempre «trasformazione, cambiamento di stato».

Questo, almeno, nelle intenzioni. Per ora, quando un ragazzino arriva in prima superiore sapendo che «il gatto (chi? che cosa? soggetto) mangia il topo (chi? che cosa? complemento oggetto)», è tutto grasso che cola.

P. S. Andate a vedere anche un interessante intervento sull’analisi logica nell’insegnamento del latino


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