16 Settembre 1997    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

Questioni di grammatica italiana

Come ti suona la lingua? (A proposito di: A me mi piace)

La norma e l’uso, quante volte ne abbiamo parlato!
Ma finché ci limitiamo a questi due corni del dilemma, non se ne esce. La norma: chi l’ha inventata? Con quale autorità?
L’uso: qualunque cosa diventa lecita, anche mettersi le dita nel naso in pubblico, solo perché sono in tanti a farlo?
Ogni tanto qualcuno salta fuori con: «a me suona bene / non suona bene». È forse questa la chiave del problema. Il fatto che una certa espressione ci «suoni» bene o male, vuol dire che, nel retroterra della nostra mente, in modo non del tutto conscio, agiscono delle regole (non quelle delle maestre), o per meglio dire delle persistenze, che ci spingono ad operare una scelta in un senso piuttosto che in un altro.

Scrive Luigi Mancinelli:

... al tuo orecchio magari non suona male «a me mi», ma forse suonerebbe molto male «a loro ho detto loro di non farlo più» che pure, grammaticalmente, è la stessa cosa.

Questo è il problema: non chiedersi se «a me mi» è giusto o sbagliato (ognuno ha la sua risposta: per me è sbagliato), ma: perché «viene da dirlo»? Da dove nasce questa pulsione alla ripetizione che a volte dobbiamo reprimere con un autentico sforzo?
Sicuramente da un retroterra dialettale; in piemontese io direi senza esitare a mi ’m pias.
Ma anche questa non è una risposta soddisfacente. In realtà l’uso dei pronomi è una questione cruciale di tutto l’insieme linguistico italiano: della lingua colta come della lingua parlata, degli italiani regionali come dei veri e propri dialetti.
Dobbiamo chiederci perché l’italiano ha due forme di pronomi personali: quella tonica (a me) e quella atona (mi). Perché a volte si sceglie l’una, a volte l’altra forma? In base a criteri puramente grammaticali, o a criteri espressivi?
Ma che rapporto c’è tra la grammatica pura e semplice, e l’espressività del discorso, la necessità di mettere in risalto questa o quella parte del messaggio?
È possibile che ci sia una relazione tra la lingua parlata e quelle forme di comunicazione non verbale che però sono essenziali in ogni relazione sociale? Se gli Italiani «parlano con le mani», non sarà che anche nella scelta delle parole e nella costruzione delle frasi ci mettono un di più di espressività, che a volte va contro la logica – e che c’entra la logica in frasi come «(a me) mi piace quella ragazza»?


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