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AMARE

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Affetto, Affezione.

L’affetto nasce tanto dall’odio del male, quanto dal desiderio del bene. Tanto dunque può dirsi affetto l’ira, quanto l’amore [Dante: «Secondo che ci affiggon li desiri E gli altri affetti»]. Ma perché l’uomo è più commosso dalle impressioni che portano imagine vera o falsa di bene, questa voce usasi per lo più in buona parte; e denota quasi il primo grado dell’amore. Può dirsi anche: affetto d’amore.
Affezione denota sentimento più in atto; e quantunque anch’essa sia vocabolo generale da potersi talvolta prendere per un’impressione qualunque, anche corporea (onde le affezioni morbose e simili) [Ben la dice il Rosmini, mezzo tra la sensione e la passione], è più specialmente destinata a significare un grado di amore.
Affetto, riguarda più i segni esterni; affezione, l’interno senso. Si abbraccia, si parla affettuosamente; si cerca affettuosamente un oggetto, non affezionatamente.
Affetto, è talvolta più d’affezione. L’amore, anche ardente, affetto, meglio che affezione. Così quando diciamo: le affezioni patrie, domestiche, e simili, intendiamo vincolo meno stretto, che se dicessimo: affetti.
Affetto,
per ultimo, è più generale: cuore affettuoso, vale pieno d’affetti, naturalmente portato all’affetto; animo affezionato, esprime particolare affezione verso tale o tale persona. Egli è anco per ciò che degli animali diciamo che si affezionano; non, comunemente, che prendono affetto. E chi lo dicesse, intenderebbe dar loro un senso che tien dell’umano. Affetto del cane al padrone, non del gatto o del falco. Affetto della madre a’ suoi uccellini.

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Affetto, Affezione, Benevolenza.

Benevolenza è, come suona la voce, quel sentimento che fa volere il bene d’alcuno. Tale sentimento è prodotto anco dall’amore, ma non n’è, a dir così, che una parte [Giambullari: «Non molto amico o benevogliente». Lib. cur. mal.: «Venga sempre l’infermo benevolmente guardato dal medico». (Qui non è né amore né affezione né amorevolezza; è un misto d’affezione, di compassione e di carità)]. Onde l’Ariosto: «... non che da porre incontro Sien questi amori: è l’un fiamma e furore, L’altro benevolenza più che amore» [Anco ai Latini benevolenza era dilezione civile e ufficiosa; amore veniva più dall’animo ed era più tenero. Cicerone: «Nil est quod studio et benevolentia, vel amore potius, effici non possit»]. Nel Purgatorio di Dante, s’incontra Virgilio con Stazio suo ammiratore, e gli dice: «... dall’ora che fra noi discese, Nel limbo dello ’nferno Giovenale, Che la tua affezion mi fe’ palese, Mia benvoglienza inverso te fu quale Più strinse mai di non vista persona». Alla affezione di Stazio Virgilio corrisponde colla benevolenza. I minori sogliono alla benevolenza dimostrata loro dai grandi corrispondere con affezione sincera, perché gl’infelici sono più disposti ad amare.
Se benevolenza è meno d’affezione, superfluo notare ch’è ancor meno di affetto. C’è degli uomini naturalmente disposti a certa universale benevolenza; non è perciò che sien facili a prendere affetto. Quant’hanno il cuore più buono, più serena la mente, tanto nel consorzio degli affetti sono più delicati, più cauti.

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Affezionarsi, Prendere affetto.

Prendere dice i primi momenti, affezionarsi, il cominciare a formarsi dell’abito. Ma, affetto potendo essere più d’affezione, il prendere affetto può significare più dell’affezionarsi: né questo secondo propriamente direbbesi d’affetto reo.

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Affetto, Inclinazione.

– L’inclinazione è una pendenza, come il vocabolo dice, una disposizione all’affetto, la qual viene da alcuna qualità piacente nell’oggetto veduta; ma può diventare affetto e amore impetuoso. L’inclinazione o cessa, o si fa sentimento più vivo, o almeno più fermo. – Girard.
– L’inclinazione è un primo movimento d’affezione, o di desiderio, non è l’affezione stessa. Può inclinato concernere le persone e le cose; affezionato le persone specialmente o enti animati o che riguardansi come tali. Io sento affetto anco a cose insensibili; ma il verbo affezionarsi pare destinato più specialmente, ripeto, agli enti dotati di vita.
Quanto all’azione poi la differenza è più chiara ancora. Diremo: inclinato a fare; affezionato a fare, nessuno dirà. – Romani.

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Affetto, Attacco, Attaccamento.

– L’affetto è un principio d’attaccamento; attaccamento è affetto forte. Si può avere affetto anco a estranei. – Laveaux.
I due ultimi han senso d’affezione più o men intima; ma l’attaccamento è innocente; l’attacco, non tanto; questo ha della passione, quello ha dell’affetto: attaccamento al proprio dovere, alla propria famiglia, a un amico, a donna onesta che stimasi; attacco a donna di mal affare, al giuoco, al danaro. L’attaccamento può condurre al sagrifizio; l’altro tien quasi sempre del vizioso amore di sé.
– Anche l’attaccamento può essere biasimevole, quando non è moderato dalla ragione; ma è meno ostinato e men grave. – Girard.
– Dall’oggetto, a cui s’ha dell’attacco, uno non si sa dipartire; l’oggetto, al quale egli ha dell’attaccamento, e’ l’ama. Il semplice abito, la passione, genera l’attacco; la conformità degli animi, l’attaccamento. Persona di cuore non buono può avere un attacco, senza attaccamento sincero. Per poter dire con Marziale: non posso vivere né senza te, né con te, e’ ci vuole un attacco forte, e dell’attaccamento poco. Uno de’ mali del vizio si è che, anco cessato l’attaccamento, l’attacco resta. Voi non amate più quella persona, e pure non ve ne sapete staccar. – Roubaud.

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Affetto, Passione.
Amore, Passione.
Prendere una passione, Innamorarsi.
Prenderla, Averla.

– L’affetto è men veemente, lascia l’anima più attiva, più libera. – Gatti.
D’amore vivo e tenero, non senza dolore, segnatamente di donna a uomo dicesi assolutamente passione. Prendere una passione, è cosa più grave che innamorarsi. Avere una passione, talvolta ha mal senso; non di patimento che accuora, ma di sentimento in cui l’anima rimane quasi passiva, si lascia vincere, e scade dalla propria dignità. Avere un amore, è d’animo più leggero non più puro però.
La persona stessa, uomo o donna, dicesi ch’è la passione della tale o del tale. E anche altri oggetti diventano la nostra passione se appassionatamente bramati. Ma quest’ultimo può essere iperbole di celia o d’ironia.

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Affetto, Amore.

L’amore è più forte. C’è sentimenti da non chiamarsi che amore. Quel della madre, del padre, è amore. Una moglie può essere affettuosa, e non essere amante. Tra i fratelli l’affetto è più facile che l’amore. Si direbbe che l’affetto è ora principio d’amore, ora supplemento all’amore.
L’amore innoltre, può talvolta riguardarsi, come più intimo, l’affetto come più esteriore; in questo senso si possono nel discorso unire insieme amore e affetto. C’è chi ama, e non dimostra affetto. L’amore solo, o umano o divino, può fare che assistiamo a un infermo con vero affetto. I modi affettuosi sono ora il veicolo, ora l’indizio dell’amore.
L’amore, per ultimo, siccome più forte, può prendere nobiltà o turpitudine, che non son dell’affetto. Tanto dicesi amore il divino, quanto il carnale. L’affetto è in una sede di mezzo; non si direbbe: affetto verso Dio, né affetto il desiderio voluttuoso [Alfieri: «Se del mio cor tu parli E del mio amore e de’ privati affetti»].

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Affetto, Amore, Amorevolezza.

Amorevolezza è il segno dell’amore, della benevolenza, dell’affetto; segno che può essere più o meno evidente e sincero. Amorevole, indica gli atti esterni di un sincero amore; ma c’è poi, in sostantivo, gli amorevoli sciocchi e le amorevolezze svenevolone, modi antiquati del Firenzuola. Si noti, in genere, che l’amorevolezza ha sempre dell’esteriore; che perciò è men d’affetto, anche quando l’affetto non è che esteriore. Onde altro è: accogliere amorevolmente, altro accogliere con affetto.
L’amorevolezza innoltre è, più d’ordinario, da superiore a inferiore [Allegri: «Mio padrone amorevolissimo». Varchi: «Non richiederò il benefizio a persona, se non da chi me lo vorrà fare amorevolmente»].
Può però anco l’amorevolezza essere tra pari, così come l’affetto. Può anco l’amorevolezza essere nell’indole dell’uomo; ma sempre è tale, che cerca spandersi in atti estrinseci, anzi la vera amorevolezza cristiana vien sempre dal cuore; e non è amore cristiano quello che si dimostra in atti duri, e non amorevoli.

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Affetto, Tenerezza.

Tenerezza è affetto soave, mesto talvolta; che in modo soave s’esprime. L’affetto può essere contenuto, e un po’ severo.
Ma c’è della tenerezza di mera cerimonia; e più l’affetta chi ha meno affetto. Coloro che son sempre teneri, o l’affetto non sentono, o lo sentono mollemente.

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Amore, Tenerezza.
Tenerezza, Tenerume.

Tenerezza, disposizione per cui l’animo cede alle impressioni di benevolenza, d’amore, di compassione; e talvolta allenta più che il dovere non chiegga.
Tenerezza può essere il sentimento d’amore tenero verso tale o tale persona. È sovente l’esterna dimostrazione di vivo affetto; e dicesi anco in plurale, le tenerezze. Per celia, e in senso di biasimo, tenerume e tenerumi.
– La tenerezza ammollisce l’anima, ora temperandola a pietà buona, a buono amore, ora fiaccandola. E, o pare, tutta pura d’interesse, e si versa abbandonatamente sull’oggetto della pietà o dell’amore. Si manifesta con la gioia, con le lagrime, col venir meno. Può l’amore non essere tenero; può la tenerezza essere compassione, e non propriamente amore. – Girard.
In quest’ultimo senso dicesi che un discorso, la vista d’un oggetto compassionevole, di persona la cui debolezza o la gracile avvenenza ecciti un senso tra di pietà e d’affezione, fa tenerezza.

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Amore, Affetto, Cordialità, Tenerezza, Svisceratezza.

Cordialità è affetto sincero, che dal cuore si parte. Differisce da amore e da tenerezza, in quanto esprime, più che altro, schiettezza d’affetto. Ed è però che, anche in senso tristo: nemico cordiale [D. Compagni], diremo; odiare cordialmente; cordialmente seccato; pittima cordiale, cioè persona che ha radicata nel cuore l’avarizia.
Svisceratezza è più dei precedenti; pare che accenni quella dolce commozione delle viscere che proviamo verso persona intimamente cara. Il bel modo scritturale: «per le viscere della misericordia del Signore» ci rammenta la quasi materna misericordia di Dio verso le sue creature. D’affetti terreni parlando, i genitori amano svisceratamente i figliuoli. – Meini.

317

Amicizia, Amore.

Può esserci amicizia, e innocente, tra uomo e donna; amore tra donna e donna, uomo e uomo. Se non che, l’amore può essere affetto naturale di padre a figliuolo a figliuola, di madre a figliuola, o a figliuolo; l’amicizia non è da natura nell’uomo, ma la conciliano la conformità del sentire e la consuetudine. Più: l’amore, dove non sia da natura, può comportare certa disuguaglianza; l’amicizia richiede conformità d’opinioni e di stato. Un tutore ama il suo pupillo; un vecchio prende ad amare un bambino: cotesta non si dirà certo amicizia. Tra vecchi e giovani, tra superiore e inferiore, essa è rara. Così, nell’amore di sesso diverso, tra moglie povera e marito ricco, tra uomo colto e donna rozza, sarà vivo l’amore, ma difficile potrà stringersi vera amicizia. Così, anco nelle affezioni naturali, è raro che il figliuolo divenga amico di suo padre veramente.
L’amicizia è più stabile; l’amore può scemarsi, spegnersi, mutarsi in orrore. La vera amicizia, anche cessata, lascia dietro a sé, quasi a guardia del tempio abbandonato, l’affetto.

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Amicizia, Famigliarità, Intrinsichezza, Domestichezza.

I tre ultimi sono effetti ordinari dell’amicizia, ma possono stare senz’essa e può l’amicizia conciliarsi con modi non sempre famigliari.
– Può la domestichezza precedere all’amicizia o all’amore. Il Boccaccio: «Fecero la dimestichezza, non solamente amichevole, ma amorosa divenire» [Anco dimestichezza è vivo, segnatamente in questo senso traslato: ma per dare, quanto si può, comoda uniformità agli usi della lingua, gioverà, parmi, dire dimestichezza]. – Polidori.

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Amicizia, Amistanza, Amistà.
Amistà, Alleanza.

Amistanza indica quelle amicizie di conversazione, di famigliarità, per lo più poco durevoli, che s’esercitano in qualche confidenza di ciarle, o in cose più ignobili ancora. Può essere buona l’amistanza, può dar luogo col tempo all’amicizia; ma è ben distinta da quella. Lo indica anco il modo: fare amistanza. Fare amicizia, non si direbbe che di relazione biasimevole tra persone di sesso diverso. In altro significato adoperasi volgarmente, ma è improprio e irriverente all’alta parola. L’amicizia si stringe, si ha, si mantiene; l’amistanza si fa, perch’è cosa presto fatta. Si potrebbe però dire anco: stringere amistanza, quando questa sia un po’ più intrinseca, e porti sequele che la rendano, o faccian parere, difficile a sciòrsi.
Amistà è dell’uso vivente anch’essa; è men forte dell’amicizia, meno leggera dell’arnistanza: è corrispondenza di società, d’interessi, di affezioni più che d’affetti.
Tra popolo e popolo, tra Stato e Stato, tra principe e principe, può farsi amistà; e, in questo senso specialmente, comporta il plurale; perché può farsi con più persone singole o corpi politici a un tempo. L’amistà politica o è avviamento a alleanza, o è la stessa alleanza: e dice più (appunto perché vanta meno) dell’entente cordiale, proverbiale da un quarto di secolo, e proverbiata: anche, amicizia e amicizie politiche tra uomini di simili opinioni, o piuttosto interessi; talvolta di passioni contrarie: ma questo impropriamente, e in senso simile a quel che intitola amica la femmina mal amata.

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Amichevole, Amicabile.

Amichevole, che riguarda l’amicizia, che spira amicizia; amicabile, contrario a ostile. Accoglienza amichevole, corrispondenza amichevole; accomodamento amicabile [Guicciardini: «Questa differenza si trattasse per via di giustizia, e d’amicabile composizione»]. Tra due che si odiano può, per la mediazione d’amici, finire amicabilmente una lite: qui amichevolmente non cade.

321

Amore, Carità.

L’amore è onesto, ed è turpe; la carità sempre bella. L’amore può essere moto naturale e sentito anco da’ bruti; da soli gli uomini la carità. La carità è amore ordinato; onde l’Apostolo disse che Dio è carità. La carità perfetta si stende agli avversarii, ai nemici; e, sin nella necessità del combatterli, li ama.

322

Affetto, Dilezione.

Dilezione è latinismo restatoci per esprimere quella specie d’affetto che il Vangelo non pur ci consiglia, ma comanda d’avere ai nemici. Diligite... Ecco l’alta radice che tien viva dopo diciotto secoli una voce la quale omai nell’uso vivente è perita. Né in questo senso direbbesi amore, perché, l’amore è nel cuore, la dilezione, nella mente insieme e nell’animo. L’amore è in certa guisa anco de’ bruti, onde d’una bestia diciamo ch’è amorosa; la dilezione, è dell’uomo. L’amore, venendo dal cuore, è più forte; la dilezione come contraria sovente agl’impeti della natura, è più ragionevole [I Latini ponevano simile differenza: Cicerone: «Valde me diligit, vel, ut emphaticoteron dicam, valde me amat»; «Quis erat qui putaret ad eum amorem quem erga te habebam posse aliquid accedere? Tantum accessit ut mihi nunc denique amare videar, antea dilexisse»; «Eum a me non diligi solum, verum etiam amari»]. Quando il Vangelo c’insegna: «Diligite inimicos vestros», ci comanda un sentimento più alto dell’affetto, dell’affezione, della benevolenza; sentimento che, posto in atto, varrebbe a cangiare la faccia del mondo [L’anonimo autore di un trattato della lingua toscana, nella Riccardiana al n. 3216, «Fuvvi – dice – chi si pensò, e così lo scrisse, che noi non avessimo altro che un vocabolo il quale rispondesse a questi latini: amor, dilectio, benevolentia, charitas, voluntas, pietas, indulgentia, studium» . Potrebbesi dire all’incontro che le voci affetto (nel senso italiano), amorevolezza, tenerezza, non hanno corrispondente proprio nel latino; e né anco nel francese i due primi].

323

Ben volere, Voler bene.

Il primo dice affetto di semplice benevolenza; il secondo, affetto d’amore. Il primo, la buona disposizione ch’ha verso voi un certo numero di persone; il secondo, d’un solo. L’uomo virtuoso e ben educato è ben voluto da tutti [Varchi: «Piace la virtù per sua natura; ed è benvoluta e favorita tanto, che infino gli uomini rei approvano naturalmente le cose buone»]. L’uomo d’ingegno grande non è quasi mai ben voluto; pochi sono che gli vogliano bene di cuore; ma l’amore di questi pochi compensa in intensità que’ volgari affetti che non meritano né il titolo d’amicizia, e neppure quello di stima.

324

Amato, Benvoluto, Benveduto.

Benveduto e gradito è un ricco forestiero che capita in una città, perché se ne spera utile: se sarà cortese ed umano, sarà anche benvoluto; se liberale e benefico, amato. – E. Bindi.

325

Amato, Benvoluto, Diletto, Prediletto.
Amato, Benamato.

Le differenze tra amore e benevolenza cadono, rispettivamente, anche qui; senonché benvoluto ha un uso suo proprio, affine al senso del latino gratia, e denota la benevolenza di molti verso uno. Dicendo assolutamente: egli è benvoluto, intendiamo di tutti coloro de’ quali si parla. Benvoluto da un solo o da pochi, sarebbe meno comune; né userebbesi senza altre parole che lo determinino. E perché l’amore può essere più vivo, però da amato facciamo amatissimo; no benvolutissimobenissimo voluto.
Sebbene dilezione sovente sia meno d’amore, diletto talvolta è parola più soave di amato; sì perché l’origine dice la elezione, sì perché il suono stesso è più gentile; e il suono è parte intima del senso, e va al sentimento. Abbiamo dilettissimo, non predilettissimo, perché la prefissa significa il comparativo, esclude il superlativo; denota, cioè, uno più diletto d’un altro o d’altri parecchi. E, così come diletto, ha uso di sostantivo: il mio diletto, il prediletto della madre.
Amato, sostantivo, più d’ordinario nel femminino; nel maschile, segnatamente col pronome: il suo benamato. Questo dice, e nel maschile e nel femminile, amore più eletto e più schietto, appunto perché men cocente; e suppone corrispondenza.

326

Beniamino, Cucco, Prediletto.

Cucco, voce bambinesca come dindi, e simili, è l’uovo. E forse perché l’uovo è boccone ai bambini gradito, questa voce venne a significare il figliuolo prediletto. 1. Cucco nel femminile è più rado. Piuttosto: la sua beniamina; la beniamina di casa. 2. Cucco suppone spesso più cecità d’affetto ne’ genitori, perché di solito nelle famiglie il cucco è il più inviziato; laddove il beniamino suole avere in sé de’ pregi da guadagnarsi l’affetto. E anco l’origine della voce conferma la differenza. 3. Cucco dicesi anche di qualsiasi persona prediletta, fino del ganzo; beniamino, non pare. – Meini.
Prediletto può dirsi di cosa; e di cosa e di persona ne’ sensi più gravi. Beniamino e cucco, di persone soltanto, segnatamente giovanetti e con meno pensata e men virtuosa elezione.

327

Amare, Voler bene, Avere nel cuore, a cuore, Essere inuamorato.
Star sul cuore, Premere.
Aver genio a, Essere vago.
Aver l’amore, Innamorare.
Esser vago, Essere il vago.

– Il popolo non dice quasi mai d’amare altri che Dio; ma vuol bene; e il «non solum diligere, verum etiam amare», l’esprime col voler bene e l’aver nel cuore. L’avere a cuore è altra cosa; è il curae esse, il premere; e quasi mai un contadino dice che le facende gli stanno a cuore, ma che gli stanno sul cuore e più spesso, che gli premono [Ma il premere può essere o di mera fretta, o di necessità tiranna; lo star sul cuore può esser cosa dolorosa; l’avere a cuore, ha più dell’affetto]. E se ama di conversare con una persona, dice che ci ha genio; e se ama in particolare certe cose, dice che ci ha genio, o che gli fanno genio, o che ne è vago: «Col vin buono ci ho genio io»; «Mi fa più genio la minestra sullo stinco, che sul cappone» : «Io poi non ne son vago, ve’! d’ir giostroni, o di star tutta la giornata in sulla via» [Uno è vago e di persona e di cosa, e d’atto e d’abito. Essere il vago di ragazza o di donna, viene poi].
«A me de’ dami non me ne fa aschero. E là! s’i’ ne volessi non avrei a cercare! Basterebbe ch’i’ mi degnassi di fare un po’ po’ l’occhio pio... tu vorresti vedere...»
Aver l’amore di sentesi di rado, nondimeno un bel giovanottino che abbia l’amore di tutte le ragazze, si trova anche in certe campagne; e vuol dire che tutte gli voglion bene, ma non già che ne sono innamorate. Perché tra’ contadini, a voler essere innamorati non basta voler bene, non basta amare, e nemmeno aver nel cuore, ma bisogna andare a veglia, e discorrere col damo o colla ragazza. L’innamorato solitario non lo conoscono. – E. Bindi.
Aver l’amore d’una persona, in città ha senso meno innocente.

328

Essere a cuore, Star nel cuore, Avere nel cuore.

– Ci sono a cuore le cose di qualcheduno: ne abbiamo sollecitudine, cura affettuosa. Stare nel cuore e avere nel cuore esprimono qualche affetto di gratitudine, o anche di sdegno, qualche viva memoria di cosa indelebile nell’animo, grata o grave che sia. – Neri.

329

Avere in cuore, Avere a cuore.

– Avere in cuore una cosa, avervela fitta, impressa per affetto; sia odio, sia amore, anco senza intenzione di sfogarlo. Chi ha a cuore una cosa, vuole, opera. Chi dice spesso: l’ho in cuore; costui non l’ha a cuore: la carità fa, non dice. – Neri.

330

Innamorarsi, Amare, Invaghirsi.

Innamorarsi, quando denota soltanto il principio dell’amare, è molto affine a invaghirsi; ma può significare anco l’infiammarsi nell’amore, come accade a chi troppo scherza col fuoco. Può significare il concepir di subito un desiderio passionato. Botta: «In quell’età... nella quale non solo il buono par buono, ma bello, ed in cui l’uomo non solo ama, ma s’innamora». – Polidori.

331

Innamorarsi, Imbarcarsi, Invaghirsi.

«Heu quoties fidem Mutatosque Deos flebit et aspera Nigris aequora ventis Emirabitur... Qui nunc te fruitur credulus aurea!» Tra mare e amore fu sempre trovato corrispondenza. È egli cotesto un elogio del mare, o una satira dell’amore? E l’uno e l’altro. 1. Imbarcarsi, in senso d’innamorarsi, è dello stil famigliare; ma l’arte dello scrittore e l’opportunità lo potrebbero nobilitare. 2. Indica amore non fausto o non convenevole [Casa: «Non t’imbarcare colla Padovana, e comincia da questo a mostrare che tu hai qualche temperanza»]. 3. Amore già preso sul sodo. 4. Amore che porta sequele d’impicci. 5. Amore di donna, non degli altri oggetti a cui questo affetto si può rivolgere. Per non v’imbarcar male in amore, innamoratevi, prima che d’una donna, d’un grande principio.
Imbarcarsi, d’amori parlando, oggi è poco dell’uso. S’adopra piuttosto nel senso d’imprendere affari di esito mal sicuro; e sempre in cattivo senso, quasi alludendo alla barca che va a sfidare un mar di pericoli.
Invaghirsi denota il primo desiderio, non sempre costante, piuttosto che l’amore stesso [Vagus ai Latini che teneva dietro a diversi amori]. Ma invaghirsi ha senso più generale, innocuo: e di bambino che, piangendo, chiede un balocco, diranno: se n’è invaghito. Invaghirsi, diremo, anco degli studii, di nobile impresa. Ma un po’ di capriccetto vi trapela quasi sempre, o almeno il desiderio non par tanto forte. – Meini.

332

Amoreggiare, Amorevoleggiare.

Il primo, affine al fare all’amore; l’altro, al fare amorevolezze [Guittone: «Cortesemente amorevoleggiano cogli amici»]: non è parlato, ma bello. Senonché risica d’avere senso ironico, o di leggera riprensione; e ciò perché l’amorevolezza, come s’è detto, è, il più, cosa estrinseca.
Il P. Giuliani racconta come un contadino di fuor di Firenze, dicendogli lui che certe pianticelle in terreno umido non piglierebbero, rispondesse: «Che? quando avranno un poco amoreggiata la terra, le verranno su. Anco le piante vogliono i lochi, e se non ci si abbada, sdilinguiscono». E reca quel di Dante: «Le piante hanno amore a certo luogo più manifestamente, secondo che la complessione richiede... Se si trasmutano o muoiono del tutto o vivono quasi triste, siccome cose disgiunte dal loro amico» [Virgilio: «Bacchus amat colles», e quell’altro più bello, scritto forse prima che Virgilio venisse in Roma a dimora, forse a Mantova, forse a Milano: «Astrum quo segetes gauderent frugibus»]. E soggiunge: «Io non temo d’affermare che sdilinguiscono, benché tenga della vieta rusticità, ha più forza ed evidenza che vivono quasi triste». Ma la parola del contadino è buon comento a quelle del poeta; e già per intendere la lingua di Dante, bisogna ascoltare questo popolo autore di essa lingua, e costante nel mantenerla.

333

Amoreggiare, Fare all’amore, Far l’amore.
Fare all’amore a, Fare all’amore con.

Fare all’amore è modo più famigliare. Poi, dice amore talvolta un po’ più leggero, ma verso determinata persona; dove, di chi è inclinato a mostre d’amore in genere, potrà dirsi assolutamente che amoreggia. Poi, il fare porta col dietro a ; amoreggiare, direi che sta, come vezzeggiare e simili, anco con il. Egli amoreggia la tale.
In più dialetti dicono far l’amore; e l’ha il greco moderno; non so se preso dagl’Italiani, ma non crederei. Fare il, pare cosa più seria; fare al sa di giuoco, e rammenta il fare alla palla, a capo a nascondere, ed altri.
Fare all’amore, per estensione, è mostrar brama viva di cosa: fare all’amore a un cavallo, a una casa, alla dote; e per la dote fare all’amore con la ragazza. In quest’altro senso par che stia meglio con l’a ripetuto.

334

Amar d’amore, Amar per amore.

Modi, usati dai nostri antichi; ora non più denotano amor sensuale. Il primo, accoppiato con un aggiunto, ha altr’uso efficace: amar di grande, di turpe, di nobile amore: il secondo dice che noi amiamo persona o cosa, per l’amore ch’ell’ha a altra persona, perché questa ama quella tale persona o cosa, la quale di per sé noi o non ameremmo o ameremmo meno. Amare i nemici per amore di Dio.

335

Amorino, Amoretto, Amoruccio.
Amorazzo, Amoraccio.

Amorino, nome di fiore; e imagine d’uno spiritello d’amore, dipinto o scolpito o adombrato in parole. Certi Amorini sono meno carnali dei cherubini rappresentati da certi pittori.
Amoretto, amore di donna leggero, e sovente non tutto spirituale. Amoruccio, affetto meschino, o in persona meschina, o reputata tale da colui che parla. Può essere meno ignobile dell’amoretto che può suonare come eufemismo dell’amorazzo. Amoraccio è ignobile; l’amorazzo intendesi per lo più, che all’ignobiltà della passione sopraggiunga la volgarità della condizione.

336

Amante, Amatore.
Amatore, Dilettante.

Amatore riguarda, d’ordinario, l’amore di cose. Di persona non si direbbe più, quasi mai, che per indicare amore universale, pronto a abbracciare tutte le persone d’un ordine. Allora potrebbe forse convenire: grande amatore di donne; e a certi filantropi amatori, meno infaticabili che faticosi, del genere umano.
Quando ambedue s’applicano a cosa, o esprimono un affetto che propriamente non può dirsi amore, amatore indica affezione più in atto; amante, semplice inclinazione. L’amatore di pittura ne sa un qualche poco, non ignora i principii dell’arte; l’amante di pittura se ne compiace, la gusta, ma non ci ha cognizioni, o non ci pretende. Il dilettante esercita l’arte più dell’amatore; ma può intendersene ancora meno. Il dilettante fa come può; l’amatore giudica e paga, ma sovente giudica senza pagare, o paga senza giudizio.

337

Amorosetto, Amorosello.

Il secondo più rado; ma ci cadrebbe tuttavia parlando di persona leggera e d’amore leggero. Amorosetto, di cosa o di qualità. Il Petrarca: «Amorosette e pallide viole». Direbbesi: pallore amorosetto, parole, lettera, e simili. Anco di persona, ma, a modo quasi aggettivo, amorosetto direbbesi chi troppo pende a far all’amore anziché a sentirlo davvero.

338

Amatorio, Amoroso.

Amatorio, ciò che riguarda l’amore, che lo serve, lo provoca; amoroso, che sente amore, che lo significa. Questo e di persona e di cosa; quello, di cose soltanto: bevanda amatoria [Plinio: «Amatoria veneficia»]; sguardo amoroso, padre amoroso. Poesie amatorie, che trattano in generale di cose d’amore [Cicerone: «Anacreontis tota poesis amatoria est»]; amorose, dettate da amore a tale o tale persona. Lettera amatoria, lettera d’amore, scritta da un poeta, da un romanziere, per esprimere i sensi d’un amore imaginato; amorosa, scritta da un vero amante o che tale voglia parere. Dal chiamarsi che fa il Boccaccio in una lettera latina «spurcissimum Dionaeum», per uomo lascivo, il Ciampi deduce che quel Dioneo, il quale nel Decamerone racconta le novelle di argomento amatorio, fosse l’autore stesso. E siccome il Ciampi chiama amatorie le novelle dette da Dioneo, così le poesie d’amori lascivi meglio si diranno amatorie che amorose.

339

Amatorio, Erotico, Afrodisiaco.

Nel senso notato, amatorio è latinismo ormai raro; più frequente erotico, che però dice un po’ più. Poesia erotica può essere più licenziosa dell’amatoria. I filtri amatorii non si direbbero erotici. Afrodisiaco, che fomenta prurigini sozze; non di beveraggi quasi magici, ma di cibi e bevande comuni.

340

Amante, Amoroso.

Amoroso, dice e la disposizione e l’atto; amante, più specialmente concerne il sentire in atto. Anco un cuore non naturalmente amoroso, può divenire amante, e in costoro, talvolta, l’amore ha non so che di feroce; tiene dell’odio.

341

Amante, Damo, Sposo.

Amante comprende e l’affetto umano e il divino, e alle persone e alle cose, e agli altri e a sé; il puro amore e l’impuro, a donna libera ed a legata. Damo chi amoreggia ragazza, e (almeno in apparenza) con fini non rei. Egli tende ad essere sposo. Ma a’ giorni nostri certe ragazzucce hanno il damo, che non è né amante né sposo; hanno tanti dami, che finisce che le non hanno mai sposo. E può fanciulla scegliere per isposo uno che non sia stato suo damo, ma o che l’abbia chiesta e ottenuta a un tratto, o che l’abbia conosciuta senza però amoreggiarla. Buonarroti: «Innanzi che tu m’abbia avuto amore, A un tratto damo e sposo mi ti fai». Buon damo può essere cattivo marito.
Damo, ne’ ceti della società che si tengono più alti, non ha uso; figliuola d’un contadino, d’un artigiano, d’un artefice, d’un impiegatuccio, ha il damo.
Dama dicesi in senso analogo, e non è da confondere cogli altri usi di questa voce.

342

Amate, Amica, Amata, Amatrice.

Amica, ove si tratti d’amore, e non sia chiaramente inteso di semplice innocente amicizia, prende mal senso [Amorosa, in altri dialetti, è quella che nel toscano dicesi dama, cioè la fanciulla che fa all’amore con un giovanotto, e, supponesi, per buon fine. Ma gli si dà pure senso d’amica. Amanza, in buon senso e non buono, antiquato]. L’uso vivente conferma la distinzione d’amica da amante: amante esprime la semplice idea d’amore, puro o no; e può perciò ricevere innocentissimo senso. Ma amante dicesi più spesso d’uomo che di donna.
Amata ognun sente che concerne la donna. Converrebbe dire: l’amata del Petrarca, non: l’amante; l’amante di Leandro; l’amica di Raffaello.
Amatrice ha il senso d’amatore nell’articolo che s’intitola dalle voci Amante, Amatore; denota o un affetto generale o affetto non tanto intenso quanto l’amore: amatrice della musica, della pittura. E differisce da amante in quanto richiede più cognizione della cosa che s’ama.
– Quanto al significato buono o reo d’amica e d’amico, li discerne l’articolo, determinante o no, che li accompagni; e più quando segua pronome possessivo. Chi ti porta i saluti di un’amica, è semplice conoscente d’ambedue; chi ti porta i biglietti dell’amica, è mezzano. La donna che dice: un mio amico, non offende altri orecchi che dei maligni; colei che osa pronunziare: il mio amico, è una sfacciata, o molto infelice. – Polidori.

343

Amante, Vago, Innamorato.
Il bello, Il cascamorto.
Fare il bello, Il bellin bellino.

Quando di donna si dice: quello è il suo vago [Petrarca] intendesi amante corrisposto.
Vago e vaga in alcuni dialetti toscani ha il senso di damo e dama. Amante è voce generale; e si reca a persona o a cosa, ha buono e mal senso, esprime passione e affetto, smania crucciosa o placido desiderio.
L’innamorato d’una donna non sempre n’è il vago; le dimostra amore, ma non sempre fa all’amore con lei. Potrebb’essere il suo vago, senz’esserne innamorato.
Fa il bello l’uomo alla donna e la donna all’uomo, facendo buon viso, carezze, per piacere, per lusingare, d’ordinario per fine d’utilità. Ma questa locuzione ha luogo anco tra uomo e uomo, tra donna e donna; l’un de’ quali tenda a piacere all’altro per fini d’utile proprio, con quella affettazione che ai prudenti significa tutt’altro che affetto. In questo senso dicesi, più famigliarmente e con più biasimo talvolta, fare il bellin bellino, che non concerne gli affettati segni d’amore.
Fa il cascamorto l’uomo alla donna per destare in lei o amore o quella specie di noia che in certe donne conduce, se non al sentimento, alle prove d’amore.
Tra gli amanti il cascamorto è più finto, e però sovente il più creduto. Un cascamorto non è mai innamorato davvero.
Di vecchio galante, di galante sgarbato, si dirà: il cascamorto, no il vago. Di donna, la vaga, col pronome sua, segnatamente o simili; cascamorta, no: prova che il sesso debole è più forte del forte. Nel plurale: fanno il cascamorto, meglio che i cascamorto: cascamorti, non mi suonerebbe assai bene col fare.

344

Galante, Amante.

Queste due voci di senso così chiaramente distinte, l’uso sociale talvolta rende promiscue; perché società depravata porta divisioni e confusioni, che forza è notare, non foss’altro, per leggervi la storia delle umane miserie. Dice dunque il Girard: «L’amante ama, il galante corteggia, l’amante vuol essere amato, il galante essere secondato. Ma si può far l’amante o i galante anco senza amare o desiderare davvero, per interesse o per altro. Ragazza brutta non manca di tali amanti, e una vecchia può trovar di siffatti galanti.
Gli amanti lusingano la vanità delle donne, che per ciò solo li soffrono; i galanti danno materia a dicerie non sempre piacevoli alla vanità.
L’amore è più vivo, tende a una determinata persona, e il suo fondamento è la stima. La galanteria tende non tanto alla persona quanto alla bellezza in genere, ama sé stessa più ch’altri, cerca il piacere, non l’affetto, riguarda i pregi corporei con più minuta osservazione che non soglia l’amore. L’amante ama tutte le persone amate dall’oggetto del suo desiderio, purché non siano tali da dar gelosia; il galante si serve delle persone care all’oggetto delle sue voglie per più soddisfarle. L’amore empie il cuore d’un solo oggetto; la galanteria lascia luogo a parecchi. L’amore non teme gli ostacoli; la galanteria vorrebbe evitarli, e ama il facile. L’amore è di buona fede e serio; la galanteria, maliziosa e prende ogni cosa in burla. Costa più il disinganno, dell’amore; la galanteria ha più vergogna che dolori profondi.
Nelle donne maritate la galanteria da una società corrotta è giudicata men ridicola dell’amore. L’amore, talvolta, conduce a passi più dolorosi, laddove la donna galante può conservar le apparenze della virtù».
L’Enciclopedia: «L’amore vuol ricambio d’amore; la galanteria vuol piacere. La galanteria suol essere vizio; l’amore, passione più o meno tenace. La galanteria tende a quella ch’è da lei chiamata conquista; l’amore è ora più franco or più rispettoso. La galanteria è in tutti uguale e di natura e di forme; l’amore varia secondo i temperamenti: furioso in Medea, nel Petrarca loquace, sfacciato in Paride, in Giacobbe sofferente e operoso. L’amore è, talvolta, freno al vizio; la galanteria è un vizio di cuore, di mente, d’imaginazione, di senso. La galanteria rende inetto, noioso, dispregevole il sociale commercio. La galanteria, talvolta, si muta in amore vero; ma il vero amore non sa prendere le forme della galanteria».
– La galanteria, chi guardi bene addentro, è velo a sentimenti grossolani. A’ dì nostri però ell’è meno apertamente professata, e con minore studio inorpellata di quel che fosse in addietro. Qualcosa di buono c’è anche nel secol nostro. – Capponi.

345

Galante, Civettino.

Essere galante, Fare il galante. 1. Galante, così sostantivo, vale e chi fa il galante con le donne, e chi veste galante per piacere ad esse. Il galante è più franco, meno pesante e più accetto del civettino. Questi della galanteria non ha che l’inezia e la ridicolaggine. Ma verrà giorno, io spero, che civettino e galante significheranno ambedue persone inette e spregevoli. 2. In età nella quale non è ancora lecito aspirare al titolo di galante, si può bene ottenere quello di civettino; e a’ dì nostri che ogni cosa è precoce, troppo lo vediamo. 3. Essere diciamo e fare il galante; il primo, denota meglio l’arte un po’ consumata; il secondo, lo sforzo per giungere alla palma dell’arte. Un vecchio fa il galante, non si dirà che è galante. Ma, fare il civettino, nessuno direbbe, perché questo non è titolo che veruno ci aspiri. 4. Civettina dicesi di donna; non si direbbe: donna che fa la galante. Donna galante, assolutamente, ha altro senso, e vale che all’aria, al vestire, al contegno, ai saggi che diede di sé, promette ai galanti, forse molto più che non voglia attenere. Perché la speranza è leggera; e certe speranze, quando si parla di donne, diventano leggermente calunnie.
– La civetteria stuzzica le altrui capricciose voglie: la galanteria tende a soddisfare alle voglie proprie. – Beauzée.
– La galante passa d’amore in amore; la civetta ha dimolte corrispondenze ad un tempo. La galante ha per movente la passione, la voluttà, l’interesse; la civetta, la vanità, la leggerezza, la falsità. Le donne nascondono più la galanteria che la civetteria, e questa fa loro sovente più torto di quella. Civettone è peggio che uomo galante. – La Bruyère.
E qui mi si lasci porre un’altra distinzione ancora tra essere e fare il galante. Si può al vestire, all’aria, essere galante, si può menar vita galante, senza fare il galante con questa e con quella. Si può fare il galante con una senza farlo con altre [Berni: «Orlando par che sia ’n Levante E là è innamorato e fa il galante»]. Si può fare il galante con dimostrazioni d’amore, senza affettar galanteria nel vestire o nel portamento.

346

Civetta, Frasca, Lusinghiera.

Civetta, così detta da allettare gli inesperti a mal fine; frasca, forse dalla leggerezza e dall’instabilità. Questo dicesi più alle ragazze giovanette, e ha men grave senso. Ma fraschettuola, nella forma diminutiva include talvolta più biasimo.
La lusinghiera (ma non è comune nell’uso) è più vile della civetta, perché richiede da altrui più viltà. La civetta ha amori freddi e brevi; la lusinghiera, molti e lunghi e crudeli. La civetta ha la testa vuota; la lusinghiera, il cuore guasto; sorridesi di quella, questa si teme. – Grassi.

347

Civettino, Civettone.
Civettina, Civettuola.

Del civettino la principal nota è la leggerezza; del civettone, la pertinacia; il primo non è senza grazia; il secondo non senza goffaggine. A’ dì nostri, sbarbati ancora, cominciano a fare il civettino, e v’è de’ civettoni barbogi.
La civettuola è un po’ più sguaiata; la civettina si può imaginare modesta. Per titolo di spregio o di rimprovero, civettuola si dice, e non civettina. C’è però delle civettine più scaltre delle civettuole; quelle accivettano, queste civettano; quelle tirano a beccarsi un marito da condurre a modo loro; queste, pare che faccian di tutto per perderne la speranza.

348

Civettare, Accivettare.

Accivettare è un po’ meno. Le donne scaltre accivettano per avere uno o più adoratori; le capricciose civettano per avere degli amanti, o per mero capriccio. Accivettare è furberia; civettare, sguaiateria. Accivettare con promesse, con ambigue dimostrazioni d’affetto; civettano pur con lo sguardo, pur col farsi vedere. Accivettano per interesse, per orgoglio; per vanità, per impudenza civettano. C’è delle donne che accivettano i gonzi, e poi civettano con gli sguaiati. Ve n’è che hanno tanto civettato, che non san più accivettare. L’accivettare s’accorda con certa aria di raccoglimento, di malinconia, di compunzione; il civettare va più gagliardo. Il civettare può non avere altro fine che la semplice civetteria; l’accivettare tira al cuore, alla borsa, al giudizio dell’uomo. Quelle che civettano in palese, hanno più cattivo nome di quelle che soavemente e virtuosamente accivettano, non sempre però le prime son le peggiori.
Civettare, dicesi anche degli uomini; accivettare delle donne per solito e più propriamente. Civettare è assoluto, o s’adopra unito al con; accivettare richiede, per lo più, il quarto caso, e quando non l’abbia, lo sottintende [Accivettato dicesi anche di uccello scaltrito dal pericolo corso per le insidie della civetta e de’ cacciatori; e, in senso traslato, uomo reso accorto dal proprio pericolo].

349

Galante, Damerino, Zerbino, Cicisbeo, Vagheggino.
Zerbinetto, Zerbinotto.

Si può fare il vagheggino e il galante e il civettino anche con donne le quali non abbiano addosso quelle pretensioni che mette sì spesso nell’anima e nel corpo la nobiltà e la ricchezza. Cicisbeo e damerino indicano, più sovente, commercio d’affetti, o di quelle cerimonie che sottintendono o compensano in qualche modo, o fanno nascere o fanno morire gli affetti, tra persone nobili o per sangue o per crazie.
Il damerino innoltre supponesi meno pesante del cicisbeo, meno inetto del civettino; supponesi disinvolto, attillato, leggiadro. È questa la parola che nell’uso sociale ha senso meno disprezzativo; non però che, moralmente, abbia senso meno spregevole.
Che damerino e zerbino non sia il medesimo lo prova anco il verso del Buonarroti: «Non dico gli zerbini, Non dico i damerini». Zerbino ha senso, anco nell’uso sociale, che lo rende titolo meno desiderabile, e lo prova il suo derivato zerbinotto, che è il più usitato, e che vale giovane di alquanto licenziosi costumi, e vanerello [Zerbinetto suona più gentilmente dell’-otto. Un giovane di banco sarà -otto, non -etto. A ventott’anni potete ancora essere -otto; -etto non più. Vecchio che voglia fare il zerbinotto, è ridicolo; più ridicolo ancora se l’-etto].
Lo zerbino, dunque, lo zerbinetto, lo zerbinotto, s’intende ch’avrebbe a essere giovane; il damerino si può supporre anche non poco maturo; lo zerbino affetta l’amore; il damerino, quella leggiadria che in certa razza di gente fa strada all’amore. Il damerino, è più disinvolto, lo zerbino, più ardito.

350

Amante, Innamorato, Amoroso, Amasio, Amico, Ganzo, Drudo.

L’innamorato, per lo più, chi non ha colti ancora i frutti materiali dell’amore. Ha buono e mal senso; ma oggidì l’ha sovente ridicolo, perché ridicolo pare chi confessa l’amore; professare l’odio è cosa più nobile a molti. Amoroso, nel toscano non ha comunemente altro senso che di parte teatrale: primo amoroso, secondo amoroso.
Il ganzo può essere vecchio o giovane, bello o brutto, purché sia stromento d’illecito piacere o di lucro turpe. Questo i Latini chiamavano amasio. Questo noi chiamiamo con titolo più grave drudo; che aveva senso innocente in antico, ora l’ha di dispregio, e di vitupero.
Amico, voce nobilissima, acquistò, in tempi miseri, senso affine a ganzo e a drudo. E in certe città quasi non era vergogna dire di donna: ha l’amico [Boccaccio: «Dov’ella disonestamente amica ti fu, ch’ella onestamente tua moglie divenga»].

351

Galante, Vagheggino, Vagheggiatore, Cicisbeo, Ganzo.

Vagheggino significa quella galanteria che s’appaga del vagheggiare e del corteggiare [Firenzuola: «Vi farieno intorno manco ciance i vagheggini]. I vagheggini son vani più ch’altro, e la vanità è tra i difetti più ridicoli, ma non de’ più gravi. E’ son uomini che preparano le premesse, e non sempre pensano alle conseguenze. Anco la politica d’amore ha il suo giusto mezzo.
Non è già che un vagheggino si contenti sempre del semplice vagheggiare; ma la principale idea del vocabolo è questa.
Può uno essere vagheggiatore di tale o tale bellezza nell’atto, non vagheggino per abito; può essere vagheggiatore sul serio e senza intenzioni turpi; può essere vagheggiatore di ogni bello e sensibile e intellettuale e morale. Può in questi rispetti la donna essere vagheggiatrice: che mai non dicesi vagheggina.
Cicisbeo in alcuni dialetti toscani, quello che i Fiorentini ganzo; e la ganza, o anche la dama, è cicisbea; ma il femminino è più raro. Con le dette voci denotasi non solo la galanteria preparatoria; ma il solito effetto di quella. Cavalier servente e cicisbeo sono ormai titoli più di derisione che d’altro.
Abbiamo: cicisbeare [Magalotti: «Per cicisbeare alla moda»], civettare, vagheggiare; galante non genera verbo.

352

Damerino, Zerbino, Cicisbeo, Cinedo.

Damerino, chi fa il vagheggiatore di questa e quella, sia per capriccio sia per moda. Zerbini coloro che (per dirla col Lippi) si credono con un solo sguardo «Di sbricciolar tutto il femmineo sesso», tanto sono persuasi della loro bellezza. Stanno su tutte le usanze, camminano a passi misurati, non soffrirebbero che un bruscolo offendesse la loro lindura. Questa voce, che forse ci viene da quel Zerbino cui l’Ariosto descrisse, differisce dall’altra in ciò, che lo zerbino è più ricercato. Il damerino tira a far conquiste, lo zerbino pretende d’essere conquistato e vagheggiato. Cicisbeo, l’ente indefinibile, chiamato in Italia cavalier servente, l’accompagnatore assiduo di donna non sua. Ce n’è di barbogi, di squarquoi, massime tra’ nobili. Cinedo è il peggio; molle, effemminato nel più turpe senso, ma è proprio soltanto della lingua scritta. – Meini.


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