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Ioannis Pascoli Carmina

Poesie latine di Giovanni Pascoli

Sunti 2

RES ROMANAE – POEMETTI ROMANI

Laureolus (1893)
Laureolo

Ottenne il terzo premio ad Amstedam nello stesso anno 1894 in cui fu assegnata la medaglia d’oro a Phydile.
Esametri

Su Virbio, antica divinità campestre venerata nella campagna laziale, identificato con l’ateniese Ippolito, oltre agli autori latini citati in nota dal Pascoli si veda anche James Frazer, Il Ramo d’oro.
Nella campagna presso Ariccia, alla sera, due anziani contadini rientrano nella loro capanna. Fra loro parlano del mito di Virbio, che si diceva vagasse nottetempo nella campagna. [1-23]
Sono appena entrati in casa che una figura prestante di uomo si fa sulla soglia e chiede ospitalità. I due vecchi lo scambiano per il dio; si tratta in realtà di Laureolo, un bandito che si nasconde nella selva per sfuggire alla cattura. [24-60]
I contadini gli offrono da mangiare e da bere. L’ospite li ringrazia, e si lascia andare ad alcune confidenze sulla sua vita raminga nel bosco, confidenze che però i due fraintendono, credendo di trovarvi una conferma che si tratti veramente del dio. [61-90]
Improvvisamente si sente un galoppo di cavalli che si avvicinano. L’uomo scompare: al suo posto, sulla tavola, i vecchi vedono una coppa d’oro. È una parte del bottino del bandito, abbandonato nella precipitosa fuga; ma viene scambiata per un dono del dio, grato per l’ospitalità. Arrivano uomini a cavallo. I due vecchi hanno visto un uomo armato dal volto feroce? No, non hanno visto nessun uomo.
I due vecchi rientrano in casa; versano vino dalla coppa d’oro e ne fanno offerta al dio, mentre nella notte si sente il fragore di cavalli in corsa. [91-121]


Iugurtha (1896)
Giugurta

Ottenne la magna laus ad Amstedam.
Esametri

Il re dei Numidi Giugurta, sconfitto, dopo aver seguito in catene il trionfo di Mario è gettato nel carcere Tertulliano. Stordito e trasognato, esclama, con un motto di spirito riportato da Plutarco: «Come sono freddi i tuoi bagni, Roma!» Poi si trova al buio; cessato il fracasso dei battenti chiusi, sente in lontananza gli echi dei festeggiamenti per la vittoria. [1-16]
In preda al delirio, alla fame e alla sete, passa sei giorni ripensando alla sua vita, alle vicende della guerra, i tradimenti, le battaglie, la sconfitta. [17-129]
Infine entra il carnefice, stupito di vederlo ancora vivo, e lo strozza. [130-131]


Gladiatores (1892)
I gladiatori

Magna laus al concorso di Amsterdam del 1893
Esametri

Nella primavera del 71 a. C. l’esercito servile di Spartaco fronteggia sui monti della Lucania le forze di Crasso e Pompeo. Tre uomini sono messi a fare da vedetta su una rupe. [1-60]
Uno di loro, un gladiatore trace, rievoca il momento della rivolta: il lanista [impresario e addestratore della scuola dei gladiatori] in terra trafitto, la fuga, la libertà riacquistata. Poi, la vendetta: l’orda dei servi ribelli si scatena contro i padroni, si siede alla loro mensa, dà fondo al vino e alle provviste; gli schiavi umiliano i loro padroni, li costringono ad onorarli e a servirli. Vengono indetti dei giochi: i padroni combatteranno fino alla morte, per il divertimento di quelli che fino a ieri erano condannati. [61-160]
Il secondo è un gallo, catturato mentre combatteva contro l’invasore. Rimpiange la moglie, la famiglia, la patria perduta. Un urlo di guerra aveva turbato la pace delle selve e dei campi. I guerrieri furono convocati dalla sacerdotessa nel fondo della foresta; ma un segno funesto della luna anticipava la rovina. [161-263]
Il terzo è un vecchio schiavo, che ha provato ogni umiliazione e patimento. Non prova né odio né rimpianto. Un giorno anche i romani dovranno offrire riparazione del male commesso. Eppure nessuno più di lui ha sofferto. Venduto bambino da un mercante crudele, è stato straziato da quelle stesse cose che dovrebbero essere al servizio degli uomini: il ferro, gli attrezzi agricoli, la terra, che per lui non ha mai dato frutto. Fuggiasco, si era rifugiò nella montagna, in mezzo ai lupi, con la sola compagnia di pochi animali. Nel sogno, aveva riconosciuto la voce della madre, che malediceva il suo petto a cui era stato strappato il figlio. Quel pensiero però lo aveva reso buono, gli aveva fatto amare ogni essere vivente. [264-498]
I tre si addormentano. Ma alle prime luci dell’alba suonano le trombe, comincia la battaglia e la strage, che dura tutto il giorno e tutta la notte. [499-534]
Ormai la pianura è un deserto, coperto di pali e di uomini crocifissi. In cima alla rupe tre legni portano i corpi immobili, con le ossa spezzate, di tre uomini agonizzanti. [535-551]


Chelidonismos (1896)
La questua della rondine

Presentato al concorso di Amsterdam del 1897, non ebbe nessun premio.
La narrazione è in esametri; la traduzione del canto dei fanciulli, da Ateneo [VIII 360 B], usa vari versi giambici.

Esiliato a Rodi, Tiberio (che nel poemetto è anche chiamato a volte Claudio, a volte Nerone) interroga un indovino per conoscere il futuro. Quello studia le tabelle con le posizioni degli astri, e infine gli annuncia che sarà Cesare. [1-56]
Con le prime luci dell’alba, all’orizzonte compare una vela: una navicella si sta dirigendo verso l’isola. [57-66]
Ora Tiberio passeggia nel viale della villa, dove ammira grandi statue che rappresentano personaggi mitologici, immobili nella tensione e nello spasimo della sofferenza. [67-84]
Ma improvvisamente un canto festoso lo distrae. Per festeggiare l’arrivo della primavera, i fanciulli dell’isola vanno di casa in casa annunciando il ritorno delle rondini, e chiedono doni di dolciumi. [85-102]
Tiberio è ancora tutto preso dal contrasto fra la fissità del marmo e la cantilena di buon augurio, mentre un messo gli annuncia che Cesare Augusto lo richiama a Roma. Potesse anche lui tornare ogni anno, come le rondini! [103-129]


Veterani Caligulae (1894)
Veterani di Caligola

Presentato al concorso di Amsterdam del 1895, non ebbe nessun premio.
Esametri

labora aselle quomodo ego laboravi et proderit tibiIl poemetto, ispirato a Svetonio, e ad un graffito trovato sulle mura del Palatino, presenta alcuni soldati di guardia al palazzo imperiale di Caligola poco prima del suo assassinio.
Due di loro, Rufo e Grazio, rievocano gli anni della giovinezza, quando il piccolo figlio di Germanico ebbe il soprannome di Caligola dalle scarpe militari che indossava. Ora, diventato imperatore, è agitato da una forma di pazzia. [1-33]
Si interrompono al sopraggiungere di una figura insonne: è l’imperatore stesso che vaga nel portico ed esclama «O luce!» A queste parole un soldato bàtavo, che dormiva durante la guardia, si sveglia: dice di aver sognato Cesare che si avventava con un gran martello contro il sole, lo spezzava, e lasciava il mondo nell’oscurità. [34-56]
Il bàtavo viene mandato a dormire. Arriva a dargli il cambio un quarto soldato, che si lamenta dell’ingratitudine di Caligola e della misera paga. Rufo, pronunciando oscure minacce, disegna sul muro col carbone un asino che gira la ruota del mulino, e scrive: LAVORA ASINELLO, ANCH’IO HO LAVORATO COME TE: E GIOVERÀ A TE. Ma il quarto soldato deve mostrare la tessera con la parola di riconoscimento, su cui l’imperatore ha ordinato di scrivere per dileggio: PRIAPO. [57-79]


Rufius Crispinus (1906)
Rufio Crispino

Ottenne la medaglia d’oro ad Amsterdam nel 1907
Esametri

Sulla spiaggia di Anzio, vicino alla villa di Nerone, giocano dei fanciulli. D’un tratto passa un imponente corteo. Il littore ordina di scostarsi: passa l’Augusta, Poppea, la moglie di Nerone. Ma un fanciullo si avvicina e chiama: «Mamma!» [1-33]
È Rufio Crispino, che Poppea ha avuto dal precedente marito, fatto uccidere da Nerone. La madre lo guarda angosciata, ma poi volge lo sguardo. Il bambino torna indietro, singhiozzando. [34-50]
Nel palazzo la madre prega un Dio ignoto. Poi fa entrare il figlio. Il bambino non capisce tanta freddezza: eppure è bravo, fa progressi negli studio, tutti lo lodano. Racconta dei suoi giochi. Spesso è vincitore, e i compagni lo chiamano «re». La madre impallidisce. Il bimbo gioca al gioco di Troia, e fa il «comandante»... La madre è terrorizzata. Sa che Nerone diffida del bambino, teme che possa insidiargli il potere. Gli ordina di abbandonare i giochi, i compagni. Il bambino trova una soluzione: andrà a pescare, solo, col servo fedele. [51-131]
Il bambino ora è su uno scoglio, con una canna in mano. La madre, in casa, ascolta distrattamente una lettura di poeti. Ma d’improvviso ha una visione: il figlio che lotta contro i flutti.
Dal vestibolo si sente una voce di pianto. Le portano il corpo del figlio, bianco, fradicio. Il servo fedele si scusa: è scivolato in acqua, non è riuscito a trattenerlo. La madre disperata esclama, stringendo il corpicino: «È tardi! Per noi è sempre tardi!» [132-164]


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