27 Settembre 1997    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

Questioni di grammatica italiana

Parole e sillabe, ovvero: Come andare a capo con dell’uomo e simili?

È una vecchia questione scolastica.
Le proposte sono:

La regola generale è: si va a capo dividendo la parola in sillabe.
Ma una preposizione articolata è una parola?
Quando c’è un apostrofo, dove finisce la sillaba? Per metterci ancor di più nei guai:

Le migliori grammatiche sono estremamente caute nel definire questi termini, che solo apparentemente sono facili da individuare. Molte grammatiche non usano proprio il termine "parola".
Altri (pochi) testi sono scopertamente incauti. Cito fra tutti il Dardano Trifone, di cui possiedo solo un’edizione scolastica:

... con parole (o vocaboli) s’intendono le parole quali appaiono nella frasi; per es.: ragazzi, allegri, camminavano, nelle, strade, dei, quartieri, centrali. [p.494]

Una parola è una parola. Grazie tante!

In realtà noi, parlando, emettiamo un flusso continuo di suoni, nei quali possiamo, con un’operazione intellettuale, individuare singoli nuclei portatori di un significato, o di una relazione grammaticale.
La grafia tradizionale ha suddiviso, in modo piuttosto empirico, le singole parole, separandole con uno spazietto bianco; ma questa distinzione è in gran parte artificiosa.
Non c’è dubbio che in: "Carlo vede Andrea", possiamo individuare tre distinti nuclei di significato, che corrispondono a gruppi di suoni organizzati intorno ad un accento. Ma gli articoli? Le preposizione articolate? È possibile considerarli portatori autonomi di significato?
A ciò si aggiungono fenomeni fonetici, che la grafia tradizionale esprime con grande difficoltà. Perché scrivo "soprattutto" con due t, e "che bello!", quando la corretta pronuncia italiana (non padana) raddoppia ugualmente e unisce in "chebbello"?
Noi italiani abbiamo un’ortografia che, grazie a Dio, è in gran parte fonetica, a differenza del delirio inglese. Ma nessuno è perfetto, e in particolare i fenomeni che nascono dal fondersi delle parole in un’unica catena sonora sono rappresentati molto male. Possiamo sottilmente distinguere tra elisione e troncamento, e quindi scrivere "un’amica" e "un amico", ma la presenza o meno dell’apostrofo non corrisponde assolutamente a nessun effetto sonoro. Allo stesso modo in "dimmelo" (quante parole sono?) il raddoppiamento della m rappresenta il suono, ma ciò non toglie che il pronome personale rimanga esattamente lo stesso pronome personale di "me lo dici" (tre parole!). Riassumendo, io metterei come regole generali di comportamento:

  1. Compatibilmente con le convenzioni tradizionali dell’ortografia, la scelta da fare è quella che meglio rappresenta la pronuncia. Quindi se io dico "dell’uomo" non posso scrivere "dello / uomo", che è un’altra cosa.
  2. Là dove si ha, o si presume di avere, una possibilità di scelta fra due soluzioni, occorre rimanere coerenti con le proprie scelte. Coloro che scrivono "dell’ / uomo", mantenendo insieme le due l che nascono da un raddoppiamento fonosintattico (in questo caso fusione tra preposizione "di" e articolo "lo"), dovrebbero, per gli stessi ottimi motivi, scrivere anche "di / mmelo", poiché è indubbio che anche la prima m appartiene al pronome personale.

Conclusione: del / l’uomo, e non se ne parli più.


Torna su ^